Meloni può indicare una nuova via all’Europa
Esiste una «crisi strutturale delle democrazie», ha scritto Giovanni Orsina sulla Stampa e basta guardarsi intorno per capire quanto l’osservazione sia corretta. «Segmenti consistenti dell’opinione pubblica, abbandonati da un ceto dirigente oligarchico e autoreferenziale, si sentono alla mercé di un mondo sempre più complesso e cangiante nel quale l’Occidente gode di una posizione di sempre minor privilegio».
La Francia è in piena crisi di nervi e paga la boria del suo petit Napoléon; la Germania ha un governo a termine, si ritrova coi sindacati in piazza, la Volkswagen che chiude le fabbriche, una stima del Pil preceduta dal segno meno; la Spagna, che pure vanta buoni dati sul fronte economico, ha un governo tenuto insieme con lo scotch da quel gran genio tattico di Pedro Sánchez (un Renzi che ce l’ha fatta).
In questo marasma – mirabile dictu! – l’Italia gode di buona salute, tanto che tutti gli osservatori concordano nel notare che oggi, nel Vecchio Continente, il nostro governo è il più stabile e «potrebbe dare un contributo non irrilevante a una ricerca di risposta» alla crisi (ancora Orsina).
Italia: cosa va e cosa non va
Non che tutto vada bene, anzi. Certi problemi del Paese sono ormai antichi: il debito pubblico, l’arretratezza del Meridione, la denatalità, la burocrazia, il conflitto politica-magistratura eccetera eccetera. Il governo Meloni si trova a gestire l’eredità grillina che ci ha lasciato in dote i conti del superbonus (170 miliardi) e l’Istat ha appena dimezzato le stime di crescita di quest’anno, portandole dal +1 per cento di giugno al +0,5 per cento, e nel 2025 la previsione si attesta su un +0,8 per cento. Ci sono pochi soldi, pochissimi, e anche le 700 mila lettere in formato Pec che l’Agenzia delle Entrate ha inviato a imprenditori e professionisti per intimare loro (in modo assai antipatico) di aderire al concordato preventivo, ci dicono che Pantalone non ha più soldi per nessuno.
Il detto “mal comune mezzo gaudio” si conferma un proverbio scemo e non saranno le disavventure dei grandi Paesi europei a risolvere i nostri problemi, ma è giusto guardare anche al bicchiere mezzo pieno per capire quali possibilità, stante così la situazione, possono aprirsi per il nostro Paese. I numeri dell’occupazione sono tornati a crescere e lo spread è a quota 110, segnando la miglior prestazione degli ultimi anni. Come ha notato Alessandro Sallusti, «Meloni lo aveva ereditato da Mario Draghi, nell’ottobre del 2022, a più del doppio: 242».
Il momento di Giorgia Meloni
Come ha scritto su Tempi Lorenzo Castellani, «in Europa è il momento di Giorgia Meloni». Quando a maggio mettemmo in copertina un elefante blu con le stelle gialle, formulammo l’auspicio che il voto portasse a una nuova maggioranza capace di “spostare” su diversi obiettivi la pachidermica Europa. Pur fra mille difficoltà – l’importante e difficoltosa nomina a commissario e vicepresidente di Raffaele Fitto ne è un esempio –, è quel che sta avvenendo. Gli irrealistici vincoli del Green Deal vengono finalmente messi in dubbio e il nostro governo, dopo due anni, nonostante la propaganda progressista, ha dimostrato di essere un esecutivo serio, non estremista e che sa come comportarsi a tavola.
Viste le difficoltà altrui, il governo Meloni, se saprà giocare bene le sue carte, potrà essere non solo il punto di snodo in cui trovare gli equilibri interni all’Unione, ma anche quelli con l’alleato statunitense.
Le incognite rimangono: è ancora tutto da capire cosa farà Donald Trump, come si “chiuderà” il conflitto in Ucraina, come si ridisegnerà il Medio Oriente dopo le fiamme. Ma una cosa è certa, come ha riconosciuto di recente anche un politologo non certo simpatetico alla destra come Marc Lazar: la stabilità del governo italiano è oggi un carta da giocare per contare di più in Europa e nel mondo.
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