Se tifi Lazio non puoi entrare in Francia

Di Piero Vietti
03 Novembre 2021
«Fascisti e violenti, vi fermiamo al confine». Il divieto di trasferta per i biancocelesti contro il Marsiglia diventa una misura abnorme e generalizzata. Un errore grave
Giocatori della Lazio esultano davanti al settore ospiti nello stadio di Bergamo (foto dall'account Twitter @OfficialSSLazio)

Con il turno di Europa League di questa settimana, la reductio ad hitlerum tocca nuove vette surreali diventando reductio ad lazialem. E non succede su Twitter o sulle pagine di qualche giornale di sinistra, ma in Francia.

Laziali da respingere al confine

Giovedì alle 21 si gioca Olimpique Marsiglia-Lazio e, come a volte succede per alcune sfide tra squadre le cui tifoserie sono in rapporti tesi, c’è il divieto di trasferta per i tifosi italiani. Nulla di nuovo – anche se non è bello – la stessa cosa è successa a parti invertite all’andata, con il settore ospiti dell’Olimpico vietato ai marsigliesi. Tra le due tifoserie ci sono antiche ruggini, nel 2018 la sera prima di un altro OM-Lazio ci furono scontri che coinvolsero 200 persone con quattro accoltellati.

Il punto però non è il divieto di trasferta, comprensibile, ma la motivazione addotta dalle autorità francesi per impedire ai biancolesti di seguire la propria squadra, e la sproporzione del divieto: come se fosse un editorialista di Fanpage, il ministero dell’Interno francese ha emesso un’ordinanza che vieta «ai tifosi della Lazio e a chi si presenta come tale» di «recarsi a Marsiglia, sia a titolo individuale che in gruppo, e con ogni mezzo». Non solo: «A loro sarà vietato l’ingresso in ogni punto di frontiera francese, stradale, portuale, ferroviario e aeroportuale e anche nell’area metropolitana di Marsiglia».

Altro che discriminazione territoriale

Frontiere chiuse, biancocelesti trattati come migranti irregolari a Ventimiglia, da respingere in quanto laziali. La motivazione, e qua veniamo alla reductio ad hitlerum e ai tic à la Fanpage, è «il comportamento violento di certi gruppi di tifosi della Lazio, che regolarmente creano problemi nei centri cittadini e nei dintorni degli stadi dove si gioca» e «l’abitudine» di alcuni di loro di «intonare canti fascisti e di fare il saluto nazista». Giustamente la società di Claudio Lotito si è infuriata e ha chiesto rispetto, scrivendo in un comunicato che «la Lazio non può accettare un’offesa gratuita a tutta la tifoseria biancoceleste ed alla Società stessa, che ha sempre combattuto con azioni concrete i comportamenti violenti ed ogni tipo di discriminazione, dentro e fuori gli stadi».

In un calcio che vede discriminazioni territoriali ovunque (e le punisce in modo spesso ridicolo, arrivando a dare multe a chi intona un coro dando del pezzo di m… agli avversari), viene da chiedersi come si possa definire un provvedimento che impedisce di passare da uno stato europeo a un altro a causa della propria passione calcistica, per il semplice fatto che alcuni tifosi altre volte si sono comportati male, o sono fascisti (la parola magica con cui si chiude ogni discorso: vorrai mica difenderli e quindi passare per fascista anche tu?).

Reato d’opinione

Qui siamo al reato d’opinione preventivo, alla generalizzazione da bar sport social, alla maestra che non porta in gita la classe perché un compagno ha rotto i gessetti. Nell’epoca moralista in cui viviamo ci mancava un ministro dell’Interno che impone divieti con intenti rieducativi e punitivi delle idee (punirli tutti con misure che nulla c’entrano con il calcio per illudersi di educarne alcuni). Il tutto, poi, per tutelare una delle tifoserie più violente d’Europa, quella del Marsiglia.

La caccia al capro espiatorio di turno ha gli ultras tra le sue vittime preferite, lo sappiamo, al grido fantozziano di «basta con la violenza negli stadi!». La facile e semplicistica accoppiata con i fascisti rende più “presentabili” agli occhi dell’opinione pubblica anche ordinanze assurde come questa. Accettarla «perché tanto quelli sono brutti, sporchi, cattivi e fascisti» e farsi andare bene che nessun laziale possa superare un confine solitamente aperto sarebbe un errore che aprirebbe scenari inquietanti. Un errore da evitare.

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