La scuola non è una Asl, «non ci servono dettagli ma criteri di fondo»

Di Caterina Giojelli
29 Agosto 2020
Dall’infanzia al liceo, le classi della Fondazione Grossman sono pronte ad aprire in sicurezza. «È il momento della corresponsabilità». Intervista al rettore Raffaela Paggi

Il 29 luglio sul portale della Fondazione Grossman erano già state pubblicate alcune immagini dei progetti per ripartire a settembre in sicurezza: disposizione banchi, distanze, planimetrie. Tutto quello che questa realtà educativa paritaria, fortemente radicata nel territorio milanese con quattro scuole (infanzia bilingue, primaria, secondaria di I grado e licei classico e scientifico), poteva fare era stato fatto. «Già da maggio avevamo istituito una piccola commissione composta da presidi, responsabili della sicurezza, qualche docente e genitore con competenze ad hoc, architetti e così via, per ragionare su scenari diversi, dalla prosecuzione del lockdown al rientro complicato dal mantenimento di quelli che allora erano i due metri di distanza», spiega a Tempi Raffaela Paggi, rettore delle scuole della Fondazione, «di fatto si è trattato di elaborare studi sulla capienza di spazi e aule, organizzare entrate e uscite differenziate per orari e destinazioni (banalmente organizzare ingressi diversi per le classi di ogni piano), nonché il doposcuola, la mensa, le attività musicali e sportive».

«E I GENITORI CHE HANNO FIGLI IN CLASSI DIVERSE?»

Nel bailamme di spifferi, anticipazioni, dichiarazioni degli esperti, comunicazioni da ministero ed ente locali Paggi voleva che una cosa fosse certa e sicura: a settembre la Grossman non si sarebbe fatta cogliere impreparata e avrebbe fatto il possibile per garantire la riapertura della scuola a classi unite e senza variazioni significative di orario dell’attività didattica. «Sfrutteremo le piattaforme online solo per riunioni di colloqui, per il resto si ricomincia. Gli ingressi saranno scaglionati ogni 15-20 minuti. Nessun genitore entrerà a scuola, il punto di ritrovo è il giardino, lì i docenti raduneranno i loro studenti e li condurranno in classe. Mi chiedo tuttavia quanto servirà evitare la commistione di gruppi e alunni all’interno della scuola quando all’uscita è chiaro che sarà inevitabile. Che faranno i genitori che hanno figli in classi diverse? I ragazzi si incontreranno sui mezzi, facendo sport, banalmente al bar davanti alla scuola, come si fa a pensare che i gruppi così faticosamente divisi nell’istituto non si mescolino prima o poi?».

«E SE C’È UN POSITIVO? COME POTRÀ UNA ASL NON OPTARE PER LA CHIUSURA?»

Vivaddio le scuole Grossman possedevano già banchi monoposto e spazi, tra cui l’aula magna, da sfruttare per garantire che in tutti i piani venga rispettato quello che al momento è il fatidico metro tra le rime buccali. «Non potremo invece aprire la mensa a tutti, alcuni gruppi riceveranno il pasto in classe. Questo ci impone un ulteriore sforzo non solo organizzativo ma anche economico: oltre a quelli di segreteria e portineria bisognerà incrementare il numero degli addetti anche solo alla distribuzione del cibo con i carrelli e gli orari degli insegnanti». Il resto? «È tutta un’incognita. In attesa del fatidico incontro del Cts e delle linee guida definitive che saranno disponibili solo il 31 agosto, abbiamo richiesto i sierologici a tutto il personale, implementato pulizie, acquistato dispositivi di igiene, individuato un referente medico. Per il resto possiamo solo porre domande o fare considerazioni».

Tralasciando il rebus delle mascherine («se le vedo necessarie per gli spostamenti all’interno della scuola, trovo impensabile che i bambini le tengano fisse per ore. C’è tutto un tema relazionale che soprattutto nella scuola dell’infanzia è scantonato: un bambino ha bisogno di guardare la maestra, un insegnante ha bisogno di guardare in faccia un alunno, uno sguardo asettico compromette l’apprendimento»), come tutti i rettori, i presidi, i genitori d’Italia, Paggi si chiede cosa accadrà se e quando verrà individuato un positivo al Covid: «Ad oggi ogni decisione su chiusure e quarantena spetterebbe all’ufficio territoriale sanitario di competenza: come potrà gestire ogni chiamata ed emergenza o assumersi la responsabilità di non chiudere tutto? Come si fa a garantire la presenza di insegnanti messi in quarantena se seguono più classi? E durante la quarantena bisognerà avviare la didattica a distanza? Io qui ricevo mail di genitori terrorizzati, chi dalla possibilità di contagio chi dall’impossibilità di gestire famiglia e lavoro con un figlio a casa per scrupolo».

LO SCONTRO TRA DIRITTO ALLA SALUTE E DIRITTO ALL’ISTRUZIONE

Paggi ricorda che l’ansia è il peggior nemico dell’educazione, «ripeto: tutto quello che potevamo fare per mettere in sicurezza la scuola, rispettare regole per l’igiene, il distanziamento, il tracciamento è stato fatto. Trovo assurdo che a certe latitudini scolastiche si dibatta ancora sui dettagli, fingendo di non sapere che prevedere ogni singola eventualità è impossibile. Quello di cui abbiamo bisogno per lavorare bene e chiedere una vera corresponsabilità alle famiglie, già chiamate a vigilare su qualunque sintomo possibile e immaginabile del bambino, è di criteri di fondo uguali per tutti. Emanati i criteri, è la scuola, insieme alla famiglia, ad occuparsi del resto. Il che significa non solo garantire il diritto alla salute ma anche il diritto all’istruzione. Al momento non c’è equilibrio tra i due».

Per Paggi la prima cosa da chiarire è il rapporto con questi uffici di competenza, la triangolazione scuola-azienda sanitaria-famiglia. Dopo di che la scuola «non può trasformarsi in un luogo di mero accudimento e preoccupazione: il lockdown ci ha costretto a un costante lavoro di ricerca dell’essenziale dal punto di vista didattico, culturale, educativo. Non perderemo questa ricchezza ma non fingiamo che sia andato tutto bene: in Italia il fenomeno della dispersione scolastica si è aggravato, il riscontro del divario sociale ed economico che si è aperto tra chi è stato raggiunto e chi no dalla didattica a distanza è spaventoso. Il paese ha perso moltissimi studenti».

Criteri di fondo, per tutti, equilibrio tra diritto alla salute e diritto all’istruzione. E che il corpo docente, un corpo vivo, che ha dimostrato capacità di immaginazione e flessibilità, possa essere aiutato a fare il proprio lavoro e ad aiutare le famiglie. «La nostra scuola ha già distribuito tutti i soldi raccolti con il fondo di solidarietà a chi ha fatto fatica. Ma abbiamo anche raggiunto il record di iscrizioni, 1.030 ragazzi quest’anno. Chi può, oggi manda i figli in un luogo di cui si fida. E la fiducia oggi è il motore della didattica in presenza. Mai come ora è per noi centrale la presenza che ha assunto, proprio grazie a questi mesi di distanza, un significato nuovo nella nostra proposta educativa e culturale».

Foto Ansa

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