Il disegno di legge Cirinnà sarà approvato per il semplice motivo storico per cui le peggiori leggi contro la famiglia e la vita, cioè quella sul divorzio e quella sull’aborto, furono approvate sotto l’ala di maggioranze democristiane e Governi guidati da cattolici, rispettivamente Rumor nel 1970 e Andreotti nel 1978, per cui anche quest’ennesimo scempio giuridico costituito dalle unioni civili sembra avere altissime probabilità di essere approvato da un Parlamento sostanzialmente democristiano sotto un Governo guidato da un sedicente cattolico come Matteo Renzi.
Questo per quanto attiene la vicenda politica che, come tale, è alla fine sempre marginale, specialmente se, come in questo e nei precedenti casi, non determinata dal perseguimento del bene comune, ma soltanto da logiche di spartizione del potere, di reciproci “do ut des”, di campagne ideologiche, di pressioni lobbistiche.
A fronte di tutto ciò, cioè della politica nel senso deteriore del termine, si stagliano motivi razionali e ragionevoli ben precisi che dovrebbero indurre la ragione e la coscienza dei parlamentari e degli italiani (in caso di referendum) a votare e schierarsi contro il ddl Cirinnà per poter ripristinare un impegno politico nel senso nobile del termine, cioè proteso davvero al bonum commune, ovvero, aristotelicamente, alla difesa di principi universali e interessi generali e non di capricci personali e guadagni particolari.
Si devono distinguere, quindi, motivi sistemici e motivi specifici per dire no alle unioni civili.
Tra i motivi sistemici se ne trovano alcuni che occorre tenere sempre ben presenti.
In primo luogo: l’idea di progresso sociale che da più parti si sbandiera non è effettivamente tale solo perché tale lo si annuncia.
Insomma, se al progresso sociale segue un regresso morale, il progresso sociale è solo un presunto progresso, ma in sostanza un effettivo regresso.
Il socialismo o il fascismo, in fondo, sono stati presentati come momenti di progresso dell’umanità, ma ben si sa in che regressione antiumana hanno condotto l’intero XX secolo.
Le unioni civili, in questo senso, sono (kantianamente) un regresso morale poiché elevano e impongono il capriccio soggettivo a legge generale.
In secondo luogo: l’idea che il bene sia soltanto ciò che ciascuno desidera per sé e che la legge non può impedire comporta, appunto, che non si persegua più il bene di tutti, ma soltanto quello di alcuni, cioè, di volta in volta, dei più forti, dei più ricchi, dei più influenti.
La politica diventa insomma la semplice traduzione legale degli interessi di una oligarchia e non il perseguimento del bene comune, cioè di tutti.
Il mercatismo capitalistico ha ben insegnato, in questi anni di dura crisi, che tipo di distorsioni sociali e morali si generano se la politica si occupa soltanto della difesa degli interessi di alcuni a scapito della giustizia e dei principi etici sovraordinati.
Le unioni civili, in questo senso, rappresentano soltanto la trasposizione legale degli interessi della potentissima oligarchia Lgbt.
In terzo luogo: ritenere che il bene non sia universale, ma interpretabile, invece, secondo una logica soggettivistica (individuale o di un piccolo gruppo), o, addirittura, che non sia per nulla conoscibile, significa adottare una logica sostanzialmente relativistica, mostrando cioè quella innata, e tipica del relativismo, sfiducia nella ragione umana e nella sua capacità di conoscere il mondo e i principi (anche) etici che lo governano.
Il relativismo etico del XX secolo ha dimostrato fin troppo bene le conseguenze nefaste che si producono ogni qual volta si ritiene che la ragione non possa conoscere il bene o la verità universalmente intesi.
Le unioni civili, in questo senso, sono la perfetta espressione dell’idea per cui il bene ciascuno se lo crea da sé e la legge non può impedire di soddisfare i propri desideri.
Oltre i motivi sistemici vi sono anche i motivi specifici per cui alla luce della semplice ragione occorre che tutti ci si opponga al disegno di legge Cirinnà in via di approvazione.
In primo luogo: l’unione civile già esiste, e si chiama matrimonio, sancita e disciplinata dal Codice Civile a determinate condizioni e presupposti, come ogni istituto giuridico.
Tentare di stravolgere la disciplina del Codice Civile sul solo assunto che sarebbero mutati gli assetti e le esigenze sociali significa voler utilizzare logiche inconciliabili, cioè quella del diritto da un lato e quella della statistica dall’altro, tra loro tanto incompatibili quanto lo sarebbe la pretesa di voler bilanciare una equazione di chimica tramite gli strumenti offerti dalla sintassi per una traduzione dal greco antico.
In secondo luogo: ritenere che le unioni civili si debbano approvare soltanto perché altri Paesi lo hanno già fatto significa essere vittime di una forma di infantilismo giuridico che come tale, dunque, è ben poco razionale e soprattutto poco ragionevole.
Infatti, ritenere che ci si debba comportare non come si deve, ma soltanto imitando chi sta accanto significa adottare il tipico processo mimetico che caratterizza il ragionare infantilmente.
Del resto, a scuola si insegna proprio che chi copia dal compagnetto di banco sbaglia; nei concorsi pubblici si viene esclusi; nella vita si rischia di compiere gli errori altrui.
Ci si deve comportare, o si deve legiferare, dunque, non secondo ciò che altri fanno o non fanno, ma secondo ciò che è giusto; questo, ovviamente, soltanto a patto che si riconosca il giusto – ovvero il vero del diritto – in senso universale, slegato dalle contingenze degli interessi particolari di partiti, gruppi o fazioni (che come già visto, invece, stanno a fondamento dell’approvazione del ddl Cirinnà).
Le unioni civili non devono essere approvate, dunque, perché proprio la verità del diritto sarebbe violata, storpiando l’istituto familiare, aprendo all’utero in affitto, riconoscendo legami che, nonostante ciò che viene ripetuto a tamburo battente, non hanno nulla in comune con la relazionalità famigliare e che quindi non possono assurgere allo stesso rango di rilevanza costituzionale e alla medesima tutela giuridica (per questo la stessa Corte Costituzionale ha chiarito espressamente che semmai devono essere ricondotte sotto la tutela dell’articolo 2 e non dell’articolo 29 della Costituzione).
In terzo luogo: ritenere che le unioni civili debbano essere approvate perché la società è cambiata e l’ordinamento si deve adeguare, significa adottare una logica puramente formalistica del diritto che verrebbe a coincidere soltanto con la volontà (storicamente determinata e mutevole) del legislatore di turno.
In quest’ottica tutto diventa legittimo compresi i tanti provvedimenti legislativi che pur essendo stati emanati validamente, regolarmente approvati da un Parlamento a maggioranza, espressione del sentire sociale dell’epoca, sono pur sempre criticabili poiché molto ideologici e poco giuridici, cioè pur validi, ma comunque ingiusti: si pensi, per esempio, alle Leggi di Norimberga, o alla normativa svedese dei primi del ‘900 sulla sterilizzazione forzata, o a tantissimi altri casi analoghi di cui abbondano la storia del diritto e della legislazione.
Le unioni civili, dunque, non devono essere approvate proprio per preservare la natura del diritto che non consiste nella mera ratificazione formale della volontà del legislatore o del “sentire sociale”, ma nella trasposizione della giustizia, cioè, in altri termini, della retta ragione (come insegnano, tra i tanti, sia Aristotele, nel mondo pagano, sia S. Tommaso d’Aquino, nel mondo cristiano).
In quarto luogo: ritenere che le unioni civili si debbano approvare sull’assunto che anche il matrimonio è un contratto, significa non avere le idee chiare e più ancora muoversi maldestramente tra i concetti giuridici, poiché il matrimonio, almeno nell’ordinamento italiano, non è un contratto, in quanto non ha come obiettivo la regolazione di interessi patrimoniali, cioè economicamente valutabili.
Su questa base occorre decidersi: se le unioni civili sono simili al matrimonio non possono essere considerate un contratto, e, allora, non vi sarebbe ragione di approvare uno pseudo-matrimonio se già esiste il matrimonio vero e proprio di cui occorre rispettare modalità e presupposti (per esempio maggiore età e differenza di sesso); se, per converso, fossero da considerare un contratto non si potrebbero e dovrebbero assimilare al matrimonio da cui, anzi, sarebbe opportuno che si differenziassero in modo netto ed inequivocabile, e, quindi, non vi sarebbe comunque ragione di approvare un ulteriore tipo di contratto ben potendosi ricorrere e adattare agli schemi contrattuali già esistenti.
In entrambi i casi il ddl Cirinnà non dovrebbe essere approvato.
In quinto luogo: ritenere che le unioni civili debbano essere necessariamente approvate perché lo richiede l’esigenza di non discriminare i pur pochi che ne farebbero uso senza ledere i molti che non vi ricorrerebbero, significa necessariamente correre il rischio di accettare le conseguenze di un simile pericoloso modo di procedere.
In quest’ottica, infatti, nessuno potrebbe evitare che poco più avanti si approvasse di tutto, come per esempio la poligamia o altre bizzarrie come il matrimonio di gruppo, il poliamore, gli amori incestuosi, l’efebofilia, la pedofilia e altro ancora.
La questione non è del resto ipotetica, ma reale e concreta, come dimostra l’ultimo intervento di Chiara Lalli su Internazionale in cui già si confessa apertamente che le unioni civili sono da rottamare poiché è l’ora di cominciare a parlare del cosiddetto “matrimonio plurale”: «Discutiamo da anni di Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi (Dico), Diritti doveri reciprocità (Didore), Patto civile di solidarietà (Pacs), unioni civili. Del matrimonio, però, no, perché non si fa […]. La legge deve favorire oppure ostacolare i diritti individuali, se non danneggiano altri? Perché non ci si può sposare in più di due? Chi lo ha stabilito e chi dice che non possa cambiare? Molti comportamenti in passato erano giudicati inammissibili, molte leggi erano ritenute giustificabili – e ora non è più così. Siccome abbiamo sbagliato spesso nel passato, non dovremmo essere tanto sicuri che il nostro giudizio morale attuale sia infallibile. Il matrimonio (civile) è un contratto, determinato dal contesto politico e sociale, mutato e mutabile nel tempo. Non è una verità rivelata. Che ci si possa sposare tra due persone è una convenzione e non è nemmeno universale. Deve essere una condizione immutabile? Per sostenere il divieto andrebbero dimostrate le ragioni per cui sarebbe dannoso farle cadere. Non basta che a qualcuno potrebbe non piacere, che poi se non gli piace basta non sposare più di una persona, semplice. La domanda è giuridica, non morale, non religiosa, non personale. Quello che fareste voi è irrilevante, se non per voi e forse per i vostri amici. La domanda è se ci sono abbastanza ragioni giuridiche per vietare l’ampliamento numerico. E la risposta è sorprendente: no, non ci sono […]. Perché ostinarsi a dettare le regole? In fondo Liz Taylor si è sposata otto volte. È stata una poligama seriale verticale invece che orizzontale. Sono forse affari vostri?».
Le unioni civili non si devono approvare proprio per evitare una simile deriva.
Il ddl Cirinnà, insomma, non deve essere approvato per motivi puramente razionali, e perché occorre ricordare che è il sentire sociale che deve orientarsi alla retta ragione e non il contrario.
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