Mantovano: «Dopo il caso Lazio, azzeriamo il Pdl e costruiamo un cartello liberale»

Di Chiara Rizzo
25 Settembre 2012
Intervista al deputato del Pdl: «La Polverini si è dimessa per il disagio di fronte ai problemi quotidiani delle famiglie. Il Pdl deve ipotizzare uno scioglimento» per intercettare «l'elettorato liberale e moderato».

«Penso che Renata Polverini abbia voluto segnare una distanza netta tra la sua persona, la funzione svolta e tutto ciò che è accaduto ed è venuto fuori ultimamente nella Regione di cui lei poteva restare alla guida»: così il deputato (Pdl) Alfredo Mantovano commenta le dimissioni presentate dall’ormai ex governatrice del Lazio. Mantovano è impegnato da tempo nel coordinamento dei circoli Nuova Italia, insieme, tra gli altri, al sindaco di Roma Gianni Alemanno, di cui Mantovano condivide la riflessione sulla necessita di «un azzeramento del Pdl, non come qualcosa contro, ma “per”: per respingere condotte che, senza scomodare il moralismo, sono irritanti se poste a confronto delle attuali difficoltà degli italiani. Per mettere da parte anche le pseudo soluzioni».

Polverini in fine si è dimessa. Cosa ne pensa?
In qualche misura, credo che Renata Polverini abbia voluto chiarire nel modo più drammatico – e non solo a parole – che non ha condivisione di questa vicenda.

Eppure proprio oggi diversi quotidiani pubblicano documenti trovati dal Nucleo valutario che provano che gli aumenti di fondi ai partiti venivano approvati dalla giunta. Polverini dimettendosi ha detto che i consiglieri regionali «li mando a casa io. Noi arriviamo qui puliti. Questa storia nasce per una faida interna al Pdl». Come può Polverini sostenere di non sapere ciò che avveniva? E non è solo una giustificazione questa delle faide interne?
Purtroppo i contrasti interni al Pdl sono in parte, non esclusivamente, il vizio d’origine di questa consiliatura regionale. Ricordiamo tutti il pasticcio della mancata presentazione della lista Pdl della circoscrizione di Roma e c’è stata una certa debolezza del gruppo consiliare. Non so se Polverini potesse non sapere ciò che accadeva con i fondi ai partiti. Io non ho gli elementi per dirlo, ma so che, essendo stata nominata commissario per la Sanità in Lazio, la sua giornata era impegnata a capire dove andavano fatti i tagli, quali reparti sopprimere, quali limitare.

Forse, se fosse stata più attenta alla gestione dei fondi ai gruppi partitici, avrebbe potuto tagliare di meno.
Avrà anche messo delle firme, avrà avallato delle decisioni, ma avrebbe potuto far meglio solo se ci fosse stata una sponda nel consiglio regionale e anche nelle opposizioni. Invece è mancata. In questa vicenda si intersecano diversi profili: quello di carattere politico di cui ho parlato, e poi di carattere personale e istituzionale. Per il profilo personale, Polverini ha una lunga esperienza nel sindacato, che l’ha abituata a conoscere le difficoltà dei lavoratori, rese oggi ancor più drammatiche dalla crisi. Al di là dei reati commessi, al di là delle spaccature, io credo che quello che ha più inciso su di lei in questi giorni è stata la frattura tra la sua esperienza sindacale, il disagio che attraversano famiglie e lavoratori e le scene che abbiamo visto sui giornali, gli “spettacoli” di esponenti del consiglio regionale. Penso che la scelta delle dimissioni nasca proprio da questo disagio davanti alle difficoltà quotidiane di tanti italiani e laziali. Polverini ha usato un’espressione ieri che mi ha colpito: “Mi sono liberata da una cappa che durava da due anni e mezzo”. Qui si intreccia il secondo profilo, quello istituzionale. Oggi sulle giunte e sul presidente di una regione gravano responsabilità pesantissime e oltre i confini del Lazio quello che emerge anche a livello nazionale è che nei ministeri la scure c’è stata, nei comuni si soffre per le forti limitazioni alle risorse, ma non nelle Regioni. Resta infatti, in virtù di un malinteso federalismo, il nodo delle Regioni: sono già stati fatti tagli nei trasferimenti delle risorse da Roma, ma la gestione a livello regionale non segue sul piano normativo le stesse linee seguite a livello nazionale e comunale.

Malgrado lo scandalo, tre protagonisti di questi giorni, Franco Fiorito, Carlo De Romanis e Chiara Colosimo sono pronti a ricandidarsi. Che ne dice?
Queste tre persone che nomina sono giovani. Due su tre sono anche “nuovi”: il che significa che, nell’affrontare il problema dell’immediato futuro del Pdl, vanno messi da parte i dogmi. Se i protagonisti delle “gloriose gesta” laziali sono in larga parte giovani e “nuovi”, la soluzione non può essere certo il certificato anagrafico. Non è nemmeno un problema di cambio del nome, o di ritorno a ex An e ex Fi, perché tra le cose peggiori che si possono pensare di fare oggi c’è il ritorno al passato. Il problema del Pdl è quella di una realtà che non può limitarsi a fare un maquillage. Come è avvenuto a suo tempo con il pentapartito, il Pdl deve ipotizzare uno scioglimento per rappresentare una possibilità valida all’elettorato liberale e moderato.

La soluzione è, come dice Alemanno, azzerare tutto?
Sì. Rivediamoci il “film” di 20 anni fa. Il pentapartito era nelle condizioni attuali del Pdl, ma senza la consapevolezza delle conseguenze finali che abbiamo oggi. Ci fu un sondaggio per capire se qualcuno poteva essere interprete di un centrodestra mai stato nella storia della Repubblica: si parlò di Segni, di Martinazzoli, ma nessuno andava bene. Poi Berlusconi decise di spendersi in prima persona. L’analogia con l’attualità è che esistono tanti soggetti personali ed associati, che non hanno necessariamente esperienza politica, ma vengono dall’economia. Penso a Giannino o a Montezemolo, ad esempio. Insieme a queste persone credo ci sia poi qualcuno da salvare dell’esperienza del centrodestra di questi ultimi anni: non tutto è da gettare nella pattumiera. Penso ad un nuovo cartello che metta insieme un nuovo equilibrio delle forze. I tempi sono strettissimi, ma ce la si potrebbe fare.

E Berlusconi dovrebbe starne fuori?
No e, anzi, spero che non lo si ritenga responsabile anche per le gesta di Fiorito o per il “ritorno di Ulisse”. Berlusconi è protagonista dell’esperienza anche positiva di questi vent’anni e non va messo da parte. Quale ruolo debba avere non lo saprei dire, siamo al primo capitolo di una vicenda che deve essere riscritta, ma il dato certo è che Berlusconi non deve essere estraneo a questa nuova storia.

Si pone oggi più che mai il problema della selezione dei candidati nel Pdl. Come risolverlo?
Non c’è la bacchetta magica. La politica è il riflesso della società: anche sul fronte imprenditoriale in questi giorni non è che veda spettacoli edificanti. Non immaginiamo la politica nel bene o nel male come una realtà estranea al contesto sociale. Certamente però correttivi devono essere introdotti: penso che le primarie siano uno strumento interessante, e anche i requisiti per accedere alle primarie. Ma il lavoro da fare prima di tutto, enorme, è culturale prima ancora che politico.

Emma Bonino ha raccontato che anche durante la sua campagna elettorale non vide trasparenza nel Pd, soprattutto in uomini vicini a D’Alema, che ha respinto ogni accusa. Ci sono delle responsabilità nella situazione del consiglio regionale del Lazio anche per l’opposizione? Quali?
La vicenda del Lazio irrita tutti noi per la distanza dai problemi quotidiani dei cittadini. Riguarda tutti e non è territoriale. Ripeto, riguarda tutte le regioni, dalle isole alle Alpi. Ma l’ultima cosa che mi sento di fare, proprio per questo, è una chiamata di correità politica per autoassolvere le difficoltà del nostro schieramento. Con tutte le difficoltà della politica, non mi accontento di dire che è un fenomeno diffuso o sminuire quello che è successo. È successo qualcosa di molto, troppo grave. La prima cosa da fare se si è responsabili è risolvere i problemi di casa propria. A livello di regole e di azioni politica, bisogna capire come rendere meno disgustosa la politica. E lo si può fare.

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1 commento

  1. Nell’ultimo periodo del governo Berlusconi, quando, dentro ad una situazione che diventava sempre più difficile sia per il quadro internazionale che per incapacità nell’ attuare provvedimenti che si rendevano sempre più urgenti, ed anche per una conflittualità esasperata delle forze politiche, avevo ipotizzato la necessità di un governo di decantazione per riportare il confronto politico non sulla contrapposizione sterile, ma individuare scelte e politiche per il bene comune e per un risanamento della nostra finanza. Questo, grazie a Dio, si è attuato con il governo Monti.
    Avevo ipotizzato anche un ripensamento del perché impegnarsi in politica, che è “altra cosa” da quanto vediamo emergere in varie giunte specialmente regionali. E mi chiedevo se non fosse diventato NECESSARIO, come afferma nell’intervista l’on. Mantovano, uno scioglimento del Pdl e RIFONDARLO con nuovi volti, capaci, intelligenti, che sappiano cosa significa impegnarsi in politica.
    Questa rifondazione di un centro politico che attinga alla migliore tradizione della politica italiana è estremamente urgente.
    Non concordo con l’on. Mantovano della necessità di avvalersi ancora di Berlusconi.
    Se oggi l’Italia, dopo anni di governo Berlusconi, è immersa in una crisi che non sarà breve, molte delle responsabilità debbano essere addebitate a lui e a chi maggiormente gli è stato vicino.
    I sondaggi dicono che circa il 50% degli elettori è indecisa, o voterà scheda bianca o non andrà a votare. Perché non riflettere su questo dato? Perché non chiedersi le ragioni? Come si pensa di recuperarli?
    Io stesso che ho sempre votato per un centro moderato non voterò certamente per un partito al cui vertice c’è un “Capo” come ho sentito varie volte esprimersi alcuni pidiellini.
    Non abbiamo bisogno di capi ma di persone autorevoli.

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