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«Lega al tramonto, Pdl pronto a ripartire. E il Pd si decide o no?»

Peppino Caldarola analizza il risultato delle amministrative: «Lega al capolinea, grillini sulla cresta dell'onda, centrodestra pronto a riorganizzarsi e sinistra che deve decidersi una volte per tutte».

Chiara Rizzo
08/05/2012 - 16:35
Politica
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La Lega in una crisi irreversibile, il Pdl azzoppato ma pronto a ricompattarsi, il centrosinistra di nuovo di fronte al bivio del ’92, credere in una “gioiosa macchina da guerra” o accettare la sfida della sinistra europea. Secondo Peppino Caldarola, commentatore politico de Linkiesta, sono queste le tre conclusioni che si possono trarre dalle amministrative.

Queste elezioni rappresentano l’epitaffio di Pdl e Lega o si può immaginare un altro “predellino”?
Il centrodestra, per come l’abbiamo conosciuto in questi anni, è entrato in una crisi irreversibile. In particolare per il Pdl c’è una crisi della leadership che coincide con la fine dell’ottimismo berlusconiano. Adesso che l’Italia si confronta con questa crisi molto grave, il Pdl non sembra avere una risposta. Inoltre si sono visti fenomeni di disgregazione molto forte, sono state presentate molte liste di personaggi del Pdl che si sono dissociati: nel caso di Verona poi, il partito si è addirittura diviso a metà, tra chi appoggiava Tosi e chi rimaneva alla casa madre. Questo pone al Pdl un doppio problema, di leadership appunto, e di costruzione di una nuova idea di Paese, visto che quella di un’Italia lanciata ottimisticamente verso il futuro si scontra con una realtà che va dalla parte opposta.

Il Pdl scarica la responsabilità della sconfitta sul sostegno al governo.
L’appoggio al governo Monti ha sicuramente avuto un effetto, perché il blocco elettorale berlusconiano si è appunto trovato di fronte ad una realtà di sacrifici alla quale non era preparato, mentre quello di sinistra sapeva di doverli affrontare. Bisogna anche dire che il Pdl non ha mai faticato a costruire un partito vero, cioè un partito con leadership locali forti e una dialettica interna. Il caso di Palermo è emblematico: la vittoria di Orlando dopo una lunga egemonia pidiellina sulla città fa venire in mente che ci sia un problema della dirigenza locale ad affrontare la realtà. Inoltre negli ultimi tempi si stanno manifestando spaccature nel partito non più trasversali, cioè tra i vari componenti, ma anche verticali. Per esempio appare evidente che la componente ex An sia più critica dell’appoggio a Monti di quella ex Forza Italia.

La Lega esce bastonata persino nelle roccaforti brianzole (Monza), a Como e nel varesotto, terra natale di Bossi. Come mai?
La Lega paga sicuramente un prezzo per le vicende giudiziarie che hanno riguardato il “Cerchio magico” e paga anche la spaccatura radicale tra l’area bossiana e quella maroniana. Ma sarebbe miope interpretare questo insuccesso sulla base solo di queste vicende, seppur clamorose. Probabilmente nella Lega si stava registrando già l’esaurimento della spinta propulsiva che l’ha caratterizzata, fondata su una carica antisistema durata molto a lungo, che si è alla fine scontrata con l’insoddisfazione della base per i risultati reali di governo. In particolare al Nord la carica antisistema ha trovato poi uno sfogo alternativo nel grillismo, che ha sottratto alla Lega questo monopolio. Grillo ha parlato direttamente alla base leghista, non dimentichiamolo. La Lega che abbiamo conosciuto ha perso oggi la sua capacità di progettualità: non a caso il fenomeno è stato contraddetto solo a Verona, dove c’è un sindaco che di fatto ha poco di leghista in senso classico. Tosi appartiene forse più ad una cultura democristiana che leghista. Penso che la Lega sia al capolinea.

Il Pd invece è andato meglio. Eppure nessuno lo guarda come un’alternativa forte al centrodestra. Perché?
Perché la vittoria del Pd, pur essendo molto netta, ha delle “lucette” d’allarme che vanno esaminate. La prima lucetta è che in molte città questa vittoria non è clamorosa o eclatante, non rappresenta uno spostamento massiccio di voti dal centrodestra. In qualche caso, e penso a Genova, la quasi vittoria è dovuta a candidati subìti dal Pd. In altri casi, come a Palermo, ci sono candidati che si affermano in polemica con quelli dell’establishment. Emergono dunque due problemi da analizzare. La mancata clamorosa vittoria e, anche in questo caso, una mancanza di leadership.

La vittoria del socialismo riformista con Hollande in Francia potrebbe portare ad un rafforzamento di una Casa dei riformisti in Italia?
Anzitutto credo che l’attuale affermazione del centrosinistra in Italia creerà sicuramente una spinta alla riorganizzazione delle forze del centrodestra. Per questo il centrosinistra non può illudersi di avere vinto la battaglia. Non può fare cioè come nel ’92, ai tempi della “gioiosa macchina da guerra di Occhetto”: speravano in una vittoria facile e invece sappiamo tutti come finì. La seconda questione su cui la sinistra deve riflettere, è che per la seconda volta dopo l’89 si ritrova di fronte a un rovello.

Quale?
Se la sinistra italiana per governare debba modificare il suo dna nel profondo o se debba vivere ancora una stagione lontana dalla sinistra europea. Mi spiego: la sinistra si deve chiedere se può finalmente accettare l’idea che in opposizione alla destra c’è solo una sinistra riformista socialista. Come quella che c’ è in Francia, in Germania o in Gran Bretgana e non c’è invece da noi. Eppure proprio da noi arriva ora la proposta, che giudico molto acuta, del segretario del partito socialista italiano Riccardo Nencini di fare una Casa dei riformisti. È fondamentale: la proprosta è di un assemblement tra Pd, Psi e Sel, sollecitando Vendola a fare la svolta socialista. Se non viene accolta, in Italia continueremo ad avere una sinistra che insegue il mito della terza via fallita invece in tutto il mondo.

E secondo lei è una proposta praticabile per Pd e Sel?
È chiaro che bisogna immaginare un progetto molto graduale. Si può chiedere anzitutto un lavoro sui contenuti comuni, che vengono proposti anche alla nostra sinistra, su un vassoio d’argento, da Hollande: anche nella crisi è possibile fare una politica di crescita, è possibile poi regolare la grande finanza europea, è possibile una soluzione diversa dalla Merkel. Un secondo passo che si può fare riguarda la comune collocazione della Casa dei riformisti nel partito socialista europeo. È la conditio sine qua non perché la sinistra possa diventare governativa anche in Italia, non ci sono altre strade. Questo comporta delle scelte: per il Pd significa anche tornare indietro sul tema della convivenza con il socialismo europeo per passare all’adesione, e per Vendola significa rompere l’equivoco suggestivo della sua adesione a linke tedesca o a sinistra radicale greca. Tutti questi passi, pesanti, sono praticabili.

Il presidente Napolitano dice che non vede nessun boom dei Grillini. Cosa ne pensa?
A differenza del presidente penso che il boom ci sia, anche se non è un fenomeno facilmente catalogabile. Dentro il grillismo ci sono una dinamica di scontento e una di partecipazione popolare, e un’idea antisviluppista (per me il principale punto debole del grillismo). Grillo sposa un’idea catastrofica del capitalismo: sono invece convinto che la sua sia un’idea vecchia e sconfitta. Siamo in una crisi del sistema economico fondato sul mercato, ma penso si possa correggere e investire su sviluppo e crescita. I grillini rappresentano una sorta di “utopia reazionaria” interamente ecologista. Vanno presi sul serio però, non serve demonizzarli o ignorarli.

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Tags: amministrative 2012ElezionihollandeidvLeoluca Orlandomario montinichi vendolaparmaPdPDLriformistiselsocialisti europei
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