L’Egitto va a votare, i movimenti di piazza Tahrir si dividono. Video
Nonostante la dura repressione da parte dell’esercito dei manifestanti, che settimana scorsa si sono riversati in piazza Tahrir per chiedere che i militari lasciassero il potere in mano a un governo civile e che hanno promesso di boicottare elezioni che «non possono non essere pilotate», ieri gli egiziani hanno partecipato al primo voto dalla caduta del regime di Hosni Mubarak per nominare il Parlamento. Si è votato ieri e si continuerà anche oggi, il 14 dicembre e il 3 gennaio.
Migliaia di egiziani ed egiziane, divisi, si sono messi in fila davanti ai rispettivi seggi elettorali, situati soprattutto all’interno delle scuole. Molti di questi, che dovevano aprire alle otto di mattina, hanno lasciato votare la gente solo all’una di pomeriggio a causa dei ritardi con cui sono giunte le schede. La disorganizzazione ha fatto infuriare molti votanti, che hanno dovuto aspettare in fila anche cinque ora prima di poter esprimere la propria preferenza.
Come per il referendum del 19 marzo scorso, non ci sono stati particolari incidenti anche se si è verificata qualche irregolarità. I Fratelli Musulmani, che corrono con la lista Giustizia e libertà, hanno volantinato, come mostra il filmato, fuori dai seggi anche durante il silenzio elettorale, cominciato 48 ore prima del voto. Nei distretti più poveri del Cairo membri del partito islamico hanno distribuito alla gente in fila davanti ai seggi olio, zucchero, sale e carne per comprare i loro voti. La maggior parte dei seggi, secondo il quotidiano Ahram, è stata presidiata da uomini dei Fratelli Musulmani, i più organizzati e i grandi favoriti per la vittoria.
Se la maggioranza degli aventi diritto si è riversata nei seggi, molti li hanno disertato. «Il regime non è ancora caduto» dicono alcuni che si sono ritrovati in piazza Tahrir. «Troppi ex uomini di Mubarak si sono candidati in queste elezioni». Tanti altri pensano che finché l’esercito tiene sotto scacco il paese, «le elezioni saranno illegittime». Ma la posizione più diffusa sembra essere un’altra: «I militari non godono di alcuna legittimazione, su questo siamo tutti d’accordo. Però dobbiamo affrontarli, non boicottando il voto o scappando. Ecco perché ho fatto il mio dovere al seggio elettorale».
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