Lo Bello: «Quei progetti chiusi nei cassetti che stanno dietro la crisi della Sicilia»

Di Chiara Rizzo
23 Ottobre 2012
In Sicilia 49 mila cassintegrati e 35 mila posti di lavoro in meno in un anno. Il vicepresidente di Confindustria: «Progetti che potevano rilanciarci sono stati dimenticati anche se erano già stati finanziati»

Circa 35 mila posti di lavoro persi in un anno, altri 49 mila lavoratori in cassa integrazione, e 600 aziende fallite dal 2011. Sono i dati allarmanti lanciati dai sindacati siciliani, che segnalano anche come i 50 milioni di euro per le Cig appena sbloccati, bastano giusto a coprire la metà del bisogno. E figurarsi cosa servirebbe per rimettere in moto l’economia: «La situazione è molto grave» conferma a tempi.it Ivan Lo Bello, vicepresidente di Confindustria (e già presidente dell’associazione siciliana), che già da luglio segnala che la Sicilia è a rischio default come la Grecia.

A Termini Imerese da un anno non si trova una soluzione per i 1300 dipendenti Fiat. A Priolo è appena saltato l’accordo per un rigassificatore che avrebbe portato migliaia di posti di lavoro. Intanto l’Etna Valley è in stand by, con i lavoratori della componentistica in cassintegrazione sino a dicembre e poi chissà. Conferma l’allarme dei sindacati?
Sì è una situazione molto grave. Termini vive una vicenda molto complicata perché le ipotesi di aziende che rilevassero lo stabilimento (la trattativa con la DR Motor’s concordata dal Governo dallo scorso dicembre si è arenata, ndr.) si sono rivelate tutte inadeguate. In questo gioca la crisi del settore auto, e oggi pensare di costruire ancora auto a Termini è un’utopia. Nell’Etna valley è vero che c’è la cassa integrazione, ma il settore è ciclico e speriamo che si riprenda. Poi c’è il caso Priolo: la mancata realizzazione del progetto di un rigassificatore a Siracusa ha dato un grosso colpo al settore meccanico. A queste situazioni, si aggiungono la crisi di WindJet o quella nel settore alimentare di una grossa azienda come Aligroup. E poi le decine di microimprese che chiudono costantemente.

Quali sono le cause?
Due fattori. Una è la congiuntura internazionale. La seconda è che l’attività imprenditoriale siciliana è stata paralizzata. In alcuni casi, ciò è accaduto per precise scelte politiche. Il progetto del rigassificatore di Priolo ne è un esempio eclatante. Dopo un iter di 6 anni, non è stato firmato dal governatore uscente Raffaele Lombardo. Ora il fascicolo è lì, chiuso in un cassetto della Regione: un nuovo governo potrebbe riaprirlo, ma l’orientamento sembra quello di abbandonare un progetto che darebbe lavoro a tremila addetti e vale circa 900 milioni di euro.

E perché?
Il motivo per cui non è stato realizzato sinora è stato un solo un rinvio nel tempo, senza alcuna spiegazione. In questo momento si può solo prendere atto che l’assessore competente aveva dato un parere positivo. Poi il nulla. E ciò malgrado si fossero coinvolti nel progetto gruppi come Erg e poi Shell. Ho sempre chiesto, in questi anni, che il governo dicesse almeno un “no” secco, invece c’è stato solo una silenziosa messa in stand by. Dopo tutto questo tempo, non so cosa immaginare su un eventuale interesse di Shell e delle altre grandi compagnie. È stata penalizzata così l’area siracusana. Oggi la speranza per quella zona sono gli investimenti nel campo chimico da parte del gruppo Eni.

E a Termini? Quale potrebbe essere la pista alternativa al settore auto?
Io comprendo i lavoratori del sindacato che vorrebbero la riapertura della fabbrica com’era. C’è una forte tradizione, hanno competenza. Ma si deve prendere atto che il mercato in Italia ha subito il crollo del 40 per cento. Pensare di reindustrializzare l’area Termini unicamente nel settore auto è un modo solo di rimanere a casa. Bisogna mettere in campo un po’ di flessibilità: ci sono altri settori in cui si potrebbe riconvertire.

Conosce ipotesi alternative concrete?
Dico che non sono state esplorate altre possibilità sinora. Ma bisogna pensare anche ad altro, pensando alle competenze di questi lavoratori, che sono un capitale umano importante. Delle alternative in ballo tra poco se ne parlerà nelle sedi opportune, non posso dire altro.

Quanto pesano su questa crisi siciliana l’assenza di banche che investano nell’imprenditoria e l’assenza di infrastrutture?
Oggi faticano le banche internazionali, figuriamoci quelle regionali. Il settore bancario è uno dei problemi e la carenza di infrastrutture ha un ruolo importante. E qui la responsabilità è anzitutto politica, perché non sono stati spesi i fondi europei. La spesa comunitaria è al 12 per cento in Sicilia: immaginiamo quante risorse abbiamo sprecato.

Senta, se lei fosse il prossimo presidente a cosa metterebbe subito mano per rilanciare l’economia?
La prima cosa che andrebbe fatta è sbloccare tutti gli investimenti “sospesi” da anni, già approvati ma chiusi in un cassetto. Firmerei cinque o sei autorizzazioni: il rigassificatore a Priolo, ma anche il completamente dell’autostrada Siracusa-Gela (che permetterebbe collegamenti più immediati con la sede delle principali raffinerie di greggio), con un effetto importante dal punto di vista economico; accelererei la cantierarizzazione dell’autostrada Ragusa-Catania, già progettata. C’è anzitutto un problema di mobilità interna alla Sicilia, e serve velocizzare la linea ferroviaria Catania-Palermo per la quale ci sono i fondi comunitari pronti e la disponibilità di Trenitalia, anche se non si è andati mai oltre le intenzioni. Bisogna mostrare buona volontà anche solo nello sbloccare tutte queste pratiche chiuse nei cassetti: in quasi tutti questi casi i cantieri possono partire subito. Noi siciliani siamo ad una disoccupazione del 20 per cento e abbiamo 1 famiglia su 4 al di sotto della soglia della povertà. Non avviare delle opere, non mettere mano allo sviluppo, è un delitto verso i siciliani.

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