
L’era della post-famiglia, tra generazione ansiosa e ansia di generare

Quando e perché i ragazzi hanno smesso di stare nel “mondo reale” e hanno cominciato a vivere altrove, online? Qual è il destino della “generazione ansiosa” descritta di Jonathan Haidt? È possibile tornare presenza umana in una società sempre più dominata da algoritmi, tecnologie e mercificazione del corpo e della relazione? E soprattutto come si ricomincia a educare, a mettersi di traverso tra i ragazzi e l’algoritmo per non lasciarli ragazzi in balia della solitudine, della confusione tra il sé e il mercato?
A tutte queste domande hanno risposto Marina Terragni, giornalista, scrittrice, femminista della differenza, oggi garante per l’infanzia e l’adolescenza (e Premio Luigi Amicone 2025), e Claudio Risé, psicoanalista, saggista, voce libera e mai conformista, durante la serata inaugurale del festival di Tempi a Caorle “Chiamare le cose con il loro nome”.
L’incontro, partecipatissimo, di venerdì 13 giugno, intitolato “L’era della post-famiglia, tra generazione ansiosa e ansia di generare”, ha preso le mosse dal celebre saggio dello psicologo americano per affrontare il tema più dibattuto da esperti e giornali: da un lato la relazione tra iperconnessione e l’impennata, tra gli adolescenti, di ansia, depressione, malattie mentali, rifiuto delle relazioni; dall’altro la latitanza degli adulti, così iperprotettivi eppure incapaci di un rapporto genitoriale e di un’introduzione dei ragazzi all’avventura di vivere.
Ed è a questi ultimi che Terragni e Risé non fanno sconti, ricordandoci il prezzo di avere abdicato alla tecnocrazia il criterio con cui vivere l’umano e mettere su famiglia. Ma la realtà si sta dimostrando più forte e a dimostrarlo non sono solo i fallimenti delle derive del mercato procreativo ma i ragazzi stessi, capaci di inaspettati eppure enormemente significativi gesti di riscossa: «Nessuna generazione è perduta e già stanno emergendo gli anticorpi».
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