RIMINI. Se un urbanista dovesse disegnare oggi una città dal principio, di sicuro non farebbe come i medievali: non metterebbe al centro la chiesa e attorno tutto il resto. Questo, ormai, è quasi scontato. Il problema è che non verrebbe più predisposto neanche uno spazietto per l’ospedale, perché nella società di oggi «non c’è più posto per il limite». Nessuno o quasi lo teorizza apertamente, spiega al Meeting il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, «ma a ogni azione corrisponde sempre il valore che vogliamo perseguire, un ideale di persona e società, anche quando non viene esplicitato».
«L’UNICO VALORE DI OGGI». Parlando all’incontro “Persona e senso del limite”, il vescovo descrive così la società di oggi: «È dagli anni 70 che l’unico valore considerato valido è la libertà individuale, assoluta. Questo ormai è dato per assodato e chiunque si opponga, chiunque cerchi di dire che non è così, che l’uomo è altro, che la sua libertà è “sempre incarnata”, viene accusato di essere retrogrado e repressivo».
«DERIVA IRRAZIONALE DEL RELATIVISMO». Oggi a farla da padrone è il «relativismo», «che non tollera chi ha una concezione diversa di libertà e con una deriva irrazionale, arriva a limitare la libertà di chi non la pensa allo stesso modo, di chi vede nell’uomo anche ricerca di Dio, verità e responsabilità».
Ma in questa società, chiede alla platea del Meeting monsignor Galantino, rifacendosi al titolo della manifestazione (“Di che mancanza è questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”), il limite è destinato ad essere solo qualcosa che «annichilisce la vita dell’uomo o può essere occasione di crescita?».
«L’IMPORTANZA DEL LIMITE». Il limite, continua, «non può essere messo da parte ma va assunto e valorizzato perché è insito nella natura umana. L’essere umano infatti si scopre creatura ed è sempre mancante. Il cuore non è mai soddisfatto da ciò che raggiunge. Questo è importante: se è positivo che l’uomo desideri ciò che è illimitato, non può pretenderlo come diritto, non può rifiutare la sua debolezza». Anche perché «è proprio quando ci scopriamo mancanti che cominciamo a cercare, che ci mettiamo in moto. Il limite, insomma, è alla radice dell’apertura dell’uomo, è una scuola che può insegnarci il segreto della vita».
MIGRANTI E ABORTO. Se la società considerasse il limite in questa accezione positiva, «non classificherebbe gli Stati solo secondo il parametro della produttività, cercherebbe di aiutare i più svantaggiati o chi ha perso il lavoro, avrebbe considerazione sia di chi arriva dai paesi più poveri sia tutti gli esseri umani che attendono di nascere e godere della vita» e invece vengono scartati con l’aborto.
«SOLO SE SI INCONTRA GESÙ». Ovviamente, e il vescovo non se lo nasconde, «il limite è anche sofferenza». Al fondo, c’è una sola ragione per cui il limite che costituisce l’uomo non rappresenta una insopportabile condanna: «La mia antropologia del limite vuole esaltare l’essere umano. La mancanza presa sul serio può far diventare l’uomo più umano perché trova una risposta in Gesù Cristo. Solo se si incontra Gesù, anche il limite ha senso». È come diceva sant’Agostino nelle Confessioni: «Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te».