Memoria popolare

Liberalismo e marxismo, due affluenti della stessa «società totalitaria»

Di A cura di Fondazione Europa Civiltà
15 Settembre 2023
Dopo Del Noce, tocca a Gianfranco Morra denunciare l’azione omologante prodotta dal «disegno socialtecnocratico» egemone nella scuola italiana. Correva l’anno 1976
Gianfranco Morra
Gianfranco Morra (foto da gianfrancomorra.it)

Oltre ad Augusto Del Noce, un altro prestigioso intellettuale cattolico tenne una relazione al II Convegno nazionale per insegnanti ed altri operatori della scuola promosso da Comunione e Liberazione e dal Movimento Popolare nell’agosto 1976. Si tratta di Gianfranco Morra, a quel tempo titolare della cattedra di Sociologia della conoscenza presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna. In quell’anno uscivano due testi particolarmente importanti dell’accademico forlivese (nato a Bologna): Marxismo e religione, edito da Rusconi, e La sociologia della conoscenza, edito da Città Nuova. Morra tenne la relazione conclusiva, che affrontava un tema particolarmente impegnativo: “L’impegno del cristiano per una educazione alternativa”.

Liberalismo, marxismo, imborghesimento del proletariato

Nonostante un diverso approccio alle questioni, il suo intervento appariva in sintonia con quanto aveva espresso in precedenza Del Noce, ma più centrato sull’attualità e caratterizzato da uno stile sfavillante tipico degli interventi pubblici di Morra. Nella prima parte descriveva il passaggio dalla società contadina alla società industriale in Italia, e ne analizzava le conseguenze sul piano ideologico. Diversamente da Del Noce, l’autore di Marxismo e religione non insisteva tanto sulla subalternità del marxismo gramsciano al nichilismo e all’egemonia borghese, quanto piuttosto sulla realtà di una confluenza fra marxismo e democrazia liberale che era implicito sin dall’inizio nell’idea illuministica di democrazia.

«Le istanze individualistico-borghesi, di cui la democrazia è stata la copertura ideologica», disse, «sono trapassate senza soluzione di continuità nella ideologia socialista e proletaria. L’imborghesimento del proletariato è la chiara riprova di questa continuità, sulla base del primato dell’economico, tra uomo borghese e uomo socialista, che non appaiono più come due generi diversi, ma come due specie interne allo stesso genere “homo faber” (primato del lavoro e della prassi, totale immanentismo e storicismo). In Italia in modo particolare, vi è stata una continuità tra scuola liberal-borghese a matrice illuministico-crociana e totalitarismo laicista a matrice radical-marxista. Se la tesi, cara alla tradizione cattolica, del neutralismo pedagogico come impossibile e antieducativo aveva bisogno di una prova, il passaggio dalla scuola liberale laicista alla scuola sociocratica di regime (o, se si vuole, da Croce-Gentile a Gramsci) la offre ad abundantiam».

La scuola come fabbrica di omologazione

La scuola borghese e marxista nello stesso tempo appare funzionale all’omologazione universale.

«La società industriale è, almeno nella tendenza, “a una dimensione”; è una società totalitaria, nella quale il pluralismo offre la libertà di ogni scelta possibile dei mezzi (tanti detersivi, automobili, rotocalchi, teologie, eccetera) purché non vengano messi in discussione i presupposti finali della società: efficienza, produzione, consumo (“uso razionale dell’irrazionale”). È il trionfo del pensiero strumentale (di matrice illuministica) sul pensiero essenziale (della tradizione popolare cristiana), in un disegno socialtecnocratico che pretende di fare a meno del soprannaturale e del morale, ridotti a semplici emozioni, stati d’animo soggettivi e scelte private. Liberalismo e marxismo confluiscono in una società scientifica, tecnologica e totalitaria: è naturale che oggi non sia più sentita, come un tempo, l’alternativa tra democrazia e marxismo, in quanto già nella democrazia, di matrice illuministica, era potenzialmente implicito quel totalitarismo, di cui il marxismo è la piena realizzazione».

L’eclissi della responsabilità morale

Morra coglie in anticipo come l’avvento del mondo ipertecnologizzato comporterà l’eclissi della responsabilità morale.

«Una delle caratteristiche della socialtecnocrazia amministrata è la vanificazione della morale. Sulla base di uno scientismo generalizzato, proprio sia dell’utopia tecnologica borghese, sia della svolta conservatrice della utopia rivoluzionaria con il conseguente passaggio dal materialismo storico al materialismo dialettico, l’uomo viene definito come il prodotto delle condizioni anatomo-fisiologico-genetico-psicologico-sociologiche in cui viene a trovarsi. Negata la libertà, l’azione morale viene sottratta alla volontà e alla responsabilità della persona, e dedotta da un’ingegneria sociale pianificata. Non più morale come sforzo e rinuncia, ma come espansione tecnologica della vitalità socialmente indirizzata (socializzazione precoce nella scuola, educazione sessuale come rito di iniziazione tecnologica, consultori come “direttori spirituali” tecnologici della vita familiare, educazione permanente come tecnologia della continua socializzazione produttivistica, eccetera). Il trionfo della tecnologia rende possibile la vanificazione della morale, non più ascetica, ma vitalistica».

La fine dei tabù e le sue conseguenze

Il vitalismo però – oggi parleremmo della liberazione dell’io desiderante – non mantiene le sue promesse.

«L’ideologia di questo vitalismo etico, cui compiacenti teologie morali della situazione attribuiscono un crisma clericale, è la tesi, di origine freudiana, ma svolta, ben oltre le accortezze realistiche di Freud, dalla psicanalisi di sinistra (Reich, Marcuse, Brown), della origine repressiva della immoralità. Violenza, aggressività e illecito deriverebbero da una reazione della istintualità alla repressione del Super-io. Da questa diagnosi deriva la terapia della “fine dei tabù”: lasciando libero l’istinto e usando strutture adeguate per la sua espressione, l’uomo trova la felicità e la moralità. Non v’è alcun bisogno di criticare dall’esterno questa tesi, decisamente fondata sulla negazione della verità antropologica del peccato originale e della naturale tendenza dell’uomo verso il male; essa si autocritica non appena si interroga sui risultati ottenuti, sul piano della morale sociale, dalle società industrial-permissive, che sono di aumento della criminalità a tutti i livelli».

Nella seconda parte del suo intervento Morra analizzerà poi la “scuola postcristiana” e i vari progetti educativi.

(1. continua)

[email protected]

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.