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«Governare sarà difficile, ma la Meloni finora è stata saggia sui temi finanziari»

Intervista ad Alberto Mingardi (IBL): «L'Italia è una democrazia solida, il voto degli elettori è chiaro: volevano un esecutivo di centrodestra. E i vincoli esterni europei aiuteranno a governare meglio. Pd e Lega hanno problemi simili, il Terzo Polo dovrà decidere con chi stare»

Piero Vietti
27/09/2022 - 14:00
Politica
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Giorgia Meloni elezioni

Fresca vincitrice delle elezioni del 25 settembre, Giorgia Meloni è già al lavoro per pensare al nuovo governo. La leader di Fratelli d’Italia ha portato il centrodestra alla vittoria, sconfitto il Pd e tenuto a bada il M5s e il cosiddetto Terzo Polo. Tempi ha parlato con Alberto Mingardi, professore associato di Storia del pensiero politico presso l’Università IULM e direttore dell’Istituto Bruno Leoni, del risultato elettorale e di quello che succederà adesso. 

Mingardi, partiamo dagli allarmi che in queste ore – anche se già un po’ meno – continuano a risuonare da sinistra: il pericolo fascista, l’onda nera, l’Italia che farà la fine dell’Ungheria, i diritti in pericolo. È così?

Sono cazzate, ed era già evidente in campagna elettorale che erano cazzate, e cazzate inutili: come sempre quando la strategia è la demonizzazione dell’avversario, l’avversario ne giova. La gente pensa: “Se tutti ne parlano male allora vuol dire che davvero spaventa certi poteri, quindi farà qualcosa”. Lo stesso Enrico Letta era in imbarazzo a un certo punto. Sulle questioni di sostanza Meloni ha rassicurato, a partire dall’aborto, promettendo di non toccare la 194 ma di dare un’alternativa a chi abortisce per problemi economici. È curioso, perché sui diritti lei ha posizioni molto più “centriste” di tanti leader di destra nel mondo, eppure il fronte laico invece di incassare questa “vittoria” ha continuato a giocare su minacce irrealistiche.

Cosa ci dice questo risultato?

L’aspetto più rilevante è che queste elezioni dovrebbero chiudere la tendenza verso la restaurazione proporzionalista, che ha occupato gran parte del dibattito degli ultimi mesi. Abbiamo votato con una legge in gran parte proporzionale, ma quella componente uninominale, per modesta che fosse, ha costretto a formare le coalizioni, e in ragione di quella componente noi adesso sappiamo chi ci governerà. E gli italiani hanno votato consapevolmente per essere governati da Giorgia Meloni. Col proporzionale e lo stesso risultato elettorale invece sarebbe ricominciata la corsa a fare alchimie per governi di grande coalizione in cui – lo abbiamo visto negli anni – i partiti non fanno le riforme tutti assieme ma esercitano il potere di veto l’uno contro l’altro.

Eppure c’è chi avrebbe voluto ancora una guida tecnica a Palazzo Chigi.

Il tecnico, o tecnico politico Draghi, avrebbe comunque dovuto lasciare il suo posto a marzo, dopo un autunno difficile. Io penso che la classe politica abbia agito con un formidabile istinto di sopravvivenza: certi fenomeni di protesta e altri populisti che non hanno raccolto molti consensi, a marzo avrebbero avuto molto probabilmente più voti. Governare adesso è difficile anche per come è stata apparecchiata la situazione: a breve scadono i sussidi e gli aiuti legati all’emergenza energetica che fanno insieme il 3 per cento del pil, che sono insostenibili, ma che ovviamente legano le mani al governo. Ma insomma, votare bisognava votare, e a marzo avremmo un avuto risultato molto più populista. Le gente non sceglie “bene” sempre, ma non è possibile essere l’unico paese in cui si ha paura delle elezioni.

Abbiamo visto in campagna elettorale e subito nelle prime ore dopo il risultato varie “ingerenze” dall’estero. Ci aspettano mesi di attacchi mediatici, politici e finanziari al governo?

È evidente che il nuovo premier non ha un’apertura di credito incondizionata da parte di mercati e istituzioni europee. Ma questo paradossalmente è un bene: l’esercizio di forme di vincolo esterno e di disciplina dei mercati aiuta a governare meglio. Chi andrà a governare lo sa benissimo, tanto che la Meloni per prima ha fatto sulle questioni di finanza pubblica una campagna di grande prudenza e grande saggezza. Gli attacchi politici e mediatici esterni sono fastidiosi, e lo dice uno che non è né sovranista né nazionalista: l’Italia è una democrazia solida, un paese in cui tutto si può dire tranne che la stampa non sia libera di criticare il governo – quando scegli di farlo – non c’è alcun rischio di derive autoritarie. Ci sono network di conoscenze e sensibilità comuni – diciamo così – che hanno trasmesso ad amici e corrispondenti degli altri paesi questa sensazione sperando fosse utile ai fini del voto.

La velata “minaccia” della Von der Leyen si inserisce in questo filone?

L’intervento della Von der Leyen è molto più fastidioso, e apre una questione non irrilevante: pensavamo che i problemi dell’Ue si risolvessero con più trasferimenti tra i paesi ricchi e quelli più poveri, ma abbiamo sottovalutato che quando si crea un’unione di trasferimenti, questo è soprattutto oggi l’Unione Europea, si crea anche un potenziale di conflitto, dato che questi soldi arrivano con richieste che a volte non coincidono con le sensibilità di certi paesi. Aggiungere alle tensioni già esistenti una tensione politica di questo tipo, mandando un pizzino all’Italia, sovrapponendo piani diversi, è preoccupante. L’Italia ha certamente problemi di stato di diritto, che hanno a che fare anzitutto con il comportamento della magistratura, e anche con cose fatte dai precedenti governi in spregio a qualunque regola della rule of law. Ci può stare più sorveglianza, ma se la si esercita solo contro i nemici politici allora non va bene: così la stessa legittimità delle istituzioni europee è danneggiata.

Tornando al voto, il grande sconfitto alle urne è il Partito democratico.

Il Pd ha pagato la sua schizofrenia: nel bene o nel male, con le segreterie Zingaretti e Letta aveva costruito un percorso di alleanza con il M5s, costruendo un centrosinistra in cui il partito di Conte era l’ala più a sinistra e il Pd quella centrista. Questa cosa, che almeno aveva un senso politico, è stata buttata via con la caduta del governo Draghi. Solo che per come è fatto il Pd, che ha una componente moderata minoritaria e un’altra più a sinistra maggioritaria, Letta non ha potuto abbracciare fino in fondo l’agenda Draghi, qualunque cosa fosse: altrimenti avrebbe fatto l’alleanza con Calenda e si sarebbe presentato come la parte più a sinistra di una coalizione riformista. La campagna elettorale ha reso evidenti le contraddizioni interne del partito, che si sviluppano su due assi: la prima è tra la parte moderata e quella più a sinistra, l’altra tra la parte nazionale, che tende a essere più di sinistra e più arrabbiata, e quella radicata nel centro del paese, che governa i territori ed è più pragmatica. Come facciano a stare insieme queste due cose non lo so.

È un problema simile a quello della Lega, che ha raccolto pochi voti.

Per certi versi sì. Anche il partito di Salvini ha una classe di amministratori locali attenti al sodo e pragmatici e una comunicazione nazionale dove il segretario tende a spingere l’acceleratore su temi identitari e culturali forti. Questo voto può portare a un rimescolamento nei partiti: è più difficile nella Lega, dove non ci sono strumenti per un avvicendamento pacifico. Il Pd invece ha subito fatto le scarpe a Letta, che non si ricandiderà. La direzione è quella di un partito di “sinistra-sinistra” e, a quel punto, bisognerà capire cosa farà la componente centrista. Insomma, non è detto che alle prossime elezioni ci sarà il Pd come lo conosciamo oggi.

E il Terzo Polo, che poi terzo non è arrivato, ci sarà ancora?

Il cosiddetto Terzo Polo secondo me è andato molto bene. Solo alcune uscite improvvide di Calenda sul risultato a doppia cifra da raggiungere danno l’impressione che sia andato male, ma non è così: all’inizio i sondaggi lo davano al 4 per cento. Hanno scelto di fare una campagna elettorale sulla pretesa della maggiore serietà rispetto agli altri anziché mettere in campo alcuni valori su cui avrebbe potuto puntare di più, ha fatto liste non esaltanti, dove c’era un pezzo di ceto politico che cercava la rielezione, ma ha avuto un buon successo. E se è vero che gli italiani vogliono potere scegliere chi li governa, come il voto a Fdi secondo me dimostra, il Terzo Polo ha due alternative: o provare a essere una grande Margherita o affiancarsi e unirsi a Forza Italia. Certo, il fatto che Berlusconi si sia dimostrato ancora una volta un highlander, superando proprio Renzi e Calenda, complica questo piano. Ma o cambia la legge elettorale in senso proporzionalistico o il Terzo Polo dovrà porsi il problema di quale coalizione è quella che gli dispiace di meno e dove potranno contare di più.

Tags: Elezioni 2022enrico lettaGiorgia MeloniMatteo Salvinipartito democraticoursula von der leyen
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