Ogni anno in Pakistan 700 donne cristiane e 300 indù vengono rapite dalla loro famiglia, convertite all’islam e sposate a forza a un musulmano. I numeri «sottostimati» sono stati diffusi in un nuovo rapporto dal Movimento per la solidarietà e la pace del Pakistan e ripresi dal Pakistan Today.
RAPITE A 12 ANNI. Le donne vengono rapite in un’età compresa tra i 12 e i 25 anni, soprattutto nella provincia del Punjab dove la presenza di movimenti radicali islamici è più forte e numerosa. Il rituale è sempre lo stesso: la famiglia della vittima denuncia il rapimento alla polizia, mentre il rapitore fa una controdenuncia in nome della donna rapita accusando la sua famiglia di voler molestare la donna obbligandola a tornare alla religione di provenienza.
PICCHIATE E ABUSATE. Successivamente, alla donna viene chiesto di testimoniare davanti alla corte o alla polizia se è stata convertita e sposata a forza oppure no. Nella maggior parte dei casi, la rapita viene lasciata in custodia ai rapitori anche attraverso la falsificazione della sua età nel caso sia minorenne.
La donna è sempre costretta a testimoniare il falso, dal momento che i rapitori nel frattempo la violentano, la picchiano, la prostituiscono o la vendono al miglior offerente.
La prima denuncia della famiglia non ha prodotto alcun risultato, la seconda ha convinto i giudici ad ascoltare la testimonianza della ragazza, che però ha confermato la versione del rapitore Maqsood contro la famiglia.
«CONVERTITA A FORZA ALL’ISLAM». Scappata dieci anni dopo da suo marito, ha rivelato quanto accaduto: «Maqsood mi ha avvisato che se avessi testimoniato contro di lui avrebbe ucciso la mia famiglia. Per me era difficile capire le cose, avevo solo 15 anni all’epoca e mi preoccupavo per i miei genitori. (…) Al processo ho visto i miei genitori ma mi hanno proibito di parlare con loro. Maqsood mi ha minacciato di nuovo in tribunale e ho testimoniato a suo favore. Ho quindi detto al giudice che non ero mai stata rapita e che mi ero convertita perché volevo così. (…) Ho detto che volevo vivere con mio marito e non volevo avere più niente a che fare con la mia famiglia cristiana. È stato doloroso dire quelle cose mentre i miei genitori erano presenti ma la loro salvezza era nelle mie mani e io non sapevo cosa fare».
LA FUGA DAI RAPITORI. Durante i dieci anni che è rimasta rapita è stata picchiata e abusata sessualmente. Ha dato alla luce cinque figli nel frattempo e quando si è rifiutata di convertire la sua famiglia cristiana ha cominciato a subire un trattamento ancora peggiore. Maqsood aveva già una moglie e Nadia è andata a vivere con i cinque figli, la prima moglie del rapitore e i suoi precedenti cinque figli.
Dopo essere scappata ed essersi riunita alla sua famiglia, l’incubo non è finito perché Nadia ha continuato a ricevere minacce di morte e attacchi violenti. Ha denunciato il suo rapitore chiedendo l’annullamento del matrimonio ma in seguito è stata costretta a chiudere il caso affermando che aveva raggiunto un compromesso con Maqsood e riunendosi al marito.