

Quello che segue è il secondo di una serie di articoli firmati da Bjørn Lomborg e pubblicati da Tempi in esclusiva per l’Italia in vista della Cop26, la conferenza globale sul clima in programma per novembre 2021 a Glasgow. Lo scopo di questa rubrica è mettere in luce dati scientifici spesso trascurati nella narrazione dominante sul clima, eppure non meno importanti del fatto che «il cambiamento climatico è un fenomeno reale e causato dall’uomo», come sostiene Lomborg.
Le puntate precedenti sono disponibili qui.
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Si sente parlare spesso dei costi elevati delle alluvioni, tuttavia il conto che questi fenomeni presentano in termini di beni e di vite si è abbassato nel tempo. Negli Stati Uniti, che hanno dati di lungo periodo tra i migliori a disposizione, i costi relativi delle alluvioni negli ultimi 117 anni si sono ridotti quasi a un decimo, dallo 0,5 per cento del Pil dell’inizio del secolo scorso allo 0,05 per cento attuale. Il rischio di morire si è ridotto a quasi un terzo rispetto al passato.
I dati mondiali sono più scarsi, ma alcune ricerche sulle alluvioni indicano che dal 1980 al 2010 i costi in relazione al Pil e le morti in rapporto alla popolazione sono diminuiti a livello globale.
I titoli allarmanti sui costi crescenti delle alluvioni derivano in genere da statistiche fuorvianti che riguardano i danni totali, dati che in realtà ci parlano più della crescita economica degli Stati Uniti che non del cambiamento climatico. Dall’inizio del XX secolo la popolazione degli Stati Uniti è quadruplicata e il Pil annuale si è moltiplicato per 36. Non c’erano mai state così tante persone e costruzioni negli Stati Uniti, pianure alluvionali incluse.
Un’alluvione che colpisca oggi Atlanta, per esempio, incontrerà molti più abitanti e edifici di trent’anni fa. Il numero di unità abitative esposte al rischio nella pianura alluvionale della città è salito del 58 per cento dal 1990 al 2010. Nello stesso tempo, una maggiore ricchezza e una tecnologia migliore hanno reso le persone e i beni nelle aree depresse più sicure nei confronti delle alluvioni. Solo prendendo in considerazione i danni nel contesto del Pil è possibile distinguere che cosa rappresenta un segnale della crescita della ricchezza e che cosa indica resilienza o vulnerabilità alle alluvioni.
Malgrado non sia stato ben pubblicizzato, il Gruppo intergovernativo Onu sul cambiamento climatico (Ipcc) dice di avere «scarsa confidenza nell’influenza dell’uomo sui cambiamenti della portata dei fiumi su scala globale». Si aspetta che un maggior numero di aree in futuro vedano la frequenza delle alluvioni crescere piuttosto che diminuire: un effetto negativo del cambiamento climatico, ma molto meno drammatico di quanto suggerisca la narrazione mediatica. E con l’aumento della ricchezza mondiale, le infrastrutture e la tecnologia probabilmente faranno abbassare i costi relativi e il numero di vittime delle alluvioni. I dati dimostrano che lo stanno già facendo.
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Bjørn Lomborg è presidente del Copenaghen Consensus e visiting fellow presso la Hoover Institution della Stanford University. Il suo libro più recente è “False Alarm: How Climate Change Panic Costs Us Trillions, Hurts the Poor, and Fails to Fix the Planet.”
Foto Ansa
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