
Lettere dalla fine del mondo
La testimonianza di Berta, che ha imparato ad amare un bambino che non voleva
Caro padre Aldo, sono malata di depressione da circa 12 anni, ti seguo da quando ho conosciuto il movimento. Lavoro in una scuola privata come impiegata amministrativa. Da poco è stato cambiato il mio capo e quello nuovo ha deciso di ridurmi le ore e demansionarmi. Ho pianto giorno e notte, e con il rosario in mano, affidandomi a Maria, la supplico di farmi conoscere le ragioni di tale comportamento e di aiutarmi in questo momento doloroso.
Lettera firmata
Non sono le mie parole che possono aiutarti, perché conoscendo il calvario della depressione è solo una appartenenza a dei volti veri, insieme a una grande pazienza, che possono aiutarti. Pregare significa guardare la realtà vivendola intensamente lasciando meno spazio possibile alle fantasie o a un certo spiritualismo. Ciò che il buon Dio ha permesso che accadesse nella tua vita è per la tua conversione, cioè per un di più che sperimenterai se sarai fedele alla compagnia che ti è data. Abbiamo bisogno di testimoni, cioè di persone innamorate di Gesù che ci prendono per mano. E per incontrarli basta guardarsi attorno e tendere la mano. Il Signore, lo dico per esperienza, non ci lascia mai soli, però è necessario che la nostra libertà gli permetta di entrare nella nostra vita.
In questi giorni è morta Berta, una giovane mamma di quattro bambini. Era incinta e aspettava la quinta bambina. Un malore improvviso l’ha colpita. Quando i medici hanno capito la gravità era troppo tardi. La bambina era già morta e dopo poche ore è morta anche Berta. Per tutti noi è stato terribile perché faceva parte della nostra famiglia. Stava facendo un cammino nel movimento di Comunione e Liberazione e nell’ultima assemblea era intervenuta sorprendendo tutti, perché normalmente non usciva mai a parlare per la sua timidezza. La sua testimonianza è stata per tutti noi una grande provocazione e credo possa esserlo anche per te.
La vita è una sorpresa continua che, come ci ricorda l’Avvento, dobbiamo vivere come sentinelle nell’attesa che lo Sposo arrivi in qualunque momento e con una modalità che non conosciamo.
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Cosa ci permette di guardare tutto senza paura, includendo gli sbagli, includendo la mancanza di autocoscienza? In alcuni momenti diamo la risposta politicamente corretta a questa domanda. Ma non basta, perché questa domanda ritorna sempre, soprattutto quando accade qualcosa che ci sorprende perché inaspettato e che ci obbliga a metterci in gioco con tutta la nostra umanità; questo è quello che mi è successo quando mi sono resa conto che probabilmente ero incinta del mio quinto figlio…
Da subito la mia posizione è stata molto lontana da quella della Madonna nell’Angelus. Non mi è assolutamente passato per la testa di dire «accada di me secondo la tua parola». Al contrario, la mia prima reazione è stata totalmente reattiva: prima mi sono arrabbiata con mio marito, perché lui era il colpevole. Dopo mi sono arrabbiata con me stessa, per non essere stata più attenta. Per ultimo mi sono arrabbiata molto anche con Dio. Ho urlato contro di lui, perché conosceva bene la mia pessima situazione economica. Allora, perché mi inviava un altro figlio?
Questa rabbia ha condizionato le mie giornate fino al giorno della morte di padre Alberto. Quel giorno avevo l’appuntamento dal ginecologo per ritirare degli esami. È stato in quel momento, davanti alla vita del mio futuro figlio e alla morte di Alberto, che ho iniziato a vivere con vera libertà la mia gravidanza. In quel momento ho capito che la mia vita è di un Altro e che la mia consistenza sta solo in quest’Altro. L’accorgermi di questo mi ha aiutata a stare davanti a questo nuovo essere che si stava formando nella mia pancia.
Forse non potrò mai rispondere a tutte le domande della vita, però, come diceva sempre padre Alberto, quello che importa non è dare la risposta politicamente corretta, ma rendersi conto di avere queste domande che ci bruciano costantemente e che, come direbbe don Giussani, non ci lasciano mai tranquilli.
Berta
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