«Spotify no vax». La moralina di Neil Young si scontra con quella del mercato (e perde)

Di Caterina Giojelli
02 Febbraio 2022
La piattaforma streaming si tiene stretta il seguitissimo podcaster Joe Rogan, reo di avere ospitato antivaccinisti. Il cantautore corre da Amazon (che in Cina prende ordini da Pechino)
Un fotogramma del servizio della CBS sull'addio di Neil Young a Spotify
Un fotogramma del servizio della CBS sull'addio di Neil Young a Spotify

«Le false informazioni sui vaccini fanno morire le persone. Potete avere Young, o Rogan, non entrambi». E cosa ha scelto Spotify? La pecetta, con grande disgusto di Michele Serra che disprezza ciò che “vende” al punto di offrire «destra e sinistra, scienza e superstizione, cultura e ignoranza, competenza e ciarlataneria, tutto nello stesso sacco». Di cosa stiamo parlando? Ma dell’avvincente saga che ha visto protagonisti Neil Young, Spotify, la scienza, Amazon Music e indirettamente il Partito comunista cinese. Riassumiamola.

L’aut aut di Young a Spotify

La leggenda del rock Neil Young, l’hippy e libertario musicista canadese antitrumpiano, si fregia di aver dato l’aut aut alla piattaforma Spotify, rea di ospitare impunemente il podcast di Joe Rogan. Rogan è un podcaster americano, appunto, comico, attore, commentatore disprezzato da Young e compagnia cantante (letteralmente: a Young hanno fatto seguito le proteste di Joni Mitchell e altri) per aver intervistato un medico che si oppone alle vaccinazioni sui bambini: «Bugie vendute per soldi!», ha tuonato Young, sopravvissuto da ragazzo al virus della poliomielite prima che esistesse un vaccino, accusando Spotify di «aver diffuso informazioni false sui vaccini, causando potenzialmente la morte di coloro che credono nella disinformazione». Morale? Scegliete, ha detto il cantante, «o me o Rogan».

Immaginate Spotify: il podcast “The Joe Rogan Experience”, pagato a Rogan dal gigante dello streaming musicale la bellezza di 100 milioni di dollari, è il più popolare di sempre, viene scaricato quasi 200 milioni di volte al mese. Rogan è una spina nel fianco: ha sempre detto di non essere no vax, ha ospitato le opinioni di vaccinisti come Michael Osterholm, membro del comitato consultivo Covid-19 del presidente Joe Biden, ma ha anche dato spazio a opinioni diverse in un programma che ha una media di 11 milioni di ascoltatori per episodio. Non pago di aver intervistato il gran visir dei complottisti Alex Jones, Rogan ha anche sentito Robert Malone, un virologo che ha lavorato alle prime ricerche sulla tecnologia mRNA alla base di diversi vaccini Covid-19, ma che ora è critico nei confronti dei trattamenti, cosa che ha portato un gruppo di medici a indirizzare una dura lettera a Spotify.

La pecetta disclaimer sui podcast

E come ha reagito la piattaforma? Come Netflix con David Chappelle (il comico nero che sfotte senza pietà la cancel culture e prende in giro gay e trans, i quali hanno chiesto inutilmente la rimozione del suo show da 20 milioni di dollari a puntata): ha assicurato che aggiungerà dei disclamer a qualsiasi podcast che parli di Covid-19. Cioè la classica pecetta già vista su Facebook, YouTube e Twitter che rimanda a un sito di informazioni verificate, la minaccia di rimuovere o cancellare pericolose falsità, nuove linee guida e blabla.

In pratica, quel furbone del ceo di Spotify Daniel Ek ha salutato Young e si è tenuto Rogan, il quale dopo aver assicurato di essere «un grande fan di Neil Young» e avere approvato le pecette di Spotify, ha promesso che d’ora in poi farà del proprio meglio «per cercare di bilanciare i punti di vista più controversi con i punti di vista di altre persone», così da arrivare al punto di vista più «equilibrato»possibile.

Young va su Amazon, che segue la scienza (e la Cina)

E Neil Young? Seguito da Joni Mitchell, che si è detta solidale a lui «e alle comunità globali scientifiche e mediche sul tema», dal chitarrista americano Nils Lofgren, fiero di non «voltare le spalle» ai medici «per denaro e per potere», e da altri – pochi – che potevano permetterselo, ha sbaraccato da quel venale regno della disinformazione che è Spotify, quel covo «nel quale la sola differenza in corso d’opera è tra ciò che non vende, e scompare, e ciò che vende, e sopravvive – ha pontificato Michele Serra parlando del «sacco» in cui Spotify mette «tutto» e in cui «se sei bravo ti orienti, e peschi giusto, se non sei bravo galleggi nel caos. La pretesa di poter contenere TUTTO, di poter essere TUTTO: esiste una definizione più efficace di totalitarismo? Neil Young suggerisce l’antidoto, che è ricominciare a scegliere. Per smettere di essere scelti, scegliamo noi dove stare e con chi stare». E Neil Young ha scelto: si è trasferito su Amazon Music.

Di più, ha deciso di regalare a tutti i suoi fan quattro mesi di abbonamento gratuito ad Amazon Music, il servizio musicale del probo Amazon che giammai baratterebbe l’informazione corretta con la speculazione, l’etica delle responsabilità con la propaganda. A meno che non sia quella di Pechino e che non si tratti di rimuovere tutte le critiche e le recensioni negative al saggio del presidente cinese, Xi Jinping The Governance of China da Amazon.cn. Secondo un recente scoop di Reuters, due anni fa Pechino emanò un editto a cui il colosso dell’ecommerce americano si è molto ossequiosamente piegato: se volete continuare a fare affari in Cina disabilitate commenti e recensioni, face sapere il Partito comunista alla società di Jeff Bezos, nessuno discuta Xi Jinping. Ha ragione Serra: bisogna ricominciare a scegliere. Purché si possa continuare a vendere qualcosa.

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