Movimento 5 stelle. Fu vera gloria?
Fu vera gloria? È una domanda difficile cui rispondere nel caso della storia del Movimento 5 Stelle. Nato come forza anti-politica e anti-establishment, andato al governo la prima volta come forza anti-sistema, finito poi prima nelle braccia del centrosinistra e poi in un governo di larghe intese guidato da Mario Draghi.
Nemmeno i detrattori più spietati possono negare che l’ascesa del Movimento abbia avuto dei tratti eccezionali. Una associazione snobbata da tutti, poco o nulla considerata dalla politica ufficiale, guidata da un comico ed un informatico, partita da zero, con attivisti sconosciuti ed arrivata allo straordinario risultato del 33 per cento di consensi alle elezioni politiche del 2018.
Nella politica italiana non si era mai visto nulla di simile, nemmeno la discesa in campo di Berlusconi ottenne risultati tanto sorprendenti.
L’humus in cui è cresciuto
L’humus del Movimento 5 Stelle non va ridotto esclusivamente al popolo viola, al Fatto quotidiano, ai blog, e ai movimenti anti-berlusconiani degli anni 2009-2011, ma va inquadrato in un percorso iniziato molto prima.
È nella cultura giustizialista e nel clima di sfiducia politica nei confronti dei partiti, esplosa con Tangentopoli, che vanno ricercate le sue radici.
È anche nello stringersi del vincolo esterno europeo, con una classe politica che scarica le colpe e che trasforma le riforme in rinunce, che si innestano i futuri successi del Movimento.
È negli spettacoli fiume di Beppe Grillo dei primi anni duemila, in cui il comico predispone le fondamenta della sua rete e del suo messaggio politico, che si deve andare a cercare.
Il mito fondativo
Il verbo anti-casta si consolida in quel periodo, tra gli anni Novanta ed il nuovo millennio, quando la politica entra nell’era della sfiducia, l’elettorato pretende palingenesi, i vecchi media vengono portati alla sbarra, l’Europa muta da opportunità in fardello.
In questo contesto, matura il Vaffa alla classe politica. Un “fuori tutti” che incrocia le speranze di un establishment freddo con Berlusconi ed esasperato dai fallimenti della sinistra.
Ma non può esserci un grande successo senza mito fondativo, creazione che viene affidata al sistema elaborato da Gianroberto Casaleggio. Il non-partito in rete, i meet-up cittadini, l’uno vale uno, le votazioni sul blog, una forma sbilenca di democrazia diretta. Tutto funzionale all’ascesa politica e alla rottamazione dei vecchi partiti.
Sì, rottamazione, perché senza la pressione del Movimento 5 Stelle, Matteo Renzi sarebbe morto in culla e anche Salvini non avrebbe preso così giovane le redini della Lega. E non è un caso che Di Maio si sia alleato sia con l’uno che con l’altro e oggi governi con entrambi. Il grillismo, come spinta alla rinfusa del rinnovamento, è penetrato ovunque.
Il M5s è diventato il suo contrario
Oggi siamo molto lontani da quei tempi: Casaleggio senior è spirato, il figlio Davide ha divorziato dal Movimento, lo sconosciuto ragazzo pentastellato Luigi Di Maio è un consumato politico di professione, Alessandro Di Battista è fuori da tutto ma si diletta come showman e Giuseppe Conte, il felpato professore di diritto, è prima diventato presidente del Consiglio con due maggioranze diverse e ora cerca di mettersi alla testa di ciò che resta dei grillini.
Nel frattempo, il Movimento che per molti aspetti ha distrutto la vecchia politica è divenuto il contrario di ciò che era in premessa. I referendum sull’euro hanno lasciato posto ad un europeismo di maniera; le posizioni radicali sull’ambiente e le infrastrutture si sono piegate a qualunque convenienza politica; il blog è stato sostanzialmente accantonato; la democrazia diretta è stata trasformata in correnti; il partito di maggioranza relativa si è evoluto in una scatola priva di idee a sostegno di un governo di puro establishment.
Cosa è rimasto del grillismo
Maturazione o tradimento? Non c’è una netta linea di demarcazione per chi osserva con realismo. Il Movimento di oggi è meno pericoloso di quello di ieri, ma è anche il modello di una politica vuota e nichilista. Di un esercizio paretiano di circolazione delle élite politiche senza capacità di riforma. E simbolo della precarietà dell’antipolitica e della demagogia, in un paese costretto a fare i conti con tanti vincoli esterni economici, geopolitici, finanziari.
In definitiva, il Movimento 5 stelle è stato più una cinica operazione cosmetica che una rivoluzione. Una meravigliosa operazione di marketing politico e ricircolo della classe politica. Di ostentato dilettantismo contro i politici di professione per sostituirli con quelli che sono diventati nuovi politici di professione.
E sul piano delle politiche pubbliche? Qualche taglio inutile alle poltrone ed un disfunzionale reddito di cittadinanza. Nulla più. È stato una grande vela che ha intercettato a pieno titolo lo spirito del tempo, le debolezze e le intemperanze di un paese. Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza.
Foto Ansa
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