Gianni De Michelis Quel solido politico, quell’uomo di potere (pur dotato di visione) che è stato Gianni De Michelis oggi appare una persona diversa. Il “duro” non si vergogna di piangere pubblicamente per la morte di Bettino Craxi. L’abile tattico si lancia in una battaglia impossibile quale quella di organizzare un Partito socialista contro la sinistra che concretamente c’è in Italia: quasi una carica della cavalleria polacca contro i Panzer tedeschi. Le regole della politica sono quelle che sono: ci sono però anche gli uomini che decidono di testimoniare. Una politica senza valori giusti o senza memoria dei fatti è una politica cieca che – il Novecento ce lo insegna – può generare dei mostri. Se il raffinato politico che è stato brillante ministro degli Esteri del nostro paese, decide che il suo compito oggi è impedire che si dimentichino le ingiustizie compiute sotto il nome della giustizia, questa è una scelta che non solo va accettata ma rispettata fino in fondo.
Gavino Angius Gavino Angius è un apparatchik di lungo corso: segretario della Fgci sarda, lavoro nel partito, una precoce entrata in segreteria nazionale perché Enrico Berlinguer nella sua fase finale (molto confusa) cercava in un conterraneo l’uomo di fidato per controllare l’organizzazione. Alla fine degli anni Ottanta Angius esprime la sua delusione, per essere stato (relativamente) emarginato, sposando una linea massimalista e si schiera con chi si oppone alla trasformazione del Pci in Pds. Poi viene recuperato e torna a fare il fedelissimo del leader, nel caso Massimo D’Alema. Manca anche di quella qualità che era tipica dei quadri più “concreti” del Pci: una certa modestia. Lo si coglie spesso in citazioni con cui vorrebbe segnalare una sua sofisticazione culturale. A lui D’Alema affida il compito di gestire la “morte di Craxi”: scelta opaca come tutte quelle fatte dal premier nella vicenda. A volte le evenienze tragiche illuminano le coscienze. I miracoli non sono impossibili. A volte.