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Meeting. «La passione per l’uomo è ciò che mi ha spinto a rischiare la vita per il mio paese»

Intervista al cardinale del Centrafrica, Dieudonné Nzapalainga, che oggi apre la 43esima edizione del Meeting: «Basta armi. Solo con il dialogo si risolve la guerra tra Russia e Ucraina»

Leone Grotti
20/08/2022 - 6:30
Chiesa
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Il cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, capitale del Centrafrica, insieme all'imam Layama nel 2014
Il cardinale del Centrafrica Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, insieme all’imam Layama nel 2014

Il cardinale Dieudonné Nzapalainga è stato investito dalla guerra in Centrafrica a partire dal 2012, quando era ancora soltanto arcivescovo della capitale Bangui: ha visto i massacri, gli eccidi, interi villaggi distrutti, chiese e moschee rase al suolo, amici (fino al giorno prima) alzare il machete e il fucile gli uni contro gli altri. Invece di scappare o unirsi alla fazione più “giusta”, ha fatto qualcosa di incredibile: ha preso con sé un imam e un pastore protestante e ha girato il paese (e il mondo) per «costruire la pace». Parlando con i politici nei palazzi del centro della capitale e discutendo con i capi delle bande ribelli nel folto della savana. Rischiando più volte di beccarsi una pallottola in testa o di essere linciato (più spesso dai musulmani, ma talvolta anche dai cristiani).

Nessuno meglio di lui, dunque, potrebbe aprire il Meeting di Rimini 2022 e parlare della “passione per l’uomo” – è il titolo di questa XLIII edizione – che l’ha spinto a rischiare la vita pur di riportare la pace nel suo paese. Stamattina a mezzogiorno interverrà in Auditorium insieme all’arcivescovo di Mosca Paolo Pezzi e al patriarca di Gerusalemme dei latini, Pierbattista Pizzaballa. E saranno contenuti forti a giudicare da quanto anticipa in una intervista a Tempi, nella quale non rifugge i temi di attualità: «Con le armi non si è risolta la guerra in Centrafrica e non si risolve nessuna guerra. Tantomeno quella terribile in corso tra Russia e Ucraina. L’unica speranza è il dialogo».

Eminenza, perché ha accettato l’invito al Meeting di Rimini?
Sono molto onorato di essere stato invitato e ho accettato con grande piacere perché il tema proposto è universale e mi sta estremamente a cuore.

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“Una passione per l’uomo” è il titolo di questa edizione. Che cosa significa per lei questa frase?
La passione per l’uomo è ciò che mi ha sempre mosso. L’ho vista in quello strano uomo bianco, quel prete missionario che veniva nel quartiere poverissimo di Bangassou in cui sono nato a giocare e mangiare con noi bambini. E io, quinto di dieci fratelli, nato da mamma protestante e papà cattolico, ho deciso di diventare sacerdote per essere come lui. E da prete prima, da vescovo e cardinale poi, la passione per l’uomo ha continuato a guidarmi. Questa passione è quella di Gesù Cristo e nasce da lui: Dio si è fatto uomo per condividere la nostra vita, le nostre miserie e sofferenze. Nulla di ciò che è umano, quindi, può più esserci estraneo. Passione per l’uomo significa agire e battersi perché ogni uomo sia libero, perché viva in modo degno, giusto, perché sia felice.

Da quando è scoppiata la guerra in Centrafrica lei ha dimostrato giorno dopo giorno questa passione per l’uomo. In Italia è appena uscito il suo libro: La mia lotta per la pace. A mani nude contro la guerra in Centrafrica. Come si costruisce la pace a mani nude quando chi ci sta davanti imbraccia un fucile?
È molto difficile. Nel 2018, ad esempio, la situazione a Bangassou era gravissima e molto tesa. Le bande ribelli terrorizzavano la popolazione, sia quella musulmana che quella cristiana. Io, insieme all’imam e al pastore protestante, sono andato nella foresta per incontrare i capi dei ribelli. Loro erano tutti armati con fucili e machete, io non avevo niente se non il cuore riempito dall’amore di Dio, l’unica cosa che ti permette di mettere da parte l’odio e il rancore. E abbiamo detto loro: «Voi non avete il diritto di uccidere, di maltrattare le persone, umiliarle e rubare». Poi li abbiamo ascoltati. E così è iniziato un cammino. Ovviamente è pericoloso: molte volte ho rischiato di prendermi una pallottola in testa. Ma il dialogo è l’unica strada per disarmare innanzitutto i cuori.

È quello che ha fatto papa Francesco quando è venuto a Bangui ad aprire la Porta Santa nel 2015.
Davanti al dolore e alla sofferenza parlare non basta, bisogna compatire nel senso etimologico del termine: “soffrire con”. È quello che il Papa ha fatto con noi. È venuto tra noi e ci ha mostrato che la pace è possibile, che la diversità può davvero essere una ricchezza. È entrato nel PK5, il quartiere musulmano della capitale off limits, e ne è uscito con tutti i musulmani. E loro stessi hanno detto: «Il Papa ci ha liberati». È così: il Papa ci ha dato un’altra possibilità ed è cambiato tutto.

Oggi anche l’Europa torna a inorridire per la ferocia della guerra. Come si può costruire la pace tra Ucraina e Russia?
Innanzitutto dobbiamo capire che questa guerra terribile non si può risolvere con le armi, ma solo con il dialogo.

Lo sa che questa posizione, sia in Occidente che in Russia, non la sostiene quasi nessuno?
Non importa, non c’è altra strada. Le armi non fanno che portare distruzione e morte. Dividono le persone e seminano nel cuore il desiderio di vendetta. Per costruire la pace bisogna andare verso l’altro, incontrarlo, parlargli e ascoltarlo.

Quando il Papa alla Via Crucis del Venerdì santo a Roma ha fatto portare la croce a due donne, una ucraina e l’altra russa, Kiev ha protestato e ha accusato il Papa di mettere sullo stesso piano paese aggressore e paese aggredito.
Io capisco che cominciare questo percorso sia difficile, ma qual è l’alternativa? La violenza chiama altra violenza. La morte chiama altra morte. Le armi chiamano altre armi. Se non si parla con il proprio nemico, con chi bisogna parlare? Se non si va incontro al proprio nemico, come si potrà arrivare a un accordo giusto e dignitoso?

Lei c’è riuscito in Centrafrica?
Quando ho cominciato questo lavoro nel mio paese ero da solo. Né i politici, né la comunità cristiana capiva perché fosse necessario andare incontro al proprio nemico. Quello che ho fatto con la piattaforma interreligiosa per la pace, insieme a un imam e a un pastore protestante, è fare il primo passo per portare la pace. E se nel 2016 l’80% del paese era in mano a bande ribelli, ora soltanto il 20%, il resto è tutto tornato in mano al governo.

Lei è il cardinale più giovane della Chiesa cattolica.
No, si sbaglia. Ho perso il mio primato a maggio: ora il più giovane è Giorgio Marengo.

Quando è stato creato cardinale da Francesco nel 2016 però lo era.
È vero, ma mi creda se le dico che non mi interessano affatto questa sorta di primati.

Lei viene dal Centrafrica, uno dei paesi con più giovani al mondo. Oggi invece parlerà alla platea di un paese, l’Italia, che è tra i più vecchi. Se la fede in Africa permea ogni settore della società, anche in modo sfacciato, in Europa la forza rivoluzionaria del cristianesimo sembra essersi affievolita. Che cosa possono insegnare i cristiani africani a noi europei?
Se i grandi missionari europei non fossero stati convinti che non esiste niente di più importante del messaggio evangelico – Dio si è fatto uomo e ci ama – io non sarei mai diventato prete e non sarei mai stato invitato a Rimini. Ieri, come oggi, c’è solo un messaggio che vale la pena di portare a tutto il mondo: l’amore di Gesù Cristo. Il Vangelo avrà sempre una forza rivoluzionaria. Il cristianesimo, incontrando diverse culture, genera diverse sensibilità ma l’essenziale è uguale per tutti. Servono allora comunità dove questo messaggio risuoni forte e ai giovani va ricordato che solo l’amore di Dio è in grado di riempire il cuore dell’uomo. Forse in Europa qualcuno l’ha dimenticato. Ma per andare a cercare i giovani, per incontrare i giovani bisogna avere una passione per l’uomo. Vengo al Meeting per parlare di questo.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: CentrafricaDieudonné Nzapalaingaguerraguerra ucrainaMeeting RiminiPapa FrancescoRussia
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