
Meno male che c’è Michela Murgia. No, non è una battuta, è una consolazione. A leggerla, il mio anti-italianismo congenito sfuma. Almeno, questo è successo come quando mi hanno spedito la sua prosa sulla Stampa: torno ad apprezzare questo Paese derelitto, con tutti i suoi difetti, che invito i miei figli ad abbandonare non appena se ne presenti l’occasione.
La sintesi del suo articolo, dedicato a Paola Egonu, pallavolista di successo, italiana di pelle nera e sessualità libera, che a Tokyo porterà la bandiera olimpica a cinque cerchi (quella italiana sarà nelle mani della tiratrice Rossi e del ciclista Viviani) è che una/o su mille ce la fa e ci soprattutto riesce nonostante noi, cioè una ragazza/o immigrata/o o nata/o qui non ha importanza ma comunque appartenente a una minoranza, arriva in alto non grazie al sistema Italia, arriva a portare la bandiera olimpica, rappresentando tutti gli atleti del mondo, non perché è eccezionale, e lo è, certo, ma perché è un’eccezione in un paese che alle persone di un altro colore, di un altro luogo, di un’altra idea sessuale, non offre opportunità, ma solo ostacoli, discriminazione, violenza.
I superiori e le bestie
Non mi addentro nel caso particolare, piuttosto segnalo la ripetizione di uno schema che si manifesta dagli anni Settanta, per chi c’era e chi se li ricorda. Lo schema è questo: c’è un gruppo di “superiori” che hanno capito tutto e il resto sono bestie che non hanno capito niente e ammorbano solo l’aria. C’è un’intellighenzia che non si chiama così, però ci siamo capiti, che ci illumina, spiegandoci chi siamo e soprattutto quanto brutti, sporchi e cattivi siamo, quanto sia pessimo questo paese, quanto siamo scemi se votiamo quel politico o leggiamo quel libro, quanto siamo disprezzabili e degni di essere umiliati sulla piazza (una volta fisica, ora virtuale) se non la pensiamo come loro. Se, magari, non dico omofobi ma solo un po’ dubbiosi sul ddl Zan ci permettiamo di essere.
Paola Egonu usata da una snob
Li sentite? Io lo sento da 50 anni questo birignao, questo snobismo che una volta si traduceva in botte nelle scuole, nelle università, nelle piazze e ora usa le spranghe del politicamente corretto per far tacere ogni opposizione, ogni diverso parere. Sono loro a dirci quale “diverso” sia accettabile. No, Michela Murgia non parla di Paola Egonu, parla di un modo di intendere la vita e il prossimo dove il disprezzo per chi la pensa diversamente è al primo posto, dove solo in pochi hanno veramente capito come va questo Paese e tutti gli altri invece no, neanche se ne accorgono. E allora ce lo spiegano loro ma senza la possibilità di contraddittorio. Zitti e ascoltate. Roba vecchia, per sfortuna mai venuta meno. Un modo di vedere parziale, lo sanno bene, ma chissenefrega.
A Murgia non frega nulla di Egonu
Potremmo obiettare che, accanto ai razzisti/fascisti/sovranisti/omofobi/violenti c’è una maggioranza silenziosa (ma non come quella di una volta prona e mediocre) che non usa parole vuote, ma fa i fatti ogni giorno, cambiando con la loro vita quelle degli altri, dando sostegno, aiutando, sorreggendo tante persone, tante ragazze e ragazzi come Paola Egonu, senza essere nominati, senza essere raccontati, perché, come dice un’antica legge del giornalismo: non c’è miglior notizia di una cattiva notizia.
La parte migliore di un paese che non è uno su mille, ma 300, 400 anche 600 su mille, resta sotto i radar di Michela Murgia e degli “spiegatori” ai quali non interessa, del resto, perché non sono interessati. A loro di Paola Egonu e della sua storia, in fondo, frega cazzi (direttore sono caduto sul filo di lana, per stare in ambiente olimpico). Perché è il racconto del male, sempre e comunque, che esalta la loro superiorità di unici ad aver capito tutto.