Oggi sul Corriere della Sera è stata pubblicata una lettera che ha catturato la nostra attenzione. Fa riferimento al caso della scuola di Bologna di cui vi abbiamo già parlato. La riproduciamo qui di seguito.
L’articolo «Don Matteo e i Prodi divisi. “Rinuncio all’acqua santa”» di Claudia Voltattorni (Corriere, 10 marzo) tocca un tema che nell’I.C. statale in cui insegno è molto sentito: l’esercizio della libertà religiosa e di manifestazione del pensiero di alunni e insegnanti. Semplificando la questione, porto il caso di due classi parallele in cui si sono dati atteggiamenti opposti, sebbene entrambe abbiano una composizione simile: maggioranza di genitori di religione cristiana (non solo cattolica), arricchita da qualche genitore islamico e qualcuno non credente.
Nel primo caso, tra le famiglie e la scuola si è creata una sintonia di fondo che favorisce un clima sereno in cui ciascuno (insegnanti e alunni) esprime liberamente il proprio pensiero o i propri sentimenti anche religiosi, in occasione di eventi pubblici o esperienze personali, nel rispetto reciproco.
Nel secondo, invece, un paio di famiglie ha chiesto con insistenza che, a parte quello di religione, ogni insegnante si astenesse in assoluto dal manifestare in classe il proprio pensiero o sentimenti religiosi «per evitare discriminazioni e garantire la laicità della scuola». La richiesta, in sé legittima, ha però incrinato la serenità generale dei rapporti scuola-famiglia. Gli insegnanti infatti non riscontravano alcuna discriminazione in atto, e alcuni di loro percepivano la richiesta come lesiva della loro libertà d’insegnamento e di manifestazione del pensiero. Anche tra le famiglie si è creato un lieve dissapore perché alcune invece preferivano un’apertura interdisciplinare a temi religiosi o valoriali. Al momento, per evitare «guerre di religione», vista la determinazione di quelle due famiglie, si è deciso che la maggioranza si adeguasse alla minoranza.
La recente sentenza del Consiglio di Stato, però, costituisce un nuovo elemento per riflettere sul fatto che la laicità della scuola non implica l’indifferentismo religioso, neanche se vestito da chimerico neutralismo.
Sergio Fenizia
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