
Chi non vuole che Musk vinca la sua scommessa su Twitter

I più lesti, ma non per questo più originali, avevano già annunciato il loro addio quando la notizia dell’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk era appena uscita. «Cancello l’account», «disinstallo la app», «mi disiscrivo». Lutti nelle redazioni, panico tra i competenti, allarme democratico lanciato dagli editorialisti. Come quelli che «se vince Trump emigro in Canada» e i nostri «se vincono Salvini o Meloni mi trasferisco in Francia», i sedicenti democratici di mezzo mondo hanno già lanciato l’allarme prima ancora che l’uomo più ricco del mondo concluda l’acquisto del social network inventato da Jack Dorsey e diventato negli anni il bastione del pensiero elitario progressista spacciato per piazza di libero confronto.
Chi (e perché) ha paura di Elon Musk
C’è chi parla di “fine del mondo”, chi ha già pubblicato i tutorial per disiscriversi da Twitter, chi parla di democrazia in pericolo e chi – quasi tutti – è terrorizzato dall’idea che Donald Trump ricominci a twittare. La libertà di parola è messa così male che è dovuto arrivare un miliardario libertario a prometterne un po’ di più per entusiasmare gli animi di chi a destra si sentiva censurato e spaventare a morte chi ha sinistra pensa che con meno moderazione la sua opinione sarà a rischio.
Chi oggi si agita per qualcosa che ancora non esiste (Twitter controllato da Elon Musk) è in fondo spaventato dall’idea di perdere potere culturale. Il social dell’uccellino blu è tra quelli con meno utenti e meno prospettive di crescita (attualmente), ma è l’unico dove ci sono quasi tutti i politici, i giornalisti e gli attivisti che di fatto modellano il dibattito pubblico occidentale. Come abbiamo già scritto, il board di Twitter in questi anni ha fatto politica, indirizzando con la moderazione le discussioni a favore di certe tesi rispetto ad altre, dalla crisi climatica alle elezioni passando per i dibattiti sul gender e sulle misure di contenimento del Covid.
Non sarà facile cambiare Twitter
Con la scusa di prevenire l’hate speech e la disinformazione, si sono stabiliti arbitrariamente i confini di ciò che è accettabile, bollando come “odio” o “fake news” ciò che non lo è, a prescindere dal fatto che sia oggettivamente vero (ne sa qualcosa J.K. Rowling). Poiché ciò che nasce e cresce su Twitter si riversa negli articoli di giornale, nei programmi elettorali, nelle decisioni su chi licenziare in un’azienda o cancellare in un’università, nelle proteste di piazza, il gioco è fatto. L’arrivo di Elon Musk sembra minacciare tutto questo, e dovremmo essergli grati anche solo per averlo reso evidente a tutti grazie alle reazioni scomposte dei suoi detrattori.
«Musk trasformerà Twitter da una piattaforma censoria e partigiana in cui puoi essere bandito a vita per misgendering e rischiare di essere censurato per aver messo in dubbio l’origine interamente antropica del cambiamento climatico in un “liberi tutti” intellettuale in cui ogni le opinione si potrà esprimere? Resta da vedere. Non ne sono del tutto convinto», scrive Brendan O’Neill sullo Spectator. Non solo per la sua idea di free speech, ma anche perché Twitter è un treno in corsa da parecchi anni, e fargli cambiare binario non sarà semplice.
Le regole europee e il peso degli inserzionisti
Thierry Breton, commissario europeo per il Mercato interno, ha fatto subito sapere al fondatore di Tesla che una volta in mano sua il social network dovrà comunque rispettare le regole del blocco sulla moderazione dei contenuti illegali e dannosi. «Che si tratti di automobili o di social media, qualsiasi azienda operante in Europa deve rispettare le nostre regole, indipendentemente dai suoi azionisti». I regolatori europei sono soltanto alcuni dei molti che renderanno complicata la vita a Musk, spiega il Wall Street Journal, segnalando come utenti, legislatori, attivisti e inserzionisti chi potrebbe avere da ridire nei confronti di una piattaforma troppo “libera”.
L’eccesso di moderazione dei tweet piace a chi investe in pubblicità su Twitter, ad esempio. Come osservato da Ben Black, dirigente a Deutsche Bank, una casa automobilistica non gradirebbe vedere i propri tweet sponsorizzati accanto al video di una decapitazione. Musk ha speso molti soldi per un’azienda che non cresceva più (indicativo il fatto che il consiglio di amministrazione abbia cambiato idea così in fretta rispetto alla sua offerta: più degli ideali conta la pecunia), dovrà stare attento a non perdere gli investitori pubblicitari, che però da soli non bastano a colmare il divario tra il reale valore dell’azienda e la sua percepita importanza nel formare la coscienza pubblica.
Il compito è improbo, promettere più libertà di parola è uno slogan perfetto che però andrà messo in pratica. Per ora ci ha permesso di vedere «il vero io» dei suoi odiatori, come dice ancora O’Neill, i quali «hanno mostrato il loro desiderio autoritario ed elitario di mettere le loro idee al di sopra del regno della libertà e della contestazione». Per questo «sono una minaccia molto più grande per la società moderna di quanto potrebbe mai essere Elon Musk».
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