Nella Chiesa tutto contribuisce alla gloria di Dio, anche i litigi fra santi. Il caso Candia vs don Calabria

Di Piero Gheddo
07 Giugno 2013
Papa Francesco mette in guardia la Chiesa dalla tentazione del trionfalismo. Padre Piero Gheddo ricorda le divergenze tra il servo di Dio Marcello Candia e san Giovanni Calabria in merito alla visibilità delle opere missionarie

Il 29 maggio scorso, nella Messa quotidiana a Santa Marta Papa Francesco, parlando degli apostoli Giovanni e Giacomo che chiedono a Gesù: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra», ha condannato «il trionfalismo» come una tentazione da combattere, perché espressione di un «cristianesimo senza Croce», che impedisce alla Chiesa di andare avanti. L’atteggiamento trionfalista è quello di «una Chiesa che pensa soltanto ai trionfi, ai successi», insiste Papa Francesco, dimenticando «la regola di Gesù del trionfo tramite il fallimento umano, il fallimento della Croce». E questa «è una tentazione che tutti noi abbiamo», è la stessa tentazione di Pietro quando rifiuta la passione di Gesù.

Due giorni prima, il 27 maggio, monsignor Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ony a Ginevra, ha richiamato il Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite a una maggiore protezione dei cristiani soggetti a discriminazioni e aggressioni. «Le serie violazioni del diritto alla libertà religiosa in generale e la recente continua discriminazione, con sistematiche aggressioni inflitte ad alcune comunità cristiane in particolare – ha detto l’arcivescovo – preoccupano profondamente la Santa Sede e molti governi democratici, le cui popolazioni abbracciano varie religioni e tradizioni culturali». Monsignor Tomasi ha citato allarmanti statistiche, secondo le quali oltre 100 mila cristiani sono violentemente uccisi ogni anno per la loro fede. Altri, ha aggiunto, sono costretti alla fuga, stuprati, torturati o rapiti a causa della loro appartenenza religiosa. «Molti di questi atti sono stati perpetrati in alcune aree del Medio Oriente, in Africa e in Asia… Inoltre, in alcuni paesi occidentali, dove storicamente la presenza cristiana è stata parte integrante della società, emerge un trend che tende a marginalizzare il cristianesimo dalla vita pubblica, ne ignora il contributo storico e sociale, e apporta addirittura restrizioni alla possibilità di portare avanti opere caritative e di volontariato da parte di comunità religiose».

Tentazione del trionfalismo da una parte, persecuzione dall’altra. Noi cristiani viviamo perennemente tra essere trionfalisti oppure marginalizzati dalla vita pubblica. La fede in Cristo non ci permette di addormentarci: è giusto condannare chi sogna successi senza passare per la Croce, ma è anche giusto protestare e manifestare per le persecuzioni e il «trend che tende a marginalizzare il cristianesimo dalla vita pubblica». Siamo mandati ad evangelizzare non solo le singole persone e le famiglie, ma la società e la cultura dominante che oggi toglie Dio dall’orizzonte dell’uomo e rende la religione un hobby privato.

Un esempio spiega questa nostra situazione esistenziale. Nel 1913, il sacerdote veronese Diodato Desenzani (1882-1960) entra nel Pime e viene mandato in India tra gli ultimi della società indiana, i paria, allora privi di qualsiasi assistenza sanitaria. Tornato in Italia nel 1933 per curarsi, padre Diodato si iscrive all’università e nel 1938 consegue la laurea in medicina partendo poi definitivamente per l’India. In quegli anni fonda a Verona la Ummi (Unione medico missionaria italiana), per preparare e inviare medici nelle missioni, la prima associazione di volontariato  missionario in Italia, che Desenzani affida alla congregazione del santo don Giovanni Calabria, “I poveri servi della Divina Provvidenza”. Dopo la Seconda Guerra mondiale, quando inizia in Italia la stagione del volontariato missionario internazionale, la Ummi si diffonde.

Il servo di Dio dottor Marcello Candia (1916-1983), che dirigeva l’industria chimica fondata dal padre, fonda (e finanzia) all’Università di Milano la Scuola di medicina per i missionari, provvidenziale per molti missionari e suore che poi, col diploma di infermiere di valore internazionale, hanno potuto esercitare la medicina nelle missioni. Quando sente che a Verona c’è la Ummi, Candia si accorda con don Calabria e la fonda anche a Milano. E qui nasce il disaccordo fra due uomini di Dio. Calabria, secondo lo spirito della sua congregazione, non voleva fare pubblicità per la Ummi, né articoli sui giornali, si fidava della Provvidenza e citava il Vangelo: «Non sappia la tua destra quel che fa la tua sinistra» (Mt 6,3). Candia invece, giovane e dinamico iniziatore di parecchie opere missionarie, invitava medici e giornalisti alle conferenze sul tema “Medicina e missioni”, faceva scrivere articoli sui giornali e parlava alla radio per invitare medici e infermiere al volontariato nelle missioni. E citava a don Calabria ancora il Vangelo di Matteo (5,16): «Così deve risplendere la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e diano gloria al Padre vostro che sta in Cielo».

La controversia dura fino al 1952, quando don Calabria ricorre al cardinal Schuster, il quale chiama Candia e gli spiega le ragioni del santo sacerdote veronese. Marcello fa un passo indietro e la sezione milanese dell’Ummi cambia nome e diventa Alam (Associazione laici in aiuto alle missioni). Il trionfalismo non va bene, ma anche tenere quasi nascoste le meraviglie che lo Spirito compie ancor oggi nella Chiesa non è secondo il Vangelo.

tratto dal blog di padre Piero Gheddo

Articoli correlati

1 commento

  1. Giulio Dante Guerra

    Beh, in questo mi sembra di vederci una “attuazione pratica” del classico “in dubiis libertas, in omnibus caritas”. Come pure del fatto che i santi, diventando tali, lo hanno fatto restando uomini come noi. Ed hanno pure condiviso alcuni pregiudizi dell’epoca in cui sono vissuti. Così, può darsi che Marcello Candia, quando vendette l’industria chimica che possedeva in Italia per andare a fondare un ospedale in Amazzonia, sia stato influenzato da un “pauperismo” allora serpeggiante anche nel mondo cattolico. Mi spiego meglio: se, accanto all’ospedale, avesse fondato anche un’industria finalizzata allo sfruttamento delle risorse naturali locali, allora parecchio abbandonate a se stesse, avrebbe dato lavoro a molti disoccupati e/o sottoccupati del posto, e dotato l’ospedale d’una fonte di finanziamento permanente. Aveva le conoscenze scientifiche e la capacità imprenditoriale per farlo. Invece ritenne – sicuramente in buona fede – di affidare il finanziamento dell’opera da lui fondata allo spirito ddi carità del prossimo e alla Provvidenza di Dio. A proposito: come si sostiene oggi, quell’ospedale? Trova i mezzi per sostenersi, o è stato costretto ad affidarsi all’equivalente brasiliano delle nostre USL, magari con sulla testa la “spada di Damocle” di una possibile imposizione, come “struttura pubblica”, di praticare anche l’aborto?

I commenti sono chiusi.