Desidero fare alcune precisazioni in merito ai contenuti dell’articolo intitolato “Eutanasia, o della medicina a immagine e somiglianza di Repubblica”, a firma della Dottoressa Giojelli, dedicato al commento di un intervento del Dott. Francesco Merlo comparso sulla rubrica di corrispondenza con i lettori da egli curata su La Repubblica. Le considerazioni proposte dal Dott. Merlo erano state stimolate da una lettera che gli avevo inviato, nella quale stigmatizzavo l’esistenza di una Associazione Medici Cattolici Italiana e – nel farlo – coglievo l’occasione per manifestare anche alcune mie opinioni in merito al discorso «legalizzazione dell’eutanasia».
Il Dott. Merlo sa difendersi bene da sé anche senza il mio intervento di avvocato difensore, per cui non entro nel merito delle critiche che gli sono state direttamente mosse, la cui confutazione sarebbe peraltro alla portata di un bimbo delle elementari. Così come – nella presente occasione – mi guarderò bene dall’entrare dettagliatamente nel merito del dibattito sull’eutanasia, ben sapendo a priori che non potrei trovare orecchie disposte ad ascoltare.
Mi sia solo consentito, al riguardo, di rilevare come la citazione del “grande Lucien Israel” (riportata nei termini seguenti nell’intestazione di uno dei paragrafi in cui è suddiviso l’articolo della Dottoressa Giojelli: “Un medico non ammazza un suo simile”) rappresenti un distillato di ciò che nel giornalismo, a mio modesto avviso, si dovrebbe evitare accuratamente. Mi riferisco all’attitudine a ricorrere agli “effetti speciali” per far leva sulle emozioni dei lettori, suscitandole – come nel caso in oggetto – del tutto a sproposito. Se si dovesse cogliere una vena di irritazione e di indignazione nel mio modo di porgere, ebbene si sarebbe semplicemente nel giusto. Come può un medico (laurea conseguita nel 1977, quando la Dottoressa Giojelli ci guardava ancora tutti quanti dall’alto di una nuvoletta…) che ha esercitato la propria professione con sacrificio, impegno e dedizione per 45 anni, non indignarsi quando – attraverso maldestri quanto puerili artifici dialettici – si fa scivolare il sospetto che egli sia, in quanto favorevole all’introduzione di una normativa che regoli in maniera severa le volontà di fine vita, moralmente complice di chi “uccide un suo simile”?
Se non si trattasse di parlare a chi, con tutta probabilità, non vuol sentire, spiegherei che qui nessuno, ma proprio nessuno, vuol vedere in azione assassini di sorta. Sarebbe ora di finirla, una volta per tutte, con la storiella che coloro che si adoperano perché siano risparmiate sofferenze inenarrabili ad alcuni (per fortuna pochi!) pazienti, la cui sorte è irrimediabilmente segnata, siano dei “seminatori di morte”. D’altronde, così come la legalizzazione dell’aborto non ebbe per effetto l’improvviso formarsi di interminabili code di donne che premevano alle porte delle cliniche ostetriche, “bramose” (?) di abortire, così, nel caso che l’eutanasia venisse un domani severamente regolamentata, non si vedrebbero certo interminabili code di moribondi sgomitanti col vicino di fila per… andare a morire prima di lui.
Chi della legalizzazione dell’eutanasia volesse fornire all’immaginario collettivo (collettività che, sono spiacente per voi, proprio così sciocca poi non è) un tale scenario, non agirebbe in maniera intellettualmente onesta. Se fosse ancora vivo, queste cose ve le farei spiegare bene dal “grande oncologo Umberto Veronesi” (come vedete, ognuno ha i suoi “grandi” di riferimento), che non credo sia stato poi così meno illustre del suo collega francese. Quindi, per dirla alla maniera del fu Presidente Scalfaro, che presumo a voi tanto caro, “non ci sto”, miei cari signori. Non ci sto ad essere dipinto come un “seminatore di morte” (o quanto meno, come si diceva, come un suo complice morale). Purtroppo la questione (che fa della medesima uno scoglio insormontabile) è che per voi cattolici la vita è sacra in quanto dono di Dio, e perciò stesso è un bene indisponibile, anche quando si trovi ad essere ridotta a condizione di sofferenza immane e senza speranza (sì, cara Dottoressa Giojelli, ho detto proprio “senza speranza”, e lei – se per un attimo riesce a sottrarsi a quel genere di polemica che è fine solo a se stessa – sono convinto che, sotto sotto, possa convenire circa il fatto che in certi casi non c’è nulla, ma proprio nulla da fare, e non è questione qui di essere dei pessimisti leopardiani.…). Questa è la vera questione. La vostra posizione io la rispetto, ci mancherebbe altro. Ma che, in nome della vostra convinzione etica, debba essere imposto a chi non crede di soffrire in maniera atroce e vana magari per anni, prima di uscire di scena, questa è per me cattiveria pura e incomprensibile. Visto che ci chiamate assassini (almeno potenziali) potrò almeno darvi dei “cattivelli”? O no?
Cambiando discorso, nella mia lettera a Merlo mi lamentavo dell’esistenza di una Associazione Medici Cattolici Italiani. Me ne lamento anche in questa sede. Cosa mai vorrò ottenere? Forse la sua soppressione? Ma no di certo. Il peccato ormai è stato a suo tempo compiuto, come quello della mela, e ce ne terremo le nefaste conseguenze. Ma avrò almeno il diritto di essere critico circa i presupposti che videro nascere quella Associazione? Mi accordate, liberalmente, questo diritto? Beh, allora, se siete così magnanimi, vi dico che la stessa nascita, in sé e per sé, di una Associazione che raggruppi i medici cattolici ha rappresentato a suo tempo, a mio modesto avviso, una grave anomalia. Anzi gravissima. Perché, in quello stesso istante, si è sancita di fatto una differenza tra chi è medico cattolico e chi non lo è. E dal momento che la Medicina è un ambito ben particolare, nel quale sono spesso tirati in ballo temi etici di grande rilevanza, una Associazione che propone, come primo tra i suoi scopi, la “formazione morale del medico” (come si legge sul sito web dell’AMCI), implicitamente giudica, e quindi discrimina, i medici non cattolici, quali possessori di una formazione etica ritenuta non adeguata. E questa, ripeto, per me è cosa gravissima. Così come cosa gravissima sarebbe il fatto che io, paziente bisognoso di cure (ahimè, oggi come oggi, lo sono davvero…), ricevessi in ospedale delle differenti modalità di trattamento a seconda delle diverse credenze religiose dei medici che mi avessero in carico. Non avrei granché da obiettare circa l’eventuale esistenza di una Associazione Italiana Ingegneri Cattolici. L’AMCI, al contrario, mi suscita una grande inquietudine.
In conclusione, mi sia consentito di ribadire il mio più vivo disappunto per il modo strumentale con il quale sono stati affrontati, con uno spirito che sarebbe eufemistico definire fazioso, campanilistico e di parte, argomenti delicati come quelli che ruotano attorno alle volontà di fine vita. Il solito ritornello relativo al definire tout court “assassini” quei colleghi cui l’unica cosa che sta a cuore è, caritatevolmente, risparmiare a determinati pazienti una sofferenza senza speranza, mi ha addirittura indignato.
Ciò non mi impedisce di inviarvi un cordiale saluto, nella speranza (con tutta probabilità ingenua da parte mia) di avere stimolato una piccola riflessione, pur nell’ambito di intime convinzioni che – per ciascuna delle parti in causa – resteranno tuttavia, prevedibilmente, invariate nella sostanza. Ed è anche bene che lo restino, se sono convinzioni serie.
Guido Corallo
Come vede, anche se siamo “cattivelli”, abbiamo pubblicato tutta la sua noiosa, inutile, stucchevole, pedante e boriosa spataffiata pro eutanasia, così che anche i lettori si rendano conto da soli della pochezza dei suoi ragionamenti. Perché le dà tanto fastidio l’affermazione dell’agnostico Lucien Israel? Non ripropone forse con altre parole ciò che è contenuto nel giuramento di Ippocrate (il medico non compirà mai «atti finalizzati a provocare la morte»)?
Il fatto poi che lei se la prenda tanto coi medici cattolici e sposti il discorso su un piano di convinzioni religiose, non fa altro che confermare il fatto che l’articolo di Caterina Giojelli cogliesse perfettamente nel segno. Poiché quelli come lei non hanno argomenti razionali da opporre ai nostri su accanimento terapeutico e cure palliative, su eutanasia e suicidio assistito, su ciò che accade in Olanda e Svizzera, ci riproponete ogni volta la solita logora frigna sui diritti, la sofferenza dei pazienti, la “libertà” di scelta e quanto vi sentiate turbati e offesi dall’obiezione di coscienza altrui. Ma quand’è che la smetterete di fare le vittime? Fate gli intolleranti e pretendete pure la medaglia? Maddai, basta, avete rotto.
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