«Con la nomina di Fitto, Meloni ha vinto la sua scommessa»
Raffaele Fitto è vice presidente esecutivo della Commissione europea: primo dato acquisito. Raffaele Fitto, accanto alla nomina, incassa anche deleghe importanti per un portafoglio complessivo di circa mille miliardi di euro: secondo dato acquisito. L’Italia ne esce bene, a testa alta: è il terzo dato acquisito, quello che conta più di tutto. Non era facile, il governo (rectius: Giorgia Meloni) aveva puntato le fiches scommettendo su un’operazione per nulla scontata, tremendamente insidiosa, ma è andato tutto liscio. Almeno finora. Adesso tra «fegati spappolati» evocati sarcasticamente dal circuito mediatico e «rosicate» diffuse a destra e a manca (soprattutto a manca), c’è da mettersi in marcia.
Tempi ha fatto quattro chiacchiere con Carlo Fidanza, capo delegazione al Parlamento europeo di Fdi, deputato e politico esperto di certi ambienti e che ha visto da vicino come siano andate le cose sin dall’inizio della battaglia per i nuovi equilibri europei.
Comincio col chiederle: quanta pazienza c’è voluta per portare a casa il risultato della nomina di Fitto alla vice-presidenza esecutiva dell’Ue?
Molta pazienza e tanta determinazione. Doti che non sono mancate a Fitto, che ha incontrato ogni singolo parlamentare della sua commissione di riferimento, dimostrando grande disponibilità e concretezza. Importante anche il ruolo della nostra delegazione parlamentare, che ha sminato il percorso garantendo – non senza qualche sacrificio – il sostegno spesso decisivo del gruppo Ecr già in fase di audizione a tutti i commissari, anche a quelli politicamente più lontani da noi. Ma il plauso più grande va fatto a Giorgia Meloni, che ci ha sempre creduto, si è spesa in prima persona e, alla fine, ha portato a casa un risultato straordinario per l’Italia.
Lei – e il suo partito – eravate fiduciosi di farcela, ci avevate solo scommesso oppure temevate qualche tranello all’ultimo miglio?
Siamo sempre stati certi di farcela ma i passaggi parlamentari sono sempre insidiosi e non vanno mai sottovalutati. Anche questo lo è stato, perché complicato in corsa dalla polemica spagnola sulle responsabilità della vicepresidente designata Ribera nella cattiva gestione dell’alluvione di Valencia. Ma noi abbiamo dimostrato di avere una linea chiara, obiettivi precisi e la leadership più salda di tutti incarnata da Giorgia Meloni.
Come di certo ricorderà, quando Fratelli d’Italia si espresse contro la maggioranza di sostegno ad Ursula von der Leyen, ci fu il fuoco di sbarramento del mondo cosiddetto progressista d’Italia che ammonì sull’irrilevanza del nostro Paese; oggi, dinanzi all’ottenimento della carica di vice-presidente esecutivo, continua a mantenere posizioni poco chiare, spesso contraddittorie: lei come sintetizzerebbe il percorso seguito dai “socialisti” italiani?
Sono rimasti intrappolati nella loro narrazione (“teniamo lontana la destra dalla stanza dei bottoni”) e sono finiti in cortocircuito, in particolare dopo l’ultimo incontro tra Fitto e il presidente Mattarella. Continuare a essere il partito-establishment, capace di stare al governo dieci anni senza mai vincere le elezioni, o continuare l’irresponsabile rincorsa a sinistra con M5s e Avs? Sobillare i socialisti europei contro Fitto e Meloni oppure difendere l’interesse nazionale anche a costo di finire in minoranza nella propria famiglia politica? Queste contraddizioni non le hanno mai sciolte, nemmeno all’ultimo minuto: pensi che i socialisti, che pochi istanti prima avevano contribuito alla maggioranza per Fitto (così come il centrodestra ha fatto sulla Ribera), hanno poi preteso di inserire un documento ”di minoranza” in cui biasimavano l’attribuzione della vicepresidenza esecutiva allo stesso Fitto. Una posizione anti-italiana da cui il Pd non ha voluto prendere le distanze. Un teatrino imbarazzante.
Questa “vittoria” lei la assegnerebbe unicamente al rinnovato peso politico dell’Italia o c’è qualche altra ragione, in sottotesto, che potremmo raccontare ai nostri lettori?
Meloni ha vinto la sua scommessa, dimostrando che pur non avendo sostenuto von der Leyen avrebbe ottenuto per l’Italia un ruolo di primo piano. Qualcosa che la sinistra, abituata a rappresentare un’Italia subalterna e a distribuire patenti di democrazia ed europeismo, non credeva possibile. La verità è che Ursula ha bisogno di Giorgia, della sua concretezza e della sua determinazione, ancora di più con la debolezza degli altri leader intorno a noi – da Macron a Scholz a Sanchez – e con le sfide geopolitiche che dovremo affrontare. E che, proprio per questo, Giorgia può ottenere ciò che all’Italia spetta senza rinunciare alle proprie posizioni politiche.
Potrebbe dirci in cosa, dove e – se possibile – anche quando l’Italia si accorgerà degli effetti positivi di questo incari per l’ex ministro Fitto?
Fitto gestirà direttamente un portafogli da mille miliardi, la riforma dei fondi di coesione, la fase finale dei Pnrr nazionali e le future riforme collegate alle politiche di bilancio. E come vicepresidente esecutivo avrà la supervisione su agricoltura e pesca, trasporti e turismo, economia del mare e housing sociale. Partite fondamentali per l’Italia. Paradossalmente, l’importanza del ruolo è confermata dalla battaglia fatta per toglierlo proprio da quelli che lo minimizzavano.
In tema di rapporti con le altre forze politiche di area, con quale tra esse si è lavorato meglio e con quali meno bene?
Il Ppe si è comportato con lealtà, assicurando da subito il suo sostegno a Fitto e respingendo ogni ricatto socialista. Lo stesso ha fatto von der Leyen, che fino all’ultimo è stata tirata per la giacchetta. Siamo soddisfatti della reciproca lealtà con il gruppo dei Patrioti, che hanno incassato il commissario ungherese Olivér Vàrhelyi, per il quale mi sono anche personalmente speso. Nota di demerito per il gruppo liberal-macroniano di Renew, che pur avendo incassato deleghe pesanti per i propri commissari, ha sposato l’oltranzismo dei socialisti senza mai mostrarsi affidabile.
L’ipotesi di un avvicinamento tra i popolari di Manfred Weber e l’Ecr in direzione di una nuova maggioranza politica, peraltro frutto di una chiara indicazione del corpo elettorale, sembra allarmare l’establishment europeo: su questo cosa può dirci?
Le sinistre hanno voluto chiarire nero su bianco il perimetro della “maggioranza Ursula”. Ci hanno fatto un favore, chiarendo che il ruolo assegnato a Fitto non porta Fdi e Ecr in una pseudo-maggioranza sbrindellata, dalla quale ci teniamo distinti e distanti. Chi la difende sta difendendo un simulacro, che si regge su impegni programmatici sempre più generici e sul ricatto politico di socialisti e liberali contro il Ppe, accusato ogni volta di tradire un sedicente “europeismo” per fare accordi con le destre. I numeri consegnatici dagli elettori, semplicemente, dicono che ogni volta che il Ppe vorrà giocare la partita a destra si potrà creare una maggioranza alternativa sui singoli temi. Lo abbiamo già sperimentato di recente e sarà così per tutti i prossimi cinque anni. La sinistra si metta il cuore in pace.
A suo giudizio avremo ancora una Commissione Ue ossessionata e munifica finanziatrice di progetti sul cosiddetto gender, sul green-deal in stile Greta e “wokismi” vari, oppure avremo almeno qualche avvisaglia di cambio di marcia tale da cancellare nell’elettore la sensazione di votare inutilmente?
Noi lavoreremo per questo cambio di passo proprio a partire da questi temi, cercando sinergie col Ppe per strapparlo all’abbraccio mortale con la sinistra e tenendo sempre aperto il dialogo con i Patrioti. Sappiamo che non sarà facile: ci saranno forti resistenze interne, tra i politici e ancora più tra i burocrati, che tenteranno di portare avanti la vecchia agenda ideologica: ultra-green, immigrazionista e arcobaleno. Ma il vento della storia non si può fermare e soffia nelle vele dei conservatori.
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