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Libertà di parola sempre più in pericolo nelle università americane

Nei campus degli Stati Uniti crescono i sistemi di denuncia anonima tra studenti per comportamenti giudicati discriminatori, una prassi in voga nei regimi. Ma ora associazioni e professori cominciano a preoccuparsi. L'ultimo caso a Stanford

Piero Vietti
27/02/2023 - 5:45
Cultura
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Stanford libertà di parola

Un mese fa uno studente di Stanford, in America, è stato denunciato in forma anonima attraverso il “Protected Identity Harm” dell’Università perché sorpreso a leggere il Mein Kampf di Adolf Hitler. È stato allora che diversi professori si sono accorti dell’esistenza – dicono loro – di questo portale, attivo dal 2021, che consente agli studenti di denunciare in modo anonimo i compagni di classe che secondo loro hanno comportamenti discriminatori o affetti da pregiudizi. Ora questo gruppo di docenti sta cercando di far chiudere questo sistema che secondo qualcuno «ricorda il maccartismo» e certe pratiche in vigore nei regimi totalitari.

Un sistema che minaccia la libertà di parola

La vicenda dello studente denunciato perché legge il Mein Kampf è stata raccontata dal giornale studentesco di Stanford, dando inizio a un acceso dibattito sulla libertà di parola nei campus – già messa a dura prova dall’ondata di politicamente corretto woke che da anni ha travolto l’accademia americana. I professori meno ideologizzati sono subito preoccupati per le conseguenze che uno strumento del genere potrebbe avere – e probabilmente già ha – sui rapporti tra gli studenti: abusi e timore a esprimere le proprie idee su tutti. Il Wall Street Journal riporta le dichiarazioni del portavoce dell’Università di Stanford, Dee Mostofi, il quale sostiene che il sistema sia progettato per aiutare gli studenti ad andare d’accordo tra loro, promuovendo «un clima di rispetto, aiutando a capire che gran parte dei discorsi sono tutelati, e offrendo allo stesso tempo risorse e supporto agli studenti che credono di aver subito danni sulla base di un’identità protetta».

Secondo l’organizzazione no profit conservatrice Speech First, circa metà dei campus universitari americani ha un sistema di segnalazione anonima dei pregiudizi, il doppio rispetto a cinque anni fa. In alcuni casi, però, gruppi di sostenitori del free speech hanno portato i college in tribunale costringendoli a cambiare i loro sistemi, sostenendo che impediscono lo scambio di idee. Questo tipo di piattaforme ha avuto il suo picco di gloria durante la pandemia, quando gli studenti erano invitati a denunciare chi non indossava la mascherina.

Le denunce anonime tramite modulo online

Il sistema “Protected Identity Harm” di Stanford (dove un mese fa è stato chiuso il portale che insegnava a studenti e docenti come parlare per non offendere gli altri) serve agli studenti per denunciare fatti, espressioni o comportamenti che possono fare sentire offesa la propria identità riguardo soprattutto la razza o l’orientamento sessuale. Con lo scopo dichiarato di «costruire e mantenere una comunità universitaria migliore, più sicura e più rispettosa» genera però un clima di sospetto, paura e delazione.

I vertici dell’università non c’entrano nulla – se non per il fatto che a forza di riempire la testa dei ragazzi di idee politicamente corrette si ottengono questi risultati – ma il sistema è riconosciuto come autorevole dagli studenti, i quali tramite un modulo online possono fare nome e cognome della persona che ha mostrato un pregiudizio negativo nei loro confronti: se gli amministratori dell’ufficio studenti riterranno la richiesta fondata contatteranno il denunciato chiedendogli spiegazioni.

Tecnicamente nessuno studente è obbligato a presentarsi, ma come fa notare al Wsj Juan Santiago, un professore di Ingegneria meccanica molto critico del sistema, «se sei una matricola di 18 anni e vieni contattato da un amministratore e ti viene detto che sei stato accusato di qualche trasgressione, cosa fai? Magari non sarà punitivo, ma certamente può essere molto stressante».

Le associazioni di difesa della libertà di parola

Christian Sanchez, vicepresidente esecutivo degli Associated Students of Stanford University, il gruppo di rappresentanza degli studenti, ha affermato che il sistema è necessario e importante. Lui stesso, che si definisce chicano, si è irritato in passato quando un altro studente lo ha chiamato “G”, abbreviazione di “gangster”. Ecco perché, secondo Sanchez, la piattaforma non deve essere chiusa: «Le persone devono essere consapevoli di quello che dicono e a chi lo dicono». Cosa c’è dunque di meglio di un sistema di delazione anonima per metterlo loro bene in testa? Altro dettaglio preoccupante, le denunce finiscono su una piattaforma gestita da una terza parte, una società di nome Maxient, che ha contratti con 1.300 scuole, per lo più college e università negli Stati Uniti.

Alcune organizzazioni di difesa della libertà di parola, tra cui il Goldwater Institute, la Foundation for Individual Rights and Expression e l’Alumni Free Speech Alliance, si sono schierate contro i sistemi di segnalazione dei pregiudizi. Con le sue denunce Speech First è riuscita a far cambiare o chiudere i sistemi delle Università del Texas, Università del Michigan e Università della Florida centrale.

Come in Unione Sovietica e Cina

Tre studenti contrari all’aborto e ai matrimoni gay e critici del movimento Black Lives Matter hanno fatto causa  all’Oklahoma State University perché non liberi di esprimere le proprie idee nel campus per paura di essere denunciati al sistema di controllo anti-pregiudizi della scuola per molestie nei confronti degli studenti non d’accordo con loro. Come ha osservato il professore della Stanford Business School Ivan Marinovic questa modalità ricorda molto da vicino il sistema di delazioni tra vicini di casa incoraggiate dai governi dell’Unione Sovietica, della Germania dell’Est e della Cina.

Foto di Ye Linn Wai su Unsplash

Tags: liberta di parolaPoliticamente CorrettorazzismouniversitàUSA
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