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Milano. Sumaya alla Cultura è il trionfo del relativismo che tanto piace al Pd

La candidatura della consigliera musulmana a presidente della commissione Cultura di Palazzo Marino riflette l’ossessione dei dem per le verniciature multiculturali

Caterina Giojelli
29/06/2018 - 2:00
Interni
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Forse il Pd vuole estinguersi, non si capirebbe altrimenti questa idea di candidare la consigliera musulmana Sumaya Abdel Qader alla presidenza della commissione cultura di Palazzo Marino. Beppe Sala ricorda che si tratta di una «commissione delicata e suscita interesse in città, quindi il mio suggerimento è di frenare un attimo e di coinvolgere in un confronto tutte le forze politiche, di maggioranza in primis, e poi di portare una soluzione condivisa». Ma ormai è bagarre, dopo le polemiche scatenate dal centrodestra (ma anche dagli esponenti della lista civica Sala che vorrebbero come nuovo presidente Alberto Veronesi) secondo Affaritaliani.it il Pd spera ora in un passo indietro spontaneo della sociologa musulmana di origini giordano-palestinesi che tanto imbarazzo portò al suo partito già durante la campagna elettorale per Sala.

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 “CTRL+ALT+CANC!”. Il caso è noto, nella famiglia d’origine della giovane non si nascondevano simpatie nei confronti di organizzazioni come Hamas, sua madre inneggiava alla resistenza palestinese sui social network, il marito Abdallah Kabakebbji scriveva post nei quali dichiarava che «Israele è un errore storico, politico, una truffa. In caso di errore che crea danno, sai cosa si fa a casa mia? Ctrl+Alt+Canc!». La stessa Sumaya, anch’essa al centro delle polemiche per alcune dichiarazioni contro lo Stato d’Israele, non prese mai fino in fondo le distanze dai Fratelli Musulmani nemmeno quando fu accusata di farne parte, né da affermazioni come quelle lanciate da Hamza Picardo, il leader storico dell’Ucoii e padre del coordinatore del Caim (associazione islamica milanese di cui Sumaya era la responsabile delle attività culturali): «Anche la poligamia è un diritto».

LA “CANDIDATA NATURALE”. «Me ne vado, il partito ha scelto l’Islam radicale» aveva dichiarato l’antropologa musulmana ed ex dirigente dem Maryan Ismail, contestando la corsia preferenziale e quasi unica concessa dalla giunta Pisapia al Caim (il coordinamento delle associazioni islamiche milanesi, in cui l’”avversaria” ricopriva un ruolo di spicco). Ebbene, oggi, dice il capogruppo Pd di Palazzo Marino Filippo Barberis, «Sumaya è la candidata naturale a quel ruolo, è attualmente vicepresidente, ha lavorato molto bene in Commissione accanto a Paola Bocci. La nostra è una candidatura basata sul merito e sulla qualità della persona e l’appartenenza religiosa di Sumaya non deve rappresentare un criterio di giudizio».

IL MERITO DI SUMAYA. Ora, il merito di Sumaya sembra invece essere proprio quello di essere musulmana. Non la sua tripla laurea in biologia, lingue straniere e sociologia, non il suo impegno indefesso contro la discriminazione di genere. Sumaya serve a un Pd con l’ossessione delle verniciature multiculturali e di un’idea di multiculturalismo volto a piallare le molte facce della cultura milanese. Come si chiama, se non relativismo culturale, la consegna della Commissione cultura a una donna di fede e cultura musulmana? E se non sottende l’assurda e contraddittoria idea che tutte le culture si equivalgano, non suona come la risposta buonista a quel cattivismo che solo a nominarlo scatena i fulmini degli opposti estremismi? Milano è una società aperta dove ha sempre trovato spazio ogni espressione politica, culturale e religiosa. Ma non è un vuoto pneumatico, ha le sue leggi (di derivazione giudaica, cristiana, illuminista e via dicendo) ed è questa la grande mistificazione che sta dietro a tanti discorsi basati sul merito e la qualità di Sumaya Abdel Qader: la sua candidatura al presidente della commissione cultura è naturale quanto la possibilità che Antonio Razzi faccia da mediatore tra Donald Trump e Kim Jong-un.

CULTURA RAINBOW. A proposito di cultura, ci girano in redazione una mail firmata dal rettorato dell’Università Milano-Bicocca: «Care studentesse, cari studenti, l’università milano Bicocca partecipa attivamente allo sviluppo della società attraverso la promozione culturale e civile della persona e l’elaborazione di una cultura fondata sui valori universali dei diritti umani, della pace, della solidarietà. Ripudiamo ogni atto di violenza, odio, discriminazione. Affermiamo il diritto all’autodeterminazione di ogni persona e crediamo che una società veramente civile non debba impedire alle persone di realizzarsi pienamente in ogni aspetto della vita. Per questa ragione anche quest’anno il nostro Ateneo ha accolto la proposta dell’associazione studentesca B. Rain – Bicocca Rainbow di esporre per una settimana una bandiera arcobaleno, segno della comunità LGBT+, tra le bandiere di piazza dell’Ateneo Nuovo». Sì perché cultura, quando non è multiculturalismo, è una variante del manuale Cencelli: una risposta alla sindacalizzazione dell’omosessualità in contesti sociali in cui il sesso e il genere e la rivendicazione a queste annesse non c’entrano nulla.

Foto Ansa

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Tags: Beppe SalaIslammaryan ismailMilanoMusulmanisumaya abdel qader
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