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Maturità 2014, Angelo Gatti. «Con Dio il mondo è un mistero, senza Dio un assurdo»

Vita e opere dell'autore di "Ilia e Alberto", romanzo che, dopo il grande successo, fu dimenticato e poi riscoperto dalla critica. Un suo ritratto in vista dell'esame di Stato

Giovanni Fighera
11/06/2014 - 10:35
Interni
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Angelo_GattiAnche quest’anno tempi.it dedica uno spazio speciale alla preparazione dell’esame di maturità. Lo trovate qui e sarà in continuo aggiornamento.

La vita 

Angelo Gatti (1875-1948) fu ufficiale di Stato maggiore sotto il comando del generale Cadorna, che affidò a lui, che era dotato di un notevole talento di scrittura, l’incarico di raccontare le vicende storiche e militari. Fu così che Gatti ci lasciò il diario di guerra di Caporetto (maggio-dicembre 1917) che venne pubblicato per la prima volta solo nel 1964. «Il minuzioso resoconto di Angelo Gatti sugli eventi del 1917 si presentò pertanto come una preziosa offerta documentaria, atta ad agevolare, per la credibilità del suo autore e per la ricchezza delle notizie, le ricerche sulle cause e sugli sviluppi della sconfitta di Caporetto. […] Le pagine di Gatti rivelavano con particolari inediti episodi di fucilazioni sommarie […] confermando con elementi di prima mano il giudizio già espresso da una parte della storiografia circa lo sproporzionato sacrificio di sangue rispetto agli obiettivi perseguiti e circa il grave malcontento dei soldati» (Alberto Monticone).

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Una volta finita la guerra, Gatti si sposò con Emilia Castoldi, lasciò l’esercito e si dedicò alla letteratura, seguendo una collana di diari e di resoconti di guerra per la casa editrice Mondadori. Nel 1927 il felice matrimonio fu, però, segnato dalla morte della moglie. Lo scrittore convogliò i suoi interessi sulla narrativa e nacquero, tra le altre opere, Ilia e Alberto (1939), Il mercante di sole (1942), L’ombra della terra (1945).

ilia-e-albertoLa produzione narrativa

Il suo romanzo più noto, Ilia ed Alberto, può essere considerato un caso letterario molto particolare e ora ne capiremo le ragioni. L’opera, che ripercorre le vicende autobiografiche dell’autore, appena uscita riscosse un incredibile successo tanto che nel 1947 erano già state effettuate 14 ristampe, segno che all’epoca il libro aveva intercettato gli interessi e le domande dei contemporanei. Alla morte di Gatti, però, il romanzo venne dimenticato e fu riscoperto solo nel 1994, quando l’inserimento all’interno della collana I libri dello spirito cristiano determinò una resurrezione della fama dell’autore e della sua maggiore opera.

Si è già accennato al carattere autobiografico del romanzo. Nella prima parte, intitolata «La casa in ordine», tutto sembra corrispondere alle attese dei due protagonisti in una vita che procede secondo i progetti. Ilia (abbreviazione di Emilia) e Alberto si sposano toccando «il limite estremo della felicità». Emblematica in una scena è la corsa dei due in automobile. Gatti scrive: ««Ehi» diceva l’automobile con la sua tromba, mentre andava rapida e silenziosa, come un gran personaggio, che passa una rivista, ma ha poco tempo da perdere; «ehi, lasciatemi passare, che ho fretta; ehi» diceva quell’automobile «porto due felici; ehi, ce ne sono poche automobili come me». Era un piacere osservare come la piccola macchina indovinava da lontano un pericolo o approfittava di un’occasione propizia per buttarsi innanzi; come sgusciava fra due carrozze, scansava un ragazzo». Mentre Ilia chiede al conducente Pietro di guidare con prudenza, Alberto con tono tronfio e sicuro di sé, come se le sciagure e gli imprevisti riguardassero solo gli altri, replica: «Dove ci sono io, non ci sono disgrazie». Giungono al cinema dove la luce del paesaggio e la velocità del viaggio si traducono in repentino buio e immobilità. È un’immagine presaga del buio improvviso in cui sprofonderà ben presto la vita dei due giovani sposi.

Ecco, infatti, alle porte il fatto imprevisto e inaspettato, il dramma della malattia. Una storia che ricorda la vicenda del Miguel Manara che sposa Girolama, la perde e deve riscoprirla nel tempo, comprendendo la sua fede, l’instancabile operosità e la certa letizia. Anche Alberto deve riscoprire e incontrare di nuovo Ilia. Deve conoscerla, una volta che è morta, proprio perché non è davvero morta, ma è ancora lì presente, anche se in una forma diversa e nuova.

Prima, però, Alberto è sempre più arrabbiato con il mondo intero, come capita a tutti noi quando percepiamo quanto accade come disgrazia, cioè «non-grazia», non segno di un Mistero che mi ha toccato e mi ha provocato. Perdura «il rancore nascosto e inconfessato, ma profondo e violento, contro i fortunati: e per lui i fortunati, ormai» sono «tutti i vivi». «La sventura» non lo ha fatto migliore. Alberto deve intraprendere un viaggio di perlustrazione di sé, del male, del dolore, dell’umana miseria. È come il viaggio di Dante all’Inferno. Alberto chiede a Don Regazzoni come riesca ad amare l’uomo e a credere in un Dio che ha creato questo «animale così cattivo, che bisognerebbe piangere di gioia ogni volta che fa un’opera buona». Il prete risponde: «Anzi, per questo. Con Dio il mondo è un mistero, senza Dio un assurdo». La vita è bella, perché c’è una fiammella che permette di fuoriuscire dalle tenebre e di camminare verso la meta: «Questo è il bello. Conoscere l’uomo, capire ogni giorno il male che fa, e operare come se fosse buono ed ogni giorno compisse il bene. Andare innanzi per la via oscura, perché lontano si scorge una fiammella, e vivere per quella fiammella, che però assicura l’esistenza del fuoco. Perdonare, come dice Gesù, perché gli uomini non sanno che cosa fanno». Si può sempre scommettere sull’uomo e sulla sua capacità di amare, anche quando sbaglia mille volte. Il perdono riafferma proprio questa ferita del cuore che spalanca e si àncora a quel bene più profondo a cui noi aneliamo.

Non è nostro intento ripercorrere qui l’itinerario di Alberto che si dispiega nelle oltre cinquecento pagine del romanzo. Preferiamo sottolineare la profonda riflessione esistenziale che attraversa le righe e il sospiro anelante ad una felicità piena che si traduce alla fine in presagio di gioia certa, assaporamento del «già e non ancora», del «centuplo quaggiù e dell’eternità». Così Gatti scrive nell’ultima parte «Il cuore in pace» nel capitolo intitolato «Sì»: «Gli uomini hanno inventato i giorni, i mesi e gli anni, per rammentare a se stessi di aver vissuto: in questo modo si sono fatti eterni». […] Lunedì, martedì, mercoledì, le settimane finiscono e poi ricominciano […]. Così, al ritornare dei giorni, dei mesi e degli anni, gettano per un momento l’àncora nel passato; rinnovano intanto le poche gioie e i molti dolori, ma della sofferenza non si curano».

Il viaggio della vita che Alberto decide di intraprendere è come quello di cui discorre Platone nel Fedone (l’attraversata del mare su di una zattera), è simile a quello che Renzo intraprende per fuggire dalle prevaricazioni di Don Rodrigo, per scappare da Milano e poi ritornarvi per ritrovare l’amata Lucia, è come quello di Dante dalla selva oscura al Paradiso. In fin dei conti, il viaggio della vita è alla scoperta di sé, come capisce Alberto alla fine: «Gli sembrava d’essere tornato alla scoperta di sé, che tutti gli uomini un giorno intraprendono. C’è chi lo intraprende con la fede e chi con la ragione, chi in fretta e chi pazientemente, chi dolorando a lungo e chi consolandosi presto, chi, infine, confessandolo e chi fingendo d’ignorarlo: ognuno tenta l’impresa con forze e modi differenti, e ognuno conosce soltanto il proprio affanno, ed è estraneo e quasi nemico all’altro. […] Forse, nessun viaggio reale sulla terra e nel cielo era stato mai tanto pieno di mistero e di maestà, quanto quello in cui nulla era successo secondo il ragionamento e la logica, e l’amore soltanto aveva indicato e aperta la via».

Come nella Vita nova Dante è chiamato a riconoscere Beatrice come segno di Cristo, così dopo tanti anni, tanto dolore e tanta fatica accade anche ad Alberto: «La fede nello spirito d’Ilia, la fede concepita […] come atto semplice» conduce «naturalmente Alberto verso il perfetto. Ilia operosa lo guidava in alto senza che egli quasi se n’accorgesse; e, mentre egli camminava sulle tracce di lei, gli parevano meravigliose le parole di San Giovanni: «Chi fa la verità viene alla luce»».

Invito alla lettura

Ilia e Alberto;

Caporetto. Diario di guerra (maggio-dicembre 1917).

Proposta di analisi di testo

Ilia e Alberto.

Primo brano proposto.

“Intimamente buono e onesto, desideroso d’ordine e di giustizia, nemico del male e della violenza, propugnatore operoso del bello e dell’utile, era indotto ad ammettere una forza che, come i credenti, chiamava senza riluttanza, Dio. Ma questo Dio non scendeva in lui, né per un irresistibile desiderio, né per un’ansiosa ricerca: se l’era fatto lui a modo suo, per regolare e raddrizzare i torti della vita terrena, Perché gli pareva che le cose andassero male in basso, aveva delegato all’Onnipotente l’ufficio di farle andar bene dall’alto. Creatoselo con quello scopo, Alberto viveva con lui in perfetta eguaglianza. Ad ogni spettacolo di bellezza, di grandezza o di bontà, alzava istintivamente lo sguardo, in atto di riconoscimento, di merito e di ringraziamento: la creatura era contenta del creatore. Ma, ad ogni ingiustizia, violenza o viltà troppo sfrontata degli uomini, quel Dio era egualmente chiamato in causa da Alberto; e la creatura, se non chiaramente, certo intimamente, chiedeva conto dell’opera al creatore”.

Secondo brano (dopo la morte di Ilia).

Ilia morta è fuori di posto, e mi trascina con sé. Cosi, senza un principio e un fine, tutto quello che avevamo sentito, pensato e fatto insieme non ha più significato e valore. Mi pare d’essere campato in aria. Bisogna ch’io senta questa vita come un anello d’una catena non interrotta; che la morte d’Ilia sia per me una separazione passeggera, non una perdita eterna, perché io ritorni a capire qualcosa”.

Terzo brano (alla fine del romanzo).

“Sul cammino del Figlio dell’uomo la vita rinasceva, e si spiegava in tutti i modi, corporali e spirituali, degli uomini e delle cose. Dalle spiagge serene del mar di Galilea, Gesù scendeva per i borghi grigi e le strade polverose verso la dura Gerusalemme; e benediceva. Venivano a lui i morti dello spirito, gli indemoniati, le cortigiane, gli usurai, i figliuoli prodighi, i semplici d’intelletto; e, come una fiumana eguale e parallela, i percossi del corpo, gli storpi, i monelli, i ciechi, i paralitici, feccia della terra… Dalla mostruosa solitudine saliva un’invocazione sola: “Gesù Cristo, pietà!” perché i nati dell’uomo, che non avevano chièsto di vivere, non volevano soffrire e morire. E il Figlio dell’uomo sentiva la giustizia dell’invocazione. Con un gesto, lieve come una carezza, toccava i disperati, e i disperati si placavano; toccava gli ammalati e gli ammalati guarivano; toccava i morti e i morti eran risuscitati… Per la certissima testimonianza di Gesù, la più soave e meravigliosa che fosse mai stata, gli uomini ritrovavano la ragione di operare e di sperare. Sapevano d’essere un esercito spiegato in battaglia, in cui molti cadono e altri ne prendono il posto; ma la scomparsa non sgomentava. Coloro che toccavano il suolo, anche gli infimi, si rialzavano con nuove forze. Perciò Ilia, sicuramente, ora procedeva con la moltitudine dei fedeli, che avevano posato nel bacio del Signore”.

Comprensione complessiva.

1) I tre brani proposti appartengono a momenti distinti del romanzo. Prova a spiegare i tre lacerti.

Analisi di testo.

2) Come viene descritto Alberto nel primo brano? Qual è l’evoluzione psicologica, esistenziale e religiosa del personaggio per quel che comprendi dai testi? Come muta la sua fede?

3) Soffermati sulla qualità della scrittura di Gatti.

4) Esprimi un tuo giudizio personale sui testi adducendo riferimenti anche alla tua esperienza religiosa.

Inquadramento generale e approfondimenti.

5) In altre importanti opere della letteratura italiana e straniera compaiono personaggi che “si convertono” durante la storia. Approfondisci il tema adducendo riferimenti ad opere (del  programma scolastico o letture personali) che hai particolarmente apprezzato.

Tags: Angelo GattiCaporettodanteesame di maturitàmaturità 2014Miguel Manara
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