La preghiera del mattino

Lo sbandamento di Macron: riformerà le pensioni saltando il parlamento

Emmanuel Macron
Il presidente francese Emmanuel Macron (foto Ansa)

Su Affaritaliani si scrive: «“Assumo la responsabilità del mio governo”: con queste parole la premier francese Elisabeth Borne si è rivolta ai deputati dell’Assemblea nazionale annunciando il ricorso all’articolo 49 comma 3 della Costituzione. Altissima la tensione in aula al momento dell’annuncio. Il presidente Emmanuel Macron ha giustificato con “rischi finanziari troppo grandi” che un rifiuto avrebbe comportato, il ricorso all’articolo 49.3 della Costituzione per far passare la riforma delle pensioni senza voto all’Assemblea nazionale. “Il mio interesse politico e la mia volontà politica era andare al voto. Tra tutti voi, non sono io quello che rischia il suo posto o la sua poltrona”, ha detto durante un Consiglio dei ministri straordinario, secondo quanto riferito ai media francesi da un partecipante. “Ma ritengo che allo stato attuale i rischi finanziari ed economici siano troppo grandi”, ha aggiunto il titolare dell’Eliseo».

È impressionante lo sbandamento della politica francese. È quasi incredibile l’idea di fare una riforma delle pensioni contro la volontà di una grande parte della società senza neanche un voto parlamentare che l’approvi. È notevole infine la miseria delle parole di Macron su chi «rischia il suo posto o la sua poltrona».

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Su Dagospia si scrive: «La decisione di Christine Lagarde di procedere con il rialzo dei tassi di interesse, nonostante i timori di un effettto domino dopo il fallimento di Silicon Valley Bank e il rischio crac per la svizzera Credit Suisse, dimostra la grande influenza esercitata dagli ambienti finanziari tedeschi, fautori della linea dura in ambito monetario, sulla presidente della Banca centrale europea. Quel che però l’ex cocca di Sarkozy fatica a comprendere, nonostante gli avvertimenti di Visco, Panetta e Crosetto, è che c’è una bella differenza tra la spirale inflattiva americana e quella che sta attanagliando l’Europa».

L’Europa di Angela Merkel e di Emmanuel Macron, l’idea di mandare in soffitta la politica democratica o grazie la via tecnocratica macroniana o grazie a quella bottegaio-consociativa merkelliana, è arrivata al capolinea e i suoi seguaci tipo Christine Lagarde sentono tutti gli effetti della fine di questa epoca.

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Su Formiche Raffaele Bonanni scrive: «In questo senso le affermazioni del presidente Meloni sulla ulteriore compromissione della situazione, sono sostanzialmente fondate. Ed infatti intervenire fiscalmente, alleggerendo il peso fiscale sulle buste paga dei lavoratori italiani, il più alto d’Europa, questo sì che farebbe la differenza. Ma lo farebbe ancor di più rompere il tabù di certa sinistra che influenza ancora le relazioni industriali, che insiste nell’osteggiare il proposito di incentivare fiscalmente la produttività di salario e partecipazione agli utili. Sono convinto da decenni che i bassi salari sono la conseguenza della incuria dei fattori dello sviluppo che provoca scarsa competitività, e parti sociali che non disegnano un quadro contrattuale orientato alla produttività. Quando Meloni dice che occorre altro, dopo che ha portato al 5 per cento il carico fiscale per 3 mila euro in un anno di salario di produttività, dice il giusto, ma ora deve spingersi oltre per innalzare la somma annuale e totalmente esentasse. Dia così una indicazione concreta ai lavoratori per un cambiamento contrattuale e culturale. Di garanzie di minimi salariali invece avrebbero bisogno i più precari di tutti: quelli che non dispongono di alcuna copertura contrattuale, alcuni parasubordinati e le partite Iva impegnate a svolgere lavori a basso e medio contenuto professionale. Sono coloro che pur lavorando alle dipendenze di una azienda, non sono dipendenti. Va sottolineato che queste figure esistono solo da noi, sconosciute in ogni paese industrializzato».

Il vecchio saggio Bonanni spiega a una Cgil allo sbando che cosa significa fare seriamente “sindacato”.

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Sul Sussidiario Antonio Fanna scrive: «La riforma del fisco, il ponte sullo Stretto di Messina, l’autonomia differenziata, la ristrutturazione del ministero dell’Economia. Quattro temi che sono altrettanti pezzi da novanta per il governo Meloni, inseriti tutti nello stesso disegno di legge approvato ieri dal Consiglio dei ministri. È la risposta del governo alle polemiche delle ultime settimane e all’offensiva della nuova segretaria del Pd».

Pur con tutti i suoi evidenti limiti e con tante spiacevoli sbavature, il governo Meloni dimostra non solo una straordinaria capacità d’iniziativa in politica estera, ma anche di poter definire un vero programma di legislatura. Difficilmente Elly Schlein riuscirà a fare un’opposizione convincente se punterà tutto, come sta facendo, sulla “frase”, invece che sul “pensiero”.

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1 commento

  1. GERARDO BALLABIO

    In realtà la mossa del governo francese non è nulla di così impressionante o incredibile. Invocare l’articolo 49.3 in Francia equivale a porre la fiducia in Italia. Tecnicamente sono procedure diverse, ma nella sostanza il risultato è identico: il parlamento deve scegliere se far passare la legge o far cadere il governo. La differenza è che in Francia è ancora considerata una misura eccezionale, mentre da noi è diventata quasi routine (Draghi l’ha usata 55 volte in un anno e mezzo).

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