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La Chiesa di Norvegia si scusa per essere stata anti-abortista

Al piccolo passo del governo scandinavo contro l'aborto si contrappone il grande balzo dei vescovi luterani a favore della causa pro-choice: «L'aborto rende migliore la società»

Caterina Giojelli
06/03/2019 - 3:00
Società
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Mentre la politica pone un freno al liberalismo sociale facendo “marcia indietro” sull’aborto e la bioetica, i vescovi della Chiesa di Norvegia, la più diffusa del Regno scandinavo, si scusano per avere avuto in passato un atteggiamento antiabortista, promettendo un “passo avanti” per favorire una discussione libera e aperta sul tema.

PROTEGGERE I NON NATI NON FAVORISCE IL DIALOGO

Sembra una barzelletta ma non lo è: il 15 febbraio scorso i presuli della Chiesa luterana ed evangelica, alla quale appartiene quasi l’80 per cento della popolazione (circa 3 milioni e 750 mila fedeli), hanno rilasciato una dichiarazione bizzarra: «La Chiesa è stata a lungo impegnata contro l’aborto: una sfida etica, umana e politica. Quando la legge sull’aborto è stata discussa e adottata negli anni Settanta, la Chiesa si oppose in modo chiaro ai cambiamenti introdotti. I sacerdoti hanno criticato senza mezzi termini la legge allo scopo di proteggere la vita non nata. Oggi ci rendiamo conto che l’argomentazione della Chiesa non ha consentito un buon dialogo. È tempo di creare un nuovo clima».

«CI SCUSIAMO CON LE DONNE»

Pertanto la Chiesa ha firmato un documento in cui riconosce di aver mancato «di impegno per la liberazione e i diritti delle donne. Siamo spiacenti. Come Chiesa dobbiamo cambiare il nostro modo di parlare dell’aborto e di prenderci cura delle persone colpite». E cosa significa cambiare modo di parlare dell’interruzione di gravidanza? Affermare che «una società con accesso legale all’aborto è una società migliore di una senza un simile accesso» perché «previene l’aborto illegale e promuove la salute e la sicurezza delle donne». L’obiettivo della Chiesa, scrivono i vescovi, non è tanto mettere in discussione la legislazione (in Norvegia l’aborto, di norma, è legale fino a 12 settimane), nemmeno mettere in discussione il fatto che il feto sia una vita «che ha valore e chiede protezione», quanto «promuovere una comunione inclusiva».

Il risultato è un pasticcio in cui si mescolano mea culpa per non avere in passato aiutato le madri single («ai bambini nati fuori dal matrimonio si poteva negare il battesimo»), elogi della tecnologia che oggi permette di «intervenire e correggere lo sviluppo fetale», premesse sulla dignità umana che «è data da Dio e non dipende dalle abilità funzionali», soddisfazione per la «riduzione del numero di aborti tra gli adolescenti» probabilmente riconducibile a più fattori, esortazioni imperative a «fornire migliori prestazioni» alle famiglie con bambini disabili.

«L’ABORTO RENDE MIGLIORE LA SOCIETÀ»

Al netto del fronzolame, la Chiesa di Norvegia si scusa in sintesi per la posizione netta assunta in passato contro l’aborto; non dice di sostenerlo ma di fatto supporta l’argomento più pro-choice di tutti, cioè che rendere accessibile il controllo delle nascite faccia bene alla società perché diminuirebbe il numero di aborti totali; sottende fin dalle prime righe che opporsi alla liberalizzazione delle interruzioni di gravidanza abbia peggiorato il dialogo e frenato la corsa ai diritti delle donne. Si scusa per essere stata a favore della vita e perché la difesa della vita non ha coinciso nei modi e nei fatti con gli obiettivi mondani.

LA RIBALTA DEI TEMI ETICI

Dopo aver peggiorato la società, schierandosi a suo tempo contro il governo dalla parte dei bambini, i vescovi vogliono ora migliorarla, continuando a schierarsi contro il governo e dalla parte delle donne. Da poche settimane infatti si sono conclusi i negoziati che hanno portato alla nuova coalizione guidata da Erna Solberg, in cui il piccolo ma decisivo partito Popolare Cristiano (KrF) ha raggiunto l’obiettivo di mettere un freno agli aborti gemellari (o embrioriduzioni), che come spiega l’Occidentale non saranno più praticabili sulla base della mera richiesta della donna, ma solo dopo il parere obbligatorio di un’apposita commissione medica. Non solo, il KrF ha ottenuto che venisse inserito all’interno del contratto di governo il diritto di veto nell’ambito della genetica e biotecnologia (dalla donazione degli ovuli, alla procreazione medicalmente assistita, alla donazione mitocondriale).

Nei mesi scorsi inoltre lo stesso premier Solberg si era detta pronta a modificare la legge sull’aborto abrogando il cosiddetto “paragrafo down” (paragrafo 2, lettera c) usato per ammettere aborti tardivi a seguito di diagnosi prenatali che rivelano la presenza di patologie del feto o caratteristiche riconducibili alla Trisomia 21. In migliaia di donne erano scese in piazza per protestare al grido di “Il corpo è un mio diritto” e “Difendi l’aborto”. Lo scorso 11 ottobre, inoltre, deliberando sul caso di Katarzyna Jachimowicz, licenziata dall’ospedale in cui lavorava perché contraria alla somministrazione di farmaci o dispositivi abortivi, la Corte suprema norvegese ha riconosciuto il diritto ai medici di non compiere trattamenti sanitari che possano andare contro la loro coscienza. Insomma, mentre nella laicista Norvegia i temi etici diventano prepotentemente protagonisti del dibattito, la dichiarazione della più grande Chiesa del Regno scandinavo sembra molto più di un endorsement.

Tags: Abortonorvegia
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