Una decina di mesi fa il Parlamento ha approvato una brutta legge sulla corruzione. La legge Severino – dal nome dell’allora ministro della Giustizia che l’ha fortemente voluta – contro le migliori intenzioni rende più complicate le questioni che intendeva affrontare, e presenta seri profili di legittimità costituzionale. Siamo stati in pochi, al momento del voto finale, a negare l’appoggio a quella legge; e ancora di meno a motivare il dissenso. Non era politicamente corretto, ci si diceva facendo prevalere gli slogan: chi si dissocia vuol coprire la corruzione! È bastato poco per rendersi conto che quando norme particolarmente controverse si approvano comunque, nonostante il forte sospetto di conflitto con la Costituzione, poi tornano indietro con gli interessi: caos interpretativo nei tribunali e una vicenda, quella della decadenza dalle cariche pubbliche, su cui rischia di cadere il governo.
In questi giorni lo scenario si ripropone per altra materia: la legge sull’omofobia – si urla – è indispensabile e va approvata il prima possibile per far cessare discriminazioni e violenze odiose… Pochi deputati, presentando questioni pregiudiziali ed emendamenti soppressivi, hanno elencato le ragioni di contrasto con beni costituzionalmente rilevanti, dal principio di tassatività (fondamento del sistema penale) alla libera manifestazione del pensiero, dal rispetto per la libertà religiosa alla tutela delle associazioni, dalla libertà di ricerca scientifica fino al sistema di garanzie personali. Altri, che pure si dicono cattolici, hanno ceduto al condizionamento mediatico e culturale. Ma qui, prima della fede e senza far ricorso a essa, c’entra il buon senso. E se proprio si vuol evocare una categoria spirituale val la pena dire che, fatto l’errore con la legge Severino, perseverare con la Scalfarotto ha veramente del diabolico.