
La morte del leader dello Stato islamico non è la fine dello Stato islamico

L’uccisione del leader dello Stato islamico, Abu Ibrahim al Hashimi al Qurayshi, il successore del fondatore del movimento terroristico Abu Bakr Al Baghdadi, avvenuta la scorsa notte in un’operazione condotta dalle forze speciali statunitensi nel nord della Siria, giunge in un momento di risorgenza del gruppo che dal 2014 al 2019 ha controllato un territorio che andava dall’est della Siria fino all’Iraq, occupando la provincia di Ninive e quella di Anbar.
Il raid contro il capo dello Stato islamico
Al pari delle operazioni che portarono alla morte del fondatore di Al Qaeda, Osama bin Laden (2011) e del già citato fondatore dell’Isis, Al Baghdadi, anche in questa occasione le azioni sono state seguite in diretta dal presidente degli Stati Uniti e dal suo staff. Le notizie di un raid condotto nella notte nel nord della Siria erano già state diffuse e confermate in un primo tempo dal Pentagono, ma è stato lo stesso Joe Biden a confermare l’uccisione del leader dello Stato islamico in un comunicato in cui ha parlato di un’operazione di successo «per proteggere il popolo americano e i nostri alleati».
Il raid, in cui sono morte almeno 13 persone (tra cui sei bambini), è avvenuto poco prima della mezzanotte nella cittadina di Atmeh ed è stato condotto da militari statunitensi elitrasportati i quali hanno circondato un’abitazione di tre piani e dato il via a un intenso scontro a fuoco con gli uomini di Al Qurayshi. Come rivelato dallo stesso Biden, il leader dello Stato islamico è sfuggito alla cattura facendosi esplodere insieme ai suoi familiari impiegando una tattica già impiegata dal suo predecessore Al Baghdadi.
Nello scontro a fuoco, durato circa due ore, uno degli elicotteri delle forze speciali Usa, costretto secondo il Pentagono a un atterraggio di emergenza a causa di un problema tecnico, sarebbe stato distrutto da un altro velivolo al termine dell’operazione, dopo il ritiro dei militari statunitensi. Sui social media intanto circolano le foto dell’edificio Atmeh in cui è avvenuta l’operazione, comprese le immagini dei rottami dell’elicottero Usa distrutto durante il raid.
I massacri contro i cristiani in Iraq nel 2014
Sul conto del 45enne Al Qurayshi, originario della città irachena di Tal Afar, e tra i compagni più stretti di Al Baghdadi, non si hanno molte informazioni. Nato nel 1976 come Amir Muhammad Saeed Abdul Rahman Muhammad al-Mawla, il defunto leader dello Stato islamico apparteneva alla minoranza turcomanna e proveniva dai ranghi di Al Qaeda, di cui era entrato a far parte nel 2007. Secondo il Pentagono, Al Qurayshi era il responsabile dei massacri condotti contro la minoranza yazida e le minoranze cristiane durante l’invasione del nord dell’Iraq del 2014.
La sua nomina alla guida dello Stato islamico era stata annunciata il 31 ottobre 2019, pochi giorni dopo l’uccisione di Al Baghdadi, avvenuta il 27 ottobre. Il luogo in cui è stato ucciso, Atmeh, è una piccola città situata vicino al confine con la Turchia a circa 40 chilometri a nord di Idlib e a soli 26 chilometri a nord di Barisha, il villaggio in cui nell’ottobre del 2019 venne ucciso il suo predecessore. Dalle immagini diffuse dai siti siriani e dai social media arabi emerge che il suo nascondiglio era un edificio autonomo a tre piani in cemento circondato da ulivi.
Come per altre abitazioni di leader terroristici, gli interni dell’abitazione sono spartani con poco mobilio, stuoie sui pavimenti e una stufa a gasolio per scaldare gli ambienti. La cittadina di Atmeh ospita diverse migliaia di sfollati interni siriani, in gran parte famiglie dei miliziani sunniti che dal 2011 combattono il governo di Damasco, e che ormai da anni sono asserragliati nella provincia di Idlib sotto protezione della Turchia.
Il probabile tradimento dei gruppi islamisti
Atmeh è un ambiente molto “fluido” caratterizzato da un costante movimento di persone ed è stato utilizzato tradizionalmente da Al Qaeda e dai gruppi di combattenti stranieri associati come nascondiglio, sia per i propri leader che per combattenti o agenti che agiscono in Turchia e altri paesi della regione. Per gli esponenti dello Stato islamico si tratta di un ambiente complesso e rischioso ed è probabile un tradimento da alcuni dei gruppi islamisti attivi nella zona maggiormente vicini alla Turchia. La provincia di Idlib ospita molti gruppi islamisti, in particolare Hayat Tahrir al-Sham, l’ex Fronte di Nusra, precedentemente legato ad Al Qaeda. Un altro gruppo di spicco è Hurras al-Din, emerso nel 2018 da una scissione di Al Nusra e che in questi anni ha mantenuto la sua affiliazione ad Al Qaeda e una sorta di alleanza con lo Stato islamico.
L’attacco del 20 gennaio in Siria
La morte del secondo leader dello Stato islamico è avvenuta pochi giorni dopo la fine di uno dei più grandi attacchi dell’Isis dalla sua sconfitta territoriale nel 2019 che ha fatto riparlare di risorgenza del gruppo. Lo scorso 20 gennaio diverse centinaia di miliziani dello Stato islamico hanno abbandonato le loro tattiche a bassa intensità e hanno condotto un’operazione devastante e complessa contro il centro di detenzione di Al Sinaa nel quartiere Gheweran di Al Hasakah (nel nord est della Siria) gestito dalle Forze democratiche siriane (Fds), le milizie curdo-arabe alleate degli Stati Uniti.
L’attacco ha ricordato le grandi operazioni che nel 2014 avevano sbaragliato le Forze armate irachene a Mosul con un assalto condotto con attentatori suicidi a bordo di auto cariche di esplosivo e miliziani armati. Le Fds hanno impiegato ben sei giorni a riprendere il controllo dell’edificio dove erano rinchiusi 3.500 terroristi (tra cui oltre 7.000 minori) con un bilancio di finale di 373 morti, di cui 268 miliziani dell’Is, 98 combattenti curdi e sette civili. Le Sdf gestiscono ben 14 centri di detenzione nel nord est della Siria in cui sono detenuti dai 10 ai 12.000 riconosciuti come esponenti dello Stato islamico, di cui 8.000 di origine irachena e siriana, mentre tra 2.000 e 4.000 sono quelli appartenenti ad altre nazionalità, tra cui diversi nordafricani. Una sorta di bomba a orologeria pronta a esplodere senza un adeguato sostegno da parte della Coalizione internazionale.
Più attacchi in Iraq
La ripresa di attacchi e azioni di vasta portata, come l’assalto del carcere di Sinaa nella città siriana di Al Hasakah, hanno interessato anche l’Iraq e il Nord Africa, dove combattenti legati allo Stato islamico hanno iniziato a colpire con sempre più frequenza nella regione libica del Fezzan. In Iraq, lo Stato islamico ha colpito praticamente in contemporanea ad Al Sinaa, con un raid notturno, sempre il 20 gennaio, in una caserma dell’esercito iracheno nella provincia di Diyala dove sono stati uccisi nei loro letti undici militari, un sottufficiale e dieci soldati semplici.
Come sottolineato dalla stampa irachena, l’attacco è stato il più grave contro le forze di sicurezza irachene negli ultimi mesi, dopo quello avvenuto lo scorso ottobre, sempre nella provincia di Diyala quando i militanti dell’Is armati di mitragliatrici hanno fatto irruzione in un villaggio a maggioranza sciita, uccidendo 11 civili e ferendo decine di persone.
Chi sarà il successore?
Nella regione nordafricana, dove lo Stato islamico non ha mai avuto una vera dimensione territoriale a parte l’eccezione della città libica di Sirte, gli affiliati locali del gruppo hanno ripreso gli attacchi, in particolare nel sud della Libia, sfruttando la situazione di instabilità interna e muovendosi in quell’area di quasi totale anarchia che è il Sahel dove ormai si registrano continui colpi di Stato dopo quelli in Mali, Burkina Faso, Guinea Bissau e Sudan. In tutto questo, occorre poi tenere conto della filiale locale afgana dello Stato islamico, Isis-Khorasan, che dopo il ritiro delle forze Nato e la riconquista di Kabul da parte dei talebani continua a colpire con forza nel Paese asiatico, con ben 340 attacchi condotti nel solo 2021, secondo dati di Jihad Analytics.
Intanto si discute già su chi sarà il successore di Al Qurayshi. Una nomina potrebbe già giungere nei prossimi giorno considerando che lo stesso Al Qurayshi venne scelto pochissimi giorni dopo la morte di Al Baghdadi, proprio per mantenere una struttura di leadership coerente e dimostrare unità. Dopo la morte del fondatore dello Stato islamico, Al Qurayshi aveva iniziato a guidare un gruppo ormai profondamente mutato e sconfitto sul piano territoriale riportandolo nell’ombra con cellule quiescenti ma in stretto collegamento tra loro.
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