Good Bye, Lenin!
L’ultimo rosario di don Jerzy Popieluszko. «Per il frumento della verità bisogna talvolta pagare»
Quel tardo pomeriggio del 19 ottobre 1984, don Jerzy Popieluszko guidò la recita del rosario nella chiesa di Bydgoszcz. L’avevano invitato per il secondo incontro di preghiera per il mondo del lavoro, don Jerzy aveva accolto l’invito nonostante la febbre e si era fatto accompagnare in auto da Varsavia dal fedele Waldemar Chrostowski.
Era un venerdì, e c’era il rosario dedicato ai Misteri dolorosi, che richiamano al periodo quaresimale che stiamo vivendo.
Come percependo che sarebbe andato incontro alla morte, il «prete di Solidarnosc» cercò di riassumere in poche battute il percorso di fede e ragione che più gli stava a cuore. Fu presentato e accolto dall’applauso dei fedeli, ed esordì con la sua voce ferma e cantilenata, più tesa del solito, citando le parole del Papa rivolte a Maria: «Ti ringrazio per tutti coloro che non si lasciano vincere dal male, ma vincono il male con il bene»; continuò sottolineando la necessità di «vivere la vita con dignità, perché la vita è una sola», perciò moltiplicare il bene e vincere il male significa prendersi cura della propria dignità di uomini, uniche creature «che superano tutto ciò che può esistere al mondo, ad eccezione di Dio». E in nome di questa sua grandezza, all’uomo è data l’eredità della libertà, prima caratteristica dell’umanità.
Il secondo Mistero diede spunto a don Jerzy per parlare di giustizia e verità: «Chi si lascia guidare dall’odio e dalla violenza non può parlare di giustizia… È difficile parlare di giustizia là dove non c’è posto per Dio e per i suoi comandamenti, dove la parola Dio è eliminata d’ufficio dalla vita della nazione». Nell’uomo «è naturale l’aspirazione alla verità così come l’avversione alla menzogna», e quando aggiunse che la verità «raccoglie sempre nell’unità le persone» aveva sicuramente negli occhi gli amici del sindacato libero Solidarnosc. Proseguì – introducendo gli altri Misteri – con parole che sembrano scritte per l’oggi: «Dobbiamo imparare a distinguere la menzogna dalla verità, e non è facile nei tempi in cui viviamo. Non è facile quando al cattolico non soltanto si vieta di controbattere l’opinione degli avversari, ma addirittura gli si vieta di difendere le proprie convinzioni o quelle comuni al genere umano. Di fronte alle aggressioni (…) gli è vietato replicare alle menzogne che altri hanno la piena libertà di proclamare e diffondere impunemente. (…) Se il potere governa cittadini intimoriti riduce la propria autorità e impoverisce la vita nazionale, culturale e i valori della vita professionale».
Tuttavia l’intento di don Jerzy non era la mera recriminazione, comunque pericolosa sotto il regime comunista, bensì quello di invitare a «pregare affinché la vita quotidiana sia pervasa dalla verità», un programma comune a tutto il «dissenso» e da lui riletto attraverso l’appartenenza alla Chiesa. Uno stile di vita apparentemente semplice, ma per il quale occorre la disponibilità al sacrificio poiché «per il frumento della verità bisogna talvolta pagare», dato che «soltanto la pula non costa niente». Le sue ultime parole quella sera, a commento della Crocifissione, furono dedicate direttamente al mondo del lavoro e a Solidarnosc: il sindacato aveva saputo lottare per la dignità umana con il coraggio degli umili e senza usare la violenza «segno di inferiorità morale», aveva saputo combattere «le più splendide e durature battaglie che l’umanità conosca, quelle del pensiero umano», e così facendo aveva «dimostrato che per la ricostruzione socio-economica non è per niente necessario rompere i legami con Dio».
Cosa accadde dopo quell’ultimo rosario, sulla via del ritorno a Varsavia, è noto al grande pubblico grazie anche al recente film di Wieczynski. Già nel mirino delle autorità, una settimana prima don Jerzy era scampato a un primo attentato: l’auto su cui viaggiava era stata colpita da un sasso scagliato per provocare un incidente. Quel 18 ottobre invece, la sua Golf fu bloccata mentre rientrava a Varsavia, lui fu sequestrato, massacrato e gettato nella Vistola da tre ufficiali di un reparto speciale del Ministero degli interni.
In mezzo a tanta confusione, anche le parole di questo beato ci riconducono all’essenziale.
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