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La strana storia della scarcerazione dei mafiosi

Un pasticcio in cui non tornano diverse cose (il numero, il senso del decreto Bonafede). E la famosa indipendenza della magistratura?

Emanuele Boffi
11/05/2020 - 1:00
Interni
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C’è qualcosa che non quadra in questa storia della “liberazione dei mafiosi”. È un pasticcio in cui non tornano diverse cose (il numero, il senso del decreto con cui il ministro Bonafede ora li rivuole mettere al gabbio), e, insomma, pare tutto un gran guazzabuglio.

Il deprimente scontro tra il guardasigilli grillino e il pm Nino Di Matteo ha poi ulteriormente ingarbugliato la situazione, dando adito a tutta una serie di interpretazioni. La più interessante, dobbiamo ammetterlo, l’ha data il direttore del Riformista, Piero Sansonetti, che ha titolato in prima pagina: “Il governo rischia di cadere per la pensione di Davigo!”.

Spiega Sansonetti:

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«Sembra che Davigo sia molto arrabbiato col ministro perché non ha impedito che fosse dichiarato inammissibile, in commissione, alla Camera, un emendamento al decreto Covid (quello che prevede misure economiche a favore di impresa, lavoratori e famiglie) che allungava l’età della pensione dei magistrati. Cosa c’entra la pensione dei magistrati con l’emergenza economica? Niente. Però c’era un’emergenza anche lì: Davigo a ottobre compie 70 anni e va in pensione. Deve lasciare il Csm, la Cassazione, la carriera, il potere. Non è affato contento. Con l’emendamento presentato da Fratelli d’Italia tutto sarebbe rinviato di due anni. Ma Bonafede non si è dato da fare per salvare l’emendamento. E Davigo si è infuriato e ha aperto la guerra fratricida tra i giustizialisti. Capito? Voi pensavate a grandi scontri di ideali? No, no, tranquilli, solo qualche poltroncina da salvare».

Un ministro inadeguato

Chissà se Sansonetti ha ragione. Di sicuro, è molto difficile che Bonafede venga sfiduciato in aula. Matteo Renzi farà i suoi soliti magheggi, ma non lo “butterà giù”, sebbene sia ormai chiaro a tutti che l’ex dj grillino è del tutto inadeguato a fare il ministro. È inadeguato – specifichiamo – per essere stato il promotore di leggi vergognose come la spazzacorrotti, il trojan, l’abolizione della prescrizione.

E veniamo a quello che sui giornali è stato chiamato il “caso scarcerazioni”. Tutto inizia il 7 marzo con le rivolte nelle carceri che provocano 12 morti. I detenuti protestano per il pericolo di contrarre il Covid-19 mentre nel paese è annunciato il lockdown. Il 17 marzo il governo approva il Cura Italia nel quale, onde evitare che i penitenziari italiani diventino dei focolai, prevede la scarcerazione per chi non è stato condannato per reati gravi e ha una pena residua non superiore all’anno e mezzo. Il 20 il Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) con una circolare illustra i rischi per la salute per alcune tipologie di detenuti (chi ha un tumore, chi ha difficoltà respiratorie o cardiologiche, chi è affetto da Hiv, eccetera). È in base a questa circolare, comunque avallata da esperti medici, che i magistrati di sorveglianza prendono i provvedimenti che, secondo la stampa, avrebbero portato alla “liberazione dei mafiosi”.

Sono 376 o 3?

Qui, però, la vicenda inizia a farsi più nebulosa perché non è chiaro “quanti” siano questi pericolosi mafiosi. C’è chi scrive 200, chi 376, chi ipotizza numeri ancora più alti (Repubblica ci fa il titolo di prima pagina “Boss scarcerati, la lista segreta”). Ci sono dunque 376 boss mafiosi che sono tornati a casa? In verità, scrive il Riformista, sono 3. Tre, non 376. Se infatti per “boss mafiosi” intendiamo persone soggette al regime differenziato del 41bis, ad essere stati scarcerati sono 3. Diverso è il discorso per tutti gli altri che erano detenuti per un altro titolo di reato, il 4bis (omicidio, sequestro di persona, rapina, reati sessuali…). Non esattamente dei chierichetti, ma non certamente dei capi mafia.

Va anche tenuto conto che di questi 373 scarcerati per motivi di salute, ben 196 erano in attesa di giudizio.

Condizioni gravi o gravissime

C’è poi un ulteriore elemento che è bene tenere presente. Un magistrato, secondo l’articolo 146 del Codice penale, non solo può ma “deve” scarcerare una persona, quand’anche fosse un ergastolano, se le sue condizioni di salute sono gravissime e questi non può essere curato in carcere. Dunque, una volta valutate le effettive condizioni, il magistrato deve concedere il differimento dell’esecuzione della pena. Che è, appunto un “differimento”, non una cancellazione, ma una misura temporanea e provvisoria soggetta a rivalutazione.

Secondo l’articolo 147 (differimento facoltativo), che riguarda le patologie gravi ma non gravissime, il magistrato deve valutare e comporre le esigenze di salute del carcerato con la sua pericolosità sociale.

Sono due norme di civiltà: la vita di qualsiasi persona, qualsiasi sia il suo reato, va sempre tutelata. Non si può aggiungere alla pena della detenzione la pena della malattia.

Un complotto dei magistrati? Suvvia

In ogni caso, se ci passate l’espressione, il magistrato non può fare “di testa sua”. Il suo giudizio deve essere sempre basarsi sul responso della direzione sanitaria del carcere e, spesso, oltre a quello, è chiesta un’ulteriore perizia.

Se non si può escludere che nei giorni della grande confusione ingenerata dal virus qualche valutazione possa essere stata data senza il rispetto di tutti i crismi necessari, dall’altro lato pare inverosimile che ci sia un complotto dei magistrati di sorveglianza del paese, in combutta con i medici dei penitenziari, per scarcerare 376 malviventi. È, perlomeno, irrealistico.

Come ha scritto ancora il Riformista:

«A conti fatti, è possibile ipotizzare che per 376 scarcerazioni siano stati coinvolti almeno 200 magistrati della Repubblica, servitori dello Stato al pari dei più famosi vocianti da ogni pulpito giornalistico e televisivo: tutti pericolosi eversori dell’ordine costituito?».

E l’indipendenza della magistratura?

Ovviamente domande e ragionamenti di questo tipo non vanno per la maggiore nell’Italia forcaiola. Strano paese: tutti plaudono al decreto Bonafede che “rimette” in carcere i mafiosi (a conti fatti, tra l’altro, non è nemmeno vero), mentre nessuno si chiede se quelle persone erano realmente malate dunque meritevoli di non rimanere in carcere, se i magistrati e i medici si sono tutti sbagliati a scarcerarli, se un ministro pasticcione possa agire come ha fatto Bonafede (ma non c’era l’indipendenza della magistratura? Non vige più la distinzione dei poteri?).

Foto Ansa

Tags: alfonso bonafedecarceriNino di Matteo
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