Dalla guerra alla crisi. Così è montata la marea dei migranti nell’Italia più debole

Di Amedeo Lascaris
26 Luglio 2022
Il conflitto in Ucraina e la caduta del governo, i prezzi dell’energia alle stelle e l'insicurezza alimentare, il caos politico ed economico nei paesi delle rotte migratorie. C'è chi getta acqua sul fuoco ma l’emergenza potrebbe raggiungere il picco nei prossimi mesi
Il 24 luglio l'Ocean Viking recupera 87 migranti al largo della Libia
Il 24 luglio l'Ocean Viking recupera 87 persone al largo della Libia (foto Ansa)

Dal primo gennaio 2022 allo scorso 25 luglio sono ben 36.773 i migranti sbarcati sulle coste italiane, il 25 per cento in più rispetto al 2021, divario che cresce del 65 per cento se rapportato con il 2020, anno della pandemia di Covid-19.

Tra recessione post Covid e guerra in Ucraina

Media e istituzioni stanno cercando di gettare acqua sul fuoco delineando in senso “umanitario” un’emergenza che potrebbe raggiungere il picco nei prossimi mesi con le Ong del mare, come la tedesca Sea Watch, ritornate ad essere attivissime nel soccorrere i barconi di disperati che naufragano, spesso volutamente, al largo della Libia, conducendoli in territorio europeo. Esperti e anche istituzioni hanno derubricato questa nuova ondata migratoria a una crisi passeggera, ricordando che i dati sono ancora molto lontani dagli anni neri come il 2014 quando in Italia sbarcarono 170.000 persone in un anno.

Tuttavia, a differenza di quella del 2014, l’ondata attuale giunge in un momento di estrema debolezza per l’Italia e in generale per l’Europa che dopo la recessione provocata dalle serrate della pandemia, sta affrontando le conseguenze della guerra in Ucraina: prezzi dell’energia alle stelle e cresciuti in pochi mesi anche del 300 per cento; un tasso di inflazione al suo massimo storico dagli anni 80; crisi degli approvvigionamenti e una crisi alimentare globale. La crisi in realtà investe il mondo intero con conseguenze devastanti per i Paesi più poveri, soprattutto quelli con una ben oleata organizzazione per le migrazioni all’estero.

Il corridoio degli “irregolari” dai Balcani

La pressione migratoria non riguarda solo la rotta Nordafrica – Italia, ma tutto il Mediterraneo e l’Europa. I dati pubblicati da Frontex, l’agenzia di frontiera dell’Ue, mostrano che le entrate “irregolari” sono salite a 114.720 nella prima metà del 2022, l’84 per cento in più rispetto allo scorso anno. Molti altri migranti potrebbero essere sfuggiti al rilevamento. Il numero di tentativi di ingresso attraverso i Balcani occidentali è aumentato di quasi il 200 per cento. Sorprendentemente, queste cifre non includono milioni di ucraini che hanno chiesto asilo all’Ue da febbraio.

La maggior parte dei rifugiati non ucraini e dei migranti economici classificati come irregolari provengono da Siria, Afghanistan, Iraq, Turchia, Bielorussia, Bangladesh, Egitto e Africa subsahariana. Questo è importante per capire cosa sta guidando la nuova ondata. L’abbandono dell’Afghanistan da parte dell’Occidente lo scorso anno si riflette chiaramente in un aumento del numero di rifugiati. A ciò si aggiunge la prosecuzione del conflitto in Siria, inclusa Idlib; la minaccia di ulteriori incursioni militari turche transfrontaliere nelle aree curde; e vari conflitti mediorientali e africani, oltre all’eredità della guerra in Iraq, continuano ad alimentare l’instabilità.

In Italia da Tunisia, Egitto, Bangladesh e Afghanistan

Il dato italiano è quello che colpisce maggiormente, perché è una delle rotte preferite dai trafficanti di esseri umani, perché breve e gestita direttamente all’interno di paesi come la Libia in cui il traffico di esseri umani è una vera professione. Le quattro nazioni da cui provengono la maggioranza dei migranti sono Tunisia (6.731), Egitto (6.059), Bangladesh (5.893), Afghanistan (3.292), paesi in cui non sono in corso guerre ma dove insistono devastanti crisi economiche e dei sistemi istituzionali che la crisi globale non può far altro che aggravare ulteriormente.

Purtroppo, la guerra in Ucraina, che ha prodotto 9,6 milioni di rifugiati, ha distolto in questi mesi l’attenzione mediatica su quanto sta accadendo in Nord Africa, nel Sahel e nell’Africa subsahariana dove la situazione è nuovamente precipitata tra il 2021 e il 2022 dopo tentativi vani da parte dei paesi occidentali di stabilizzare in qualche modo le zone note per essere il punto di origine e di passaggio per le rotte migratorie.

Il caos in Libia, a rischio guerra civile

In Libia, punto di arrivo delle rotte del traffico terrestre di esseri umani, gestite dalle potenti tribù che operano ai confini tra Niger e Ciad, e di partenza per la rotta marittima verso l’Italia, il fallimento di un percorso elettorale che avrebbe dovuto stabilizzare il paese con le prime votazioni dal 2014 lo scorso 24 dicembre 2021, la situazione è nuovamente piombata nel caos. Al governo riconosciuto dalle Nazioni Unite guidato dall’imprenditore misuratino, Abdulhamid Dabaiba, si è contrapposto a partire dal 3 marzo scorso un nuovo esecutivo nominato dal parlamento di Tobruk, con sede nella Cirenaica, guidato da un altro uomo forte di Misurata, Fathi Basghagha. La situazione ha dato il via ad una nuova “diarchia” e ad un caos istituzionali in cui si sono mischiati gli interessi di milizie, mercenari di ogni tipo tra cui la famigerata compagnia russa Wagner, trafficanti e non da ultimo l’ancora potente generale Khalifa Haftar ancora forte in Cirenaica.

Gli scontri armati avvenuti a Tripoli tra il 23 e il 24 luglio che hanno portato alla chiusura per alcune ore dell’unico aeroporto ancora funzionante della capitale Tripoli, Mitiga, hanno mostrato quanto sia possibile il rischio di una nuova guerra civile con conseguenze devastanti per la regione.

L’insicurezza alimentare del Sahel

Il Mali, il paese più povero dell’Africa, ha subito l’ennesimo colpo di Stato militare nel maggio dello scorso anno che ha portato alla cacciata delle forze militari francesi e della missione di pace delle Nazioni Unite. La missione anti-jihadista francese nel Sahel si sta ritirando dal Mali con gravi conseguenze in tutta la regione del Sahel. Secondo dati dell’iniziativa Reach, in Mali e negli altri due Paesi più poveri del Sahel – Niger e Burkina Faso – il 90 per cento delle famiglie non ha accesso a bisogni primari come l’accesso all’acqua e all’assistenza sanitaria, l’istruzione e la sicurezza.

I dati di Reach fanno emergere che l’insicurezza alimentare del Sahel – regione che va dal Senegal all’Eritrea – aggravata dalla guerra in Ucraina che ha interrotto le esportazioni di grano, potrebbe spingere decine di migranti a fuggire dalla regione e spostarsi verso nord. A giugno, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi ha affermato che “l’Europa dovrebbe essere molto più preoccupata” per l’arrivo di più persone dalla regione del Sahel.

Egitto, Tunisia e la peggiore crisi degli ultimi 100 anni

Egitto e Tunisia, due paesi non in stato di guerra, ma dove le crisi di questi anni e l’instabilità cronica dei vicini hanno colpito duro, sono le prime nazioni da cui in momenti di difficoltà partono le persone alla volta dell’Europa sulla rotta mediterranea. L’Egitto, paese da oltre 100 milioni di abitanti, il più popoloso dell’Africa, la crisi in Ucraina ha interessato tutta la catena dei prodotti alimentari e dipendente quasi completamente dalle forniture. Nel 2021, il paese delle piramidi ha importato oltre il 70 per cento del fabbisogno di grano dal paese. Lo scorso 15 giugno, il primo ministro dell’Egitto, Mostafa Madbouly, ha esortato i cittadini egiziani a razionalizzare i propri consumi per arginare “la peggiore crisi alimentare al mondo degli ultimi 100 anni” e alleggerire il peso delle importazioni.

In Tunisia, la crisi è “ormai di casa” e dopo aver rappresentato “l’esempio riuscito della Primavera araba” si sta dirigendo verso una nuova forma di dittatura con il presidente Kais Saied che ha lavorato per trasformare completamente il volto del paese con la nuova costituzione votata proprio lo scorso 25 luglio tra accuse di colpo di Stato e di leaderismo.

Europa ancora una volta senza strategia

Di fronte a questa situazione l’Unione europea sta guardando solamente al braccio di mare e alle rotte terrestri passando dalla politica a maglie larghe a quella dei muri, senza avere per l’ennesima volta una strategia. L’ultima iterazione del fallito patto migratorio 2020 dell’Ue – un “meccanismo di solidarietà volontaria” – è limitata, formulata in modo vago e manca di unanimità. Come accade dal 2015, Austria, Ungheria, Polonia e altri si rifiutano sostanzialmente di fare di più per aiutare gli stati “in prima linea” come Grecia, Italia, Malta, Cipro e Spagna a processare, pagare e sistemare i richiedenti asilo.

Oxfam ha affermato che il meccanismo ha consentito ai paesi di sottrarsi alle proprie responsabilità, non è riuscito a creare rotte di migrazione legale e ha continuato a fare affidamento invece sulla sorveglianza delle frontiere, sui centri di detenzione e sulle barriere fisiche (come il muro di confine appena completato della Polonia con la Bielorussia). Il risultato sarà un sistema di accoglienza e di asilo sopraffatto, campi sovraffollati pieni di persone lasciate nel limbo e più respingimenti al confine europeo.

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