Si è appena conclusa la conferenza stampa in Senato in cui l’americana Elisa Anna Gomez, caduta nell’inganno della maternità surrogata, ha raccontato la sua esperienza per descrivere l’aberrazione della pratica dell’utero in affitto. Oggi al Senato è cominciato anche l’iter parlamentare del ddl Cirinnà (unioni civili) e il direttore di Pro Vita, Toni Brandi, promotore, insieme al senatore Lucio Malan, dell’incontro spiega a tempi.it che «la maternità surrogata non è esplicitamente menzionata nel disegno di legge, che però contiene la stepchild adoption, mediante la quale una persona con tendenze omosessuali potrebbe adottare il figlio ottenuto dal partner tramite la pratica dell’utero in affitto all’estero».
In questa intervista a tempi.it, Gomez racconta la sua vicenda: «Ero disperata e pensai di risolvere i miei problemi economici in questa maniera. In realtà persi la mia bambina, ho pagato molti soldi e ora sono perseguitata dalla mia scelta mentre combatto per rivedere mia figlia e contro questa pratica terribile».
Gomez, che cosa l’ha convinta a partorire una bambina per poi rinunciare a lei?
Nel 2006 avevo gravi problemi di lavoro e grandi difficoltà finanziarie. Faticavo a mantenere i miei due figli, la mia famiglia. Come madre single, sono ed ero l’unica persona in casa che poteva garantire loro una stabilità finanziaria. Disperata per il sostentamento della mia famiglia, e decisa a passare più tempo in casa con i miei figli, feci la scelta che mi avrebbe perseguitato per i nove anni successivi causandomi il disturbo post traumatico da stress (Ptds): scelsi di diventare una madre surrogata.
Può descrivere il processo che l’ha portata a rimanere incinta?
Mi offrii come madre surrogata in un forum su internet. Non c’era alcun consulente o avvocato a rappresentarmi perché non potevo permettermelo. Incontrai diverse coppie e ne scelsi una composta da due uomini. Parevano fantastici all’inizio e decidemmo che avremmo utilizzato sia i miei ovuli sia il mio utero. Presi la decisione sulla base di un accordo orale per cui sarei sempre rimasta la madre del bambino. La gravidanza fu priva di problemi. La situazione, però, mutò drasticamente quando partorii: in ospedale i due uomini non mi lasciarono sola un secondo, nemmeno quando glielo domandai. Come risultato non riuscii a dormire. Non riuscivo a ragionare con lucidità, perché rimasi sveglia per 48 ore di fila. Da subito mi ero sentita legata alla bambina: era mia figlia. Sapevo che non avrei potuto lasciarla andare, ma ero esausta e confusa. Nei giorni successivi le cose peggiorarono, la mia mente era sempre più offuscata. Non feci la doccia per giorni e mi sentivo come se mia figlia fosse morta, mi sentivo il fantasma di me stessa. I due uomini, improvvisamente, presero la bimba, interruppero ogni comunicazione e lasciarono lo Stato senza darmi alcuna spiegazione.
Non aveva meditato, prima, sulla gravità della sua scelta?
Non avevo pensato a come mi sarei sentita ad avere una figlia strappata via dalle braccia, non avevo pensato a cosa avrebbe significato per la mia figlia maggiore e, sopratutto, cosa avrebbe significato per la mia piccola neonata. Per quei due uomini ero un utero, nulla di più. Desideravo mia figlia con uno struggimento che posso solo descrivere come un fuoco nelle mie ossa e una ferita inflitta in ogni fibra dei mie muscoli.
Quanto la pagò la coppia?
La coppia mi pagò ottomila dollari, a condizione che fossi rimasta nella vita della piccola e per sempre sua madre. Ma fui manipolata, come accade a centinaia di madri surrogate in tutto il mondo. E oggi sono io che pago per il sostentamento della bimba.
Dopo che lei denunciò i due uomini, che l’avevano lasciata senza alcuna spiegazione, cosa accadde?
La battaglia legale cominciò nel 2007 e continua tutt’ora. Il primo giudice mi concesse quattro ore di visita al mese per pochi mesi, ordinandomi persino di pagare per il sostentamento della bambina, ma chiarendo che ero il “donatore genetico” e non la madre. Il perito legale mentì più volte nella sua valutazione. Testimoniò che mio padre era un immigrato illegale, mentre invece era nato in Minnesota. Disse che il mio patrigno e mia madre erano stati sposati solo un anno, motivo per cui avevo subìto un trauma da abbandono. Ma anche questa era una menzogna: furono sposati 18 anni. Dichiarò poi che mia figlia era scappata in Messico, invece i miei figli erano partiti solo per partecipare a un matrimonio per poi tornare a casa. Mentì giurando il falso per diciotto volte. Il giudice e il perito legale si erano accordati per punirmi, dal momento che facevano parte della comunità Lgbt a cui io non appartengo. Questo stesso giudice mi mandò da otto psicologi, che tutti, uno a uno, dichiararono che non avevo disturbi. A quel punto il giudice dichiarò che gli psicologi erano disturbati. Il giudice poi emise un obbligo di non pubblicazione degli atti processuali, così non potemmo provare quello che stava facendo e ora è stato sospeso per non essersi attenuto in molti altri casi all’etica professionale. Eppure non fu mai giudicato responsabile per quello che fece a me e a mia figlia. E tutt’ora resta il divieto di pubblicazione degli atti. Feci ricorso in appello e il nuovo giudice ribaltò la decisione precedente, ma lasciando mia figlia alla coppia: ordinò a me e ai due uomini di conciliarci di fronte a un consulente di coppia, uno psicologo che testimoniò la loro ostilità nei miei confronti. Infatti, durante il colloquio, loro si erano allontanati, mentre io ero ben disposta e cooperativa. Nonostante ciò la coppia riuscì a tenere la mia bambina, con il risultato che non la vedo da quando aveva due anni e mezzo. Ho speso circa seicento dollari al mese per il suo sostentamento e in tutto ne ho pagati 22 mila. L’ultima volta che sono andata in tribunale, nel 2014, il nuovo giudice ha sostenuto di aver perso le prove della mia testimonianza. Dopo l’udienza il cancelliere del tribunale ha affermato diversamente. Infine, mentre i due uomini dichiarano senza prove la mia ostilità, io ho la prova della loro: dozzine di email di minacce, molestie e parole d’insulto e di blaterazioni da ubriachi contro di me e gli altri miei due figli. Ho rapporti di polizia che attestano i casi in cui erano troppo ubriachi per prendersi cura della bambina.
Come pensa sia cresciuta e come crescerà sua figlia con due uomini?
Lei vuole sua madre. Le chiamate che feci ai due uomini i giorni successivi alla sua nascita mi traumatizzano ancora. La sentivo piangere in sottofondo. Infatti, mi dissero che l’avevano lasciata nel sedile della macchina perché era l’unico posto in cui stava tranquilla. L’ultima volta che mi aveva visto era seduta proprio su quel sedile. Voleva tornare a casa.
Dopo quello che ha sperimentato, cosa pensa della maternità surrogata?
Un bambino ha dei diritti umani e questi diritti non possono essere negati ancora prima che nasca. Ogni bambino è un essere umano e non un prodotto da vendere e comprare come fosse un iPhone o una macchina.
Qual è la sua più grande preoccupazione oggi?
Il legame madre-figlio è così profondo e così radicato nella natura che approvare una legge che metta in pericolo quel legame prima della nascita è, in ogni caso, sbagliato. L’utero in affitto è un errore enorme. È immorale. Non tutela la donna né il bambino. Il desiderio di una persona o di una coppia di avere figli non dovrebbe essere anteposto al diritto di un bambino o al diritto della madre. Sono anche preoccupata per le centinaia di madri nel mondo che soffrono la mia sorte. Motivo per cui ho accettato senza esitazioni l’invito di ProVita a parlare al Senato per cercare il supporto degli italiani affinché la pratica della maternità surrogata sia fermata immediatamente.
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