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Home Ambiente

Nella crisi energetica i nostri governi hanno più colpe di Putin

Demonizzare i combustibili fossili mentre il mondo ne è ancora dipendente non poteva che portare a questi prezzi stellari. Non stupisce che le economie emergenti non ci seguano

Bjørn Lomborg
18/10/2022 - 6:23
Ambiente
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Bruciatore di un fornello a gas
Foto Ansa

Il mondo sta prendendo coscienza del fatto che l’obiettivo delle politiche climatiche di azzerare le emissioni di CO2 comporta sofferenze economiche rovinose. L’anno scorso i prezzi dei combustibili fossili si sono impennati del 26 per cento in tutte le economie industrializzate e quest’anno aumenteranno di un ulteriore 50 per cento. I politici incolpano l’invasione russa dell’Ucraina, ma le tendenze di lungo periodo derivano principalmente dal fatto che i governi demonizzano i combustibili fossili mentre le loro società ne sono ancora dipendenti. Dagli accordi di Parigi del 2015, gli investimenti globali nei combustibili fossili si sono dimezzati, facendo salire inevitabilmente i prezzi.

Gli attivisti sono convinti che con l’incremento dei prezzi la gente passerà in modo indolore alle fonti di energia rinnovabili. Ma hanno fatto un grosso errore di calcolo: le rinnovabili sono ben lontane dall’alimentare il mondo. Solare ed eolico possono funzionare soltanto con massicce quantità di energia di back-up – per lo più combustibili fossili – che continui a far andare il mondo quando si spegne il vento, il cielo si rannuvola o cala la notte. Per di più, le rinnovabili generano principalmente energia, che è appena un quinto del totale di energia che consumiamo: la maggior parte è energia non elettrica, come nel caso dei trasporti, dei processi industriali, del riscaldamento.

È questo il motivo per cui il mondo ottiene tuttora l’80 per cento della sua energia da combustibili fossili, e le rinnovabili ne forniscono solo il 15 per cento. E non ci sono svolte in vista: perfino l’amministrazione Biden prevede che nel 2050 per l’energia il mondo dipenderà ancora al 70 per cento dai combustibili fossili.

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Eppure le politiche per l’azzeramento delle emissioni impongono a forza tagli ancora più imponenti al consumo di combustibili fossili, contribuendo alla riduzione degli investimenti e rendendo tali fonti estremamente costose ancor prima che le alternative possano prenderne il posto. Di qui le sofferenze planetarie, come l’inverno a cui si sta avvicinando l’emisfero settentrionale, dove l’Europa si prepara ad affrontare cali di tensione e si stima che due terzi della popolazione britannica si ritroveranno in condizioni di povertà energetica.

Le misure da evitare sono quelle esibite dai paesi ricchi: la Germania si avvia a spendere entro il 2025 oltre 500 miliardi in politiche climatiche, sebbene sia riuscita solamente a ridurre la propria dipendenza dai combustibili dall’84 per cento del 2000 al 77 per cento di oggi. McKinsey calcola che raggiungere l’obiettivo “net zero” costerà all’Europa ogni anno il 5,3 per cento del suo Pil per asset a basse emissioni, o più di 200 miliardi di dollari l’anno solo alla Germania. È più di quanto il paese spenda per educazione, polizia, tribunali e prigioni messi insieme.

Gli Stati Uniti hanno puntato tutto sull’ambizione di arrivare ad azzerare le emissioni, con la più costosa legislazione contro il cambiamento climatico della loro storia. Con l’Inflation Reduction Act l’amministrazione Biden progetta di spendere 369 miliardi di dollari per promuovere energie a basse emissioni e veicoli elettrici. Questo maxi esborso però sortirà effetti trascurabili sul cambiamento climatico: il denaro speso contribuirà a ridurre l’incremento globale della temperatura di una grandezza nemmeno misurabile, verosimilmente di 0,0005 gradi.

Non stupisce che le economie emergenti si mostrino riluttanti alla prospettiva di dover imitare tali pessimi provvedimenti. Il modo in cui esse affrontano il cambiamento climatico è di vitale importanza perché tre quarti di tutte le emissioni in quel che resta del XXI secolo proverrà da quelli che oggi sono i paesi in via di sviluppo: India, Cina e paesi dell’Africa e dell’Asia.

L’India ha realizzato che puntare ad azzerare le emissioni di CO2 «comporterebbe costi astronomici» e richiederebbe di fatto una «completa trasformazione» della sua economia. Farlo, osserva il ministro dell’Ambiente indiano nel suo secco rifiuto, «potrebbe far deragliare i nostri piani di sviluppo». In effetti l’India ha scoperto che una simile politica costerebbe così tanto al paese che Nuova Delhi dovrebbe chiedere all’Occidente di pagare mille miliardi di dollari solo per avviare il processo. Inoltre l’India e altri paesi in via di sviluppo si sono uniti per domandare congiuntamente entro il 2030 altri 1.300 miliardi di dollari ogni anno per “climate financing”, in aggiunta a quanto i paesi ricchi hanno già promesso.

Le economie emergenti non sacrificheranno gli obiettivi di eradicare la povertà e dello sviluppo economico per seguire un approccio che comporta così tante sofferenze per un beneficio climatico così ridotto.

In mancanza di sostituti accessibili ed efficaci dei combustibili fossili, la politica climatica sposata dalle economie avanzate produce soltanto bollette energetiche più salate e tassi di crescita inferiori, per ottenere minuscoli cambiamenti nell’incremento della temperatura.

Esistono per fortuna approcci alternativi molto più intelligenti. La migliore strategia di lungo periodo sarebbe il drastico aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo sull’energia pulita. Sarebbe molto più efficace pur costando probabilmente dieci volte meno dell’approccio scelto dall’Europa e dagli Stati Uniti. E sarebbe anche molto più plausibile una sua implementazione da parte dei governi di tutto il mondo.

Pensate a come il computer è passato da essere incredibilmente raro e costoso a essere una cosa normale ed economica. I governi non hanno ottenuto questa rivoluzione distribuendo negli anni Sessanta e Settanta sussidi per fare installare in ogni abitazione dell’Occidente grossi e inefficienti computer. I passi avanti sono stati realizzati grazie alla spesa pubblica e privata in ricerca e sviluppo, che ha portato a molteplici innovazioni, che a loro volta hanno portato le tecnologie a divenire sempre più commercializzabili, veicolando ulteriore ricerca e sviluppo in un circolo virtuoso. Ecco l’esempio che dobbiamo emulare nell’ambito dell’energia pulita.

Oggi nei paesi ricchi, politiche energetiche studiate per rendere più costosi i combustibili fossili stanno producendo esattamente l’esito che dovevano produrre. Ciò comporta purtroppo grande sofferenza, e davanti a noi un inverno molto cupo. Altri paesi dimostrano la loro saggezza prestando attenzione a questa lezione. Tutti noi dovremmo piuttosto imboccare la via dell’innovazione.

Tags: cambiamento climaticoClimacrisi energeticaemissioni co2
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