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Fermi tutti! Micromega ha scoperto come sistemare la scuola italiana: basta cantare in classe “Tu scendi dalle stelle”

Per la rivista è tutta colpa della Chiesa se la nostra scuola non è al passo di quelle dei paesi del nord. Da noi si invitano in classe i preti, là fanno lezioni con le prostitute e i peluche a forma di fallo e vagina

Francesco Amicone
04/09/2014 - 5:00
Società
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scuola-aiuto

«Il Vaticano e la scuola: “Cosa nostra”». L’equiparazione, solo allusa, tra mafia e Chiesa compare nell’ultimo numero di Micromega, dedicato all’istruzione. La rivista diretta da Paolo Flores D’Arcais contrappone l’idea di una scuola all’avanguardia, democratica, esclusivamente statale, di stampo nord europeo, alla realtà educativa italiana, “ostaggio” della Chiesa Cattolica e dipendente dai simboli del cristianesimo.
L’accusa non riguarda esclusivamente i “diplomifici” e le scuole paritarie (accusati di sottrarre risorse alle scuole di Stato per produrre cattivi studenti). Il problema riguarda anche la scuola di Stato. Un paio di esempi comparativi: nelle scuole di Stato italiane si ospitano vescovi che blaterano di carità cristiana; in Danimarca, si invitano le prostitute a conversare di sesso. Nell’Europa laica e pluralista, i bambini conoscono se stessi usando peluche a forma di fallo e di vagina; in Italia li si obbliga a giocare con il presepe. Altri argomenti, oltre alla sessualità, sono trattati seriamente da Micromega. Dovrebbero dimostrare che senza preti, lezioni di religione, crocifissi, presepi, l’istruzione in Italia ne trarrebbe giovamento.

PANORAMA SCONCERTANTE. Adele Orioli, in «Il Vaticano e la scuola: “Cosa nostra”», descrive la cappa di oscurantismo da cui è asfissiata l’Italia. Il panorama è fosco. Ogni angolo del belpaese è deturpato dall’opera della mano devota di una beghina o di un prete. Ovunque si vedono «immagini sacre, statuine di santi e madonne, in qualche caso veri e propri altarini con tanto di candele votive. Una presenza che talvolta – nota la giornalista – è persino riduttivo definire martellante, fagocitante, oppressiva. Non solo a prima vista». Una presenza che non rispetta i confini, la separazione fra ciò che è Stato e ciò che è Chiesa.
Nel capitolo “Reliquie, gite e santuari”, Orioli può dimostrare l’esistenza di una sciagurata connessione Stato-Chiesa con qualche fatto di cronaca. Qualche anno fa, ricorda, «a Pedara, alle pendici dell’Etna, l’urna contenente i resti di Karol Wojtyła è stata prima trasportata in corteo nei corridoi di tutti i plessi scolastici da un sacerdote con tanto di paramenti sacri, in seguito è stata oggetto di apposita assemblea». Orioli rende noto che «sempre in Sicilia, girano per le scuole le reliquie congiunte alle scarpette di Santa Lucia». A Roma, nel 2011, i funzionari dell’Ufficio scolastico della Regione Lazio, con arguzia, mascherarono un pellegrinaggio per cinquemila studenti al santuario del Divino Amore, con una “gita” che prevedeva un «percorso di progressiva consapevolezza» che «consente di “sfondare la notte” nella luminosità del giorno che nasce». È evidente, dunque, che attraverso la scuola, la Chiesa cattolica attenta al pluralismo e alla laicità della Repubblica.

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TU SCENDI DALLE STELLE. Orioli prosegue la sua disamina. Aggirando le leggi, con l’aiuto di magistrati pilateschi, «quante messe di inizio e fine anno, di Natale e di Pasqua, o persino per il santo patrono di turno, sono tutt’oggi celebrate nelle scuole di tutta Italia?». «E le preghiere – continua Orioli – che dovrebbero più di altri fenomeni essere ricordi di un lontano passato, sembrano essere tornate in auge, tanto all’inizio quanto alla fine delle lezioni». E che dire del presepe? Dei canti di Natale ad «alto contenuto confessionale»? Non è forse vero che la scelta dei maestri cada quasi sempre su “Tu scendi dalle stelle” invece che su “Jingle bells”? Sarà mica un caso?
Non è certo un caso che nell’editoriale introduttivo al compendio sull’istruzione, Micromega promuova la versione grillina di democrazia, nella quale si parla di «sovranità-di-tutti-e-di-ciascuno» e non si fa cenno alla parola “popolo” (articolo 1: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione»). Si tema di mettere in luce la contraddizione fra governo di tutti-e-di-ciascuno con la sovranità popolare. Si dovrebbero bandire dalle scuole gli esempi di Santa Lucia, Don Bosco, Giovanni Paolo II, ed elevare al rango di “modello educativo” l’edificante comportamento del signor «Franco Coppoli di Terni», un maestro che durante le sue lezioni «esercitava la sua funzione pubblica, particolarmente delicata, senza la presenza di un simbolo monoconfessionale», spogliando il muro dell’aula del crocefisso. Nella scuola di Stato concepita da Micromega, pare che lo studente, più che a formarsi come uomo, come cittadino, venga piuttosto chiamato a comportarsi da piccolo despota illuminato. Sarà un bene per la democrazia?

Tags: mafiamicromegapaolo flores d'arcaisScuolascuola pubblicaScuole Paritariestatalivaticano
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