Nicaragua. La vendetta di Ortega contro il vescovo anti-regime: 26 anni di carcere

Di Paolo Manzo
12 Febbraio 2023
Accusato di «diffusione di fake news e terrorismo», monsignor Rolando Álvarez è stato condannato dopo avere rifiutato l'esilio. Nel paese dell'America centrale la persecuzione della chiesa continua nel silenzio delle democrazie
Nicaragua
Cristiani in preghiera davanti al consolato del Nicaragua a Miami, lo scorso agosto, per chiedere la liberazione di monsignor Alvarez (foto Ansa)

La satrapia di Daniel Ortega e della moglie Rosario Murillo ha condannato venerdì sera il vescovo di Matagalpa Rolando Álvarez a 26 anni e quattro mesi di carcere dopo un processo lampo per «diffusione di notizie false» e «attacco all’integrità della società nicaraguense», privandolo anche della sua nazionalità. Il giudice del regime Octavio Rothschuh, presidente della Prima Sezione della Corte d’Appello di Managua, ha letto la sentenza definendo il 56enne Álvarez un «traditore della patria».

Il rifiuto dell’esilio e la condanna a 26 anni

La sentenza del processo era fissata per il 15 di febbraio, con la condanna a 10 anni già scritta – cinque per “fake news” e altrettanti per “terrorismo” – ma il suo rifiuto, giovedì mattina, di salire sull’aereo con altri 222 prigionieri politici espulsi a Washington dalla dittatura ha accelerato i tempi, solleticando la vendetta senza freni della coppia Ortega-Murillo. Da oggi, dunque, ci sono 223 apolidi del Nicaragua, una vergogna internazionale aggravata dall’impotenza delle democrazie. Altra vendetta del regime è stato l’immediato trasferimento del vescovo dai domiciliari dove era recluso da sei mesi al carcere per detenuti comuni de La Modelo, a Tipitapa.

Il primo vescovo arrestato da Ortega era stato rapito all’alba del 19 agosto dalla polizia all’interno del palazzo episcopale della diocesi di Matagalpa insieme ad altri quattro preti, due seminaristi e un cameraman. La polizia, guidata da Francisco Díaz, suocero di Ortega, lo aveva accusato di “organizzare gruppi violenti per destabilizzare il Nicaragua e attaccare le autorità costituzionali”, senza mai fornire ovviamente nessuna prova. Ora lo attendono 26 anni di carcere e tornerà libero il 13 aprile del 2049.

Gli insulti di Ortega a monsignor Álvarez

Ortega aveva insultato a reti unificate monsignor Álvarez già giovedì sera, anticipando la sua vendetta e accusando vari sacerdoti di abusi sessuali. «Attaccano e insultano persino il Papa», ha tuonato, ma «ora il “personaggio” (lui lo chiama così, ndr) Álvarez va subito nel carcere de La Modelo. Il suo è un comportamento arrogante, di uno che si considera il leader della chiesa latinoamericana, è uno squilibrato, in corsa per diventare Papa», ha ironizzato il dittatore.

Ortega ha poi accusato il vescovo di agire come «un energumeno», incapace di avere «il coraggio di Cristo, che ha sopportato la crocifissione», dopo non aver accettato «che lo mettessero in una prigione con centinaia di prigionieri. Siccome prima era mantenuto a casa sua (era ai domiciliari, ndr) e gli venivano preparati pasti speciali ogni giorno e le sue sorelle andavano a cucinare per lui in una villa, ora è irritato perché è in prigione», ha aggiunto Ortega.

Il dittatore ha poi chiarito di avere avuto l’idea dell’espulsione di massa di quelli che lui chiama “terroristi” questa settimana, quando «Rosario la copresidente (lui chiama così sua moglie, ndr) mi ha detto “perché non diciamo all’ambasciatore statunitense di portarsi via tutti questi terroristi?”. Queste persone sono vittime della loro politica imperialista, che li usa e finanzia per distruggere la pace del Nicaragua». Secondo Ortega, sua moglie ha «chiamato l’ambasciatore e ha preso la decisione con lui». Dopo la «prima risposta positiva, hanno preparato un primo elenco di 228 detenuti, poi ridotto a 222». Il dittatore ha infine detto che una decina tra preti, diaconi e seminaristi si sarebbero imbarcati «volontariamente» sul volo verso Washington e che ora in Nicaragua ci sono «solo» tre religiosi in cella: due preti «per reati sessuali» (inventati) e il vescovo Álvarez per «terrorismo».

La tattica del Nicaragua con i dissidenti

Ortega ha infine negato categoricamente che l’espulsione di massa del 222 sia stato il risultato di una «negoziazione» con Washington. «Non c’è stato negoziato, niente, questo va chiarito (le stesse parole usate anche da Joe Biden, ndr)», ha detto circondato da una quindicina di generali dell’esercito e alti funzionari della dittatura, tra cui la moglie “copresidente”.

Per la giornalista indipendente cubana Yoani Sanchez «la tattica di imprigionare i dissidenti, condannarli a lunghe pene detentive e poi usarli come merce di scambio è stata una strategia ricorrente dei regimi autoritari dell’America Latina. Ortega è un fedele discepolo di Fidel Castro, che ha usato i dissidenti imprigionati durante la Primavera Nera di Cuba del 2003 come gettoni di scambio con la Chiesa cattolica e le autorità spagnole. Ai dissidenti che erano in carcere 20 anni fa è stato chiesto di scegliere tra le sbarre delle loro celle o l’esilio. Solo pochi respinsero queste pressioni e rimasero sull’isola. Oggi due di coloro che sono rimasti – Felix Navarro e Jose Daniel Ferrer – sono di nuovo in carcere dal luglio 2021».

«Dio non abbandonerà il vescovo Alvarez»

E visto che l’elenco dei prigionieri politici cubani supera ormai il migliaio di persone, «Miguel Diaz-Canel deve sentire che ora ha abbastanza carte vincenti per incassare succulenti benefici. I segnali che dietro il sipario si sta coordinando un gioco di scambi non potrebbero essere più chiari: funzionari Usa pochi giorni fa hanno avvertito che i prigionieri politici sono un ostacolo alla normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi mentre il Cardinale Beniamino Stella all’Avana ha recentemente esortato il governo a liberare i manifestanti dell’11 luglio 2021».

La manovra che Ortega ha realizzato potrebbe insomma essere solo un’anticipazione di ciò che i suoi compagni cubani stanno progettando. «Un’azione concordata, affinché entrambi i regimi possano liberarsi dalle critiche, disinnescare ogni movimento civico nato con le richieste di amnistia e ricevere in cambio qualche favore che possa includere benefici economici e silenzi diplomatici», conclude Yoani nella sua analisi.

Dal canto suo, il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Managua, Monsignor Silvio Báez, costretto all’esilio prima a Roma e ora a Miami, ha commentato su Twitter con queste parole la condanna a oltre 26 anni: «Un odio irrazionale e sfrenato della dittatura nicaraguense contro il vescovo Rolando Alvarez. Sono vendicativi e non hanno resistito alla sua altezza morale e alla sua coerenza profetica. Rolando sarà libero, Dio non lo abbandonerà mentre loro sprofondano ogni giorno di più nella loro paura e nel loro male».

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