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Matrimoni e unioni civili non sono parificabili

«La famiglia è quella società naturale che, fondata sul matrimonio, è funzionale alla nascita di figli nati da una coppia eterosessuale»

Maurizio Sacconi
28/01/2016 - 16:54
Politica
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Pubblichiamo l’intervento al Senato dell’onorevole Maurizio Sacconi (Area Popolare) a proposito delle pregiudiziali di costituzionalità del disegno di legge sulle unioni civili.

Signor Presidente, Onorevoli colleghi,

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La questione pregiudiziale che illustro implica un chiarimento preliminare. Essa è giustificata dalla evidente sovrapposizione, operata dal ddl Cirinnà, tra matrimonio e unioni civili.

Identiche le modalità di celebrazione, di scioglimento e gli impedimenti. Perfettamente simmetrici i diritti e doveri tra coniugi da una parte e partners dell’unione civile dall’altra.

Non sarebbe stata necessaria, ma elimina ogni perplessità, la disposizione, che costituisce una vera e propria clausola dell’equivalenza, secondo la quale, in qualsivoglia testo normativo, di rango primario o secondario, la dove compaiano le espressioni coniuge o coniugi, a queste devono ritenersi del tutto equivalenti quelle di partner o partners dell’unione civile.

Per non dire poi dell’articolo 2 comma 6 che dispone quanto alla scelta del cognome, disposizione civilistica questa inevitabilmente connessa ai bisogni di una famiglia eterosessuale, perché costruita sulla procreazione e quindi sulla trasmissione ai figli del cognome dei genitori.

Cosicché dell’articolo 3 comma 1 e del concetto di fedeltà che, malgrado sia oggi dilatato rispetto agli originari confini, prevalentemente coincidenti con la esclusività nel rapporto sessuale, oggi è orientato nella più ampia direzione della relazione affettiva e sessuale nell’ambito della vita familiare. Assume così un rilievo pubblicistico anche alla luce dell’istituto civilistico della presunzione di paternità. Come tale è collocato nell’ambito della famiglia eterosessuale.

Analogamente deve dirsi, sempre con riferimento all’articolo 3, comma 2 e al potere delle parti dell’unione civile di fissare la residenza comune, concordando tra loro l’indirizzo della vita familiare, dato che risulta difficile pensare che una simile previsione sia giustificata in un contesto di famiglia non in grado di procreare. Considerazioni non dissimili posso farsi in relazione all’articolo 4 comma 1 e alla qualità di erede necessario riconosciuta al partner dell’unione civile, laddove la corrispondente disposizione del codice civile individua come tali soltanto gli ascendenti, discendenti e il coniuge. In altri termini soggetti legati al de cuius da rapporti di parentela connessi alla capacità di procreare.

I richiami che precedono servono a dimostrare, sia pure in questa fase del tutto preliminare, la perfetta coincidenza tra unione civile e matrimonio e conferiscono fondatezza alla pregiudiziale di costituzionalità dell’intero testo legislativo.

A tal proposito, uno degli aspetti cruciali del dibattito sul punto è certamente costituito dalla sentenza 138/2010 della Corte Costituzionale. Il fatto che la Corte Costituzionale abbia scritto che il legislatore è libero di disciplinare le unioni civili tra cittadini dello stesso sesso, secondo scelte altrettanto libere di politica legislativa, non comporta certo l’erronea conclusione secondo la quale il matrimonio e la famiglia cui fa riferimento l’articolo 29 della Costituzione non siano soltanto di natura eterosessuale, potendo così questi sostantivi competere anche alle unioni omosessuali.

L’idea che noi avversiamo, quella cioè dell’assenza di vincoli costituzionali quanto all’esclusivo riferimento alla base eterosessuale del matrimonio, potrebbe risultare fondata solo se la Corte Costituzionale avesse affermato la totale libertà del legislatore nel disciplinare le unioni di soggetti omosessuali, anche sulla falsariga del matrimonio. Ma così non è, dato che la Corte non ha escluso l’ipotesi che taluna delle soluzioni possa risultare anticostituzionale, se scrutinata.

A conforto di questa tesi sta la lettera della sentenza 138/2010.

Infatti, se nell’articolo 29 cost non esistesse alcun vincolo circa le modalità, non avrebbe avuto alcun senso che la Corte Costituzionale abbia chiarissimamente anticipato un suo controllo sulle possibili modalità di attuazione delle unioni civili.

Cosa, questa, che invece risulta chiaramente dal testo della motivazione, già nella parte conclusiva del paragrafo 8.

Peraltro, in questi passaggi la Corte fa espresso riferimento, ma in termini di mera possibilità, a trattamenti omogenei tra coniugi e partners delle unioni civili, che così facendo differenzia significativamente, aggiungendo di potere esercitare il proprio controllo di costituzionalità mediante il parametro della ragionevolezza, se investita dal quesito, nei confronti delle soluzioni seguite dal legislatore.

Ciò significa, in termini ancora più espliciti, che all’interno della disposizione costituzionale di cui all’art 29, matrimoni e unione civili non risultano parificabili.

D’altronde la sentenza in questione va letta integralmente, non essendo ammissibile alcuna consultazione parziale del dato giurisprudenziale. A tale riguardo non si può sottovalutare l’ulteriore significativa affermazione contenuta nel paragrafo 9 successivo, secondo la quale i costituenti, malgrado conoscessero la questione omosessuale, ci permettiamo di aggiungere anche per avere introdotto sul punto il non trascurabile divieto di discriminazioni per ragioni di sesso, allorquando scrissero di famiglia e matrimonio, ebbero chiaro l’esclusivo riferimento alla famiglia eterosessuale.

Ciò non può essere trascurato, dal momento che dovrebbe comportare una implicita e esclusiva costituzionalizzazione della famiglia eterosessuale.

Con la corrispondente esclusione, dal perimetro dell’art 29 cost, di ogni altra unione.

D’altronde nella medesima direzione da noi qui delineata, soccorre pure la classica espressione di una famiglia definita come società naturale, come tale fondata sul matrimonio.

Espressione, questa, che esclude un contesto artificiosamente creato mediante il ricorso a soluzioni giuridiche o fisiche surrogatorie delle condizioni naturali dei coniugi e quindi della loro inevitabile eterosessualità in ragione del raggiungimento dell’obiettivo prioritario costituito dalla procreazione che, per l’appunto, è in via naturale del tutto precluso alle coppie omosessuali.

Né – questa volta prescindendo dalla più volte richiamata sent 138/2010- può trascurasi la portata integratrice dei successivi articoli 30 e 31 cost.

Pur limitando questi richiami ad alcuni aspetti essenziali non può dubitarsi che il significato di queste tre disposizioni sia del tutto unitario.

Pertanto, se l’art 29 disciplina la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, il successivo articolo 30 afferma il dovere e diritto dei genitori a mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.

E allora è chiaro che la famiglia è quella società naturale che, fondata sul matrimonio, è funzionale alla nascita di figli nati da una coppia eterosessuale, titolare del diritto e del dovere di educarli, mantenerli ed istruirli.

Il che comporta, rovesciando i piani del ragionamento, che non può ritenersi famiglia una unione omosessuale alla quale non può essere trasferito il regime del matrimonio che a questa è esclusivamente connesso dall’articolo 29 cost.

Né meno significativo al riguardo è l’articolo 31 cost che prefigura una legislazione agevolatrice e provvidente esclusivamente indirizzate a vantaggio della famiglia con un eloquente riferimento alla protezione della maternità.

Legislazione, questa, che trova la sua giustificazione proprio in quella procreazione che costituisce la prerogativa esclusiva della famiglia eterosessuale.

Circostanza questa che comporta la evidente estromissione, dal perimetro degli art 29, 30, 31 di ogni altra unione, perché del tutto immeritevole dei vantaggi destinati a una famiglia e un matrimonio che in virtù della finalità della procreazione che li caratterizza, li merita.

Né certo si può pensare, questa volta riferendoci all’art 5 del ddl Cirinnà, che per famiglia possa intendersi una sorta di famiglia surrogata in via giuridica attraverso l’indebito ricorso delle adozioni. Con ciò rovesciando il principio fondamentale secondo il quale l’adozione dà una famiglia ad un bambino che ne ha diritto e non un bambino ad una coppia che lo desidera.

Né infine può trascurarsi la portata dell’articolo 81 della Costituzione. L’estensione delle pensioni di reversibilità ad una platea più ampia, peraltro difficilmente prevedibile, comporta un ampliamento dei diritti soggettivi e della corrispondente spesa obbligatoria. Le regole di contabilità pubblica richiedono una stima degli oneri di almeno dieci anni, in quanto essi devono essere calcolati per il periodo di piena manifestazione degli effetti che in questo caso corrisponderebbe al momento in cui si realizzerà il tasso medio di mortalità dei conviventi. Poiché invece la copertura è proiettata al solo decennio successivo all’entrata in vigore del provvedimento è evidente che risulta minima la mortalità dei componenti le unioni civili con la conseguenza di una patente sottostima degli effetti finanziari e della relativa copertura di bilancio.

Per tutte le ragioni che procedono si insiste sull’approvazione della presente questione pregiudiziale di costituzionalità.

Foto Ansa

Tags: corte costituzionaleddl cirinnàMatrimonioMaurizio Sacconiunioni civli
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