Liberia. A due mesi dalla fine di Ebola, si torna a mangiare «carne pericolosa»

Di Leone Grotti
25 Giugno 2015
L'ultima epidemia – 4.700 vittime nel paese – è iniziata dal contatto con un pipistrello infetto. La vendita di carne selvatica è ancora bandita ma «si vende dall'alba dei tempi, perché metterci in difficoltà?»
epa04448646 YEARENDER 2014 JULY A Liberian man holding a civet being sold on a roadside as bush meat in Lofa County, Liberia 03 July 2014. Bush meat is one of the major carriers of the Ebola virus. EPA/AHMED JALLANZO

In Liberia l’epidemia di Ebola si è conclusa, dopo oltre un anno, il 9 maggio 2015. Nei giorni successivi all’annuncio, nella capitale Monrovia si è festeggiato e si è pregato per le 4.700 persone uccise dal virus nel paese dall’aprile del 2014. La presidentessa Ellen Johnson Sirleaf, però, ha subito dichiarato che «il lavoro non è ancora finito». E aveva ragione.

CARNE SELVATICA. A quasi due mesi dalla liberazione dall’epidemia, che ha colpito anche Guinea e Sierra Leone per un totale di oltre 11 mila vittime, la carne degli animali selvatici della foresta è tornata sui banchi del mercato. Si pensa che il virus abbia contagiato i tre paesi africani dopo il contatto di un bambino con un pipistrello morto e infetto. Ora, agli angoli delle strade della Liberia, in tanti hanno ricominciato a vendere la carne di scimmie, antilopi, pipistrelli, procioni, roditori e tanti altri animali.

[pubblicita_articolo] «LA VENDO DA SEMPRE». Anche James Coleman, 35 anni, è tornato al suo vecchio lavoro: «Vendo questo tipo di carne al mercato dall’alba dei tempi», dichiara a Irin. «È quello che faccio per mantenere la mia famiglia e mandare i miei figli a scuola». Cacciare e vendere la carne di animali selvatici sono pratiche vietate in Liberia dal luglio 2014. Sono previste pene che comprendono anche il carcere. Durante l’epidemia, la paura di contrarre il virus ha fatto sì che il divieto venisse osservato nel paese. Ora però non è più così.

CONTROLLI SU OGNI AUTO. Musu Tomas vende la carne al mercato di Harbel, contea di Margibi, fin dagli anni Ottanta. Durante l’epidemia aveva smesso, ora ha ricominciato: «La polizia continua a prenderci di mira e a sequestrarci la carne. Dicono che il divieto è ancora valido. Ma Ebola non c’è più, quindi perché metterci in difficoltà in questo modo?». Gli ufficiali della sicurezza hanno l’ordine di controllare tutte le automobili: «Questa gente è testarda», dichiara un poliziotto a Irin, mantenendo l’anonimato. «Sequestriamo la carne, la bruciamo, ma continuano a portarla. Ecco perché controlliamo ogni auto».

POVERTÀ. Secondo gli esperti in Liberia, «il rischio di contrarre il virus dal contatto con questa carne è basso, in effetti, ma bisogna lo stesso fare attenzione». Anche perché l’ultima epidemia sarebbe scoppiata proprio così. Il problema è che molti abitanti sono troppo poveri per potersi permettere un altro tipo di carne. Korwu Guanue, 42 anni, la mangia da quando è nata: «Quando il governo ha dichiarato finita l’epidemia, ho festeggiato con i miei figli mangiando un panino pieno di carne selvatica. Non sono spaventata, i nostri genitori l’hanno sempre fatto senza mai prendere Ebola. Perché dovrebbe succedere ora? Io non posso farne a meno».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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4 commenti

  1. Sebastiano

    Diventare allevatori no?

    1. Menelik

      Guardate questo video.
      E’ il mattatoio di Port Harcour, in Nigeria.
      E’ molto istruttivo specialmente sotto i profili….sanitario e microbiologico.
      Prestate anche attenzione alla frase finale, al 21.20
      https://www.youtube.com/watch?v=ukSAfBulphU

      1. SUSANNA ROLLI

        …nella loro infinita miseria, ricordano Dio. Notare le vacche magre. E i rubinetti e maniglie d’oro son sempre là, là ci staranno sempre.

  2. SUSANNA ROLLI

    Hanno festeggiato con un panino, bene; forse con un lutto in famiglia lo avrebbero mangiato lo stesso..La fame dev’essere proprio brutta….I governatori -chissà perchè- invece son tutti belli rotondotti: ho saputo anche di maniglie e rubinetti d’oro, ma credo nei piu’ nei Paesi petroliferi.

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