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Mons. Sako: «I cristiani iracheni vivono un Natale di paura e speranza»

Intervista a Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, che racconta come la perseguitata comunità cristiana irachena vive il Natale: «Non potremo celebrare la Messa la notte del 24 dicembre, è pericoloso. Viviamo di fede, speranza e amore ma abbiamo paura. Ora gli americani se ne vanno lasciando un vuoto che il governo non è pronto ad occupare»

Leone Grotti
16/12/2011 - 18:52
Esteri
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«Il nostro Natale è come quello di Gesù, che è nato povero e in situazione di pericolo». Sono anni ormai che il Natale, per i cristiani iracheni, non è sinonimo di festa e gioia ma di paura e apprensione. Nel 2010, uomini di al Qaida hanno attaccato la chiesa siro-cattolica Nostra Signora della Salvezza a Baghdad, il 31 ottobre, uccidendo 58 persone e ferendone più di 70. Durante tutto l’anno decine di cristiani hanno perso la vita, attaccati da estremisti islamici o da semplici criminali che sfruttano l’incapacità del governo di controllare il territorio.

Nel 2011 non si sono ripetuti fatti altrettanto gravi ma la paura non è diminuita. Martedì 13 dicembre una coppia cristiana è stata uccisa a Mosul davanti ai figli, lunedì 12 dicembre un giovane cristiano a Erbil è stato rapito e rilasciato soltanto oggi. Il 3 dicembre a Zhako, nel Kurdistan, una zona relativamente tranquilla rispetto alla capitale o a Mosul, diversi negozi e un albergo condotti da cristiani sono stati attaccati dopo che l’imam della zona aveva incitato all’odio e al jihad. In più, entro la fine dell’anno, il contingente americano di 40 mila truppe si ritirerà dall’Iraq, dopo che con l’operazione Iraqi Freedom, nel 2003, le truppe statunitensi erano entrate nel paese per destituire il dittatore Saddam Hussein.

«Il ritiro degli americani è molto negativo: lasciano un vuoto che il governo non è in grado di riempire e che riempiranno altri» spiega a Tempi.it mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk. «Noi cristiani abbiamo paura, siamo in una situazione precaria. Anche questo Natale non potremo festeggiare e non potremo fare la Messa la notte del 24 dicembre».

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Qual è la situazione dei cristiani iracheni a due settimane dal Natale?
«Una situazione triste. Non potremo fare la Messa il 24 notte, è troppo pericoloso. Solo di giorno possiamo celebrarla. Siamo precari: c’è paura, quasi 200 famiglie cristiane caldee quest’anno hanno lasciato l’Iraq, restiamo in attesa ma l’omicidio della coppia cristiana a Mosul ci ha scioccati tutti. Gli assassini hanno lasciato orfani due bambini di 3 anni e 9 mesi. Come si può anche solo immaginare di compiere un gesto del genere? Come lo si può fare in nome della religione, in nome di Dio? Quale Dio accetterebbe un gesto così disumano?».

Perché la comunità cristiana viene attaccata?
«Non lo sappiamo. Siamo innocui, non abbiamo ambizioni politiche, non siamo un pericolo per nessuno. Vogliamo solo vivere la nostra fede. Purtroppo ogni volta che c’è uno scontro tra gruppi e partiti, a pagarne il prezzo siamo sempre noi. Questo è scandaloso, non sappiamo cosa fare. La situazione dei paesi confinanti, poi, non ci aiuta, la gente non può neanche emigrare da loro. I ricchi se ne sono già andati dall’Iraq ma i poveri non hanno i mezzi per farlo. Ripeto: la situazione è triste. Noi eravamo abituati a festeggiare il Natale, in tutte le case, dopo e prima della Messa. Oggi ci è rimasta solo una cosa da fare: pregare Dio perché porti la pace nel nostro paese».

La maggior parte delle truppe americane stanziate in Iraq è già rientrata in patria. Le altre lasceranno il paese prima della fine dell’anno. Che cosa pensa di questa scelta dell’amministrazione Obama?
«Penso molto male. Tutti gli iracheni hanno paura, andandosene lasciano un vuoto. Le forze irachene, da sole, non riescono a proteggere il paese e le frontiere. Il governo ancora non si è formato del tutto e temo che questo vuoto verrà riempito da altri. C’è la mafia che rapisce le persone, uccide per soldi e la politica è debole. Noi temiamo che si verifichino gravi scontri settari. Non so se scoppierà la guerra civile, spero di no, ma ci saranno molti scontri tra diversi gruppi iracheni e il paese si può dividere davvero. Io però ho fiducia negli iracheni, spero che siano responsabili e aprano una nuova pagina scordando il passato».

La comunità cristiana di Kirkuk come vivrà il Natale?
«A Kirkuk siamo quasi in 10 mila cristiani e abbiamo preparato molte attività per l’Avvento e il Natale. Ogni giorno c’è una veglia di preghiera in una parrocchia diversa, per aiutarci a meditare sull’annuncio a Maria e il suo sì, che riguarda anche noi. I giovani posizioneranno all’entrata della Cattedrale una tenda dei beduini per sottolineare che il Signore non ci lascia e pone la sua tenda in mezzo a noi, attraverso i nostri sforzi e le nostre vite. Molte famiglie hanno raccolto fondi per aiutare le persone povere, altre donne vanno in carcere a visitare le donne musulmane. Nessuno glielo ha chiesto. Fede, speranza e amore sono il nostro pane quotidiano. Neanche quest’anno faremo la messa la notte di Natale, è impossibile, ma da noi, dove la situazione è più calma che altrove, sarà possibile farla alle 8 di sera. Alcuni imam mi hanno detto che verrà anche qualche esponente del governo. Staremo a vedere».

Tags: americaniCristianierbilestremismo islamicoimamintervistaIraqIslamlouis sakomosulnataleObamaritirotruppe
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