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«La scuola non è un problema. Il problema è la scuola chiusa»

Intervista ad Anna Boatti, tra gli organizzatori della manifestazione a favore della scuola in presenza che si è svolta in tutta Italia: «Il governo è irrazionale. Gli studenti devono tornare in classe subito»

Leone Grotti
23/03/2021 - 4:00
Interni
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scuola dad manifestazione milano

«La scuola non è un problema. Il problema è la scuola chiusa». Lo slogan è efficace, così come la protesta di genitori, studenti e insegnanti che domenica hanno riempito 36 piazze in tutta Italia (rispettando il distanziamento sociale e rigorosamente muniti di mascherine) per chiedere che il governo riapra gli istituti e smetta così di discriminare gli studenti di ogni ordine e grado, come avviene da oltre un anno a questa parte. Anche Anna Boatti, mamma e docente di latino e italiano al Liceo Virgilio di Milano, membro del direttivo del comitato “A scuola”, era in piazza per protestare insieme a migliaia di altre persone in tutta Italia. È il comitato di cui fa parte, in unione con Scuole aperte di Mantova, ad aver promosso la “Rete scuola in presenza”, movimento che ha organizzato le manifestazioni, nato poche settimane fa. «Nell’ultimo anno i professori sono stati encomiabili, spesso lavorando il doppio pur di assicurare un insegnamento di qualità anche in dad», spiega a tempi.it Boatti. «Ma la situazione è diventata ormai insostenibile: il governo deve far tornare gli studenti in classe. Subito».

Come?
Riaprendo le scuole, ovviamente in sicurezza. Nessuno di noi ha mai messo in dubbio che la salute così come la prevenzione siano fondamentali. Però gli istituti si sono adoperati per rendere la scuola un luogo fortemente controllato: gli studenti portano le mascherine, i banchi sono distanziati, in ogni aula c’è il gel, tantissime realtà hanno il termoscanner. Non siamo così ingenui da sostenere la teoria del “rischio zero” ma, come ripete l’ex coordinatore del Cts, Agostino Miozzo, quella del “rischio accettabile”: le scuole sono luoghi molto più sicuri di altri che non vengono chiusi, dunque non è più tollerabile chiedere agli studenti un simile sacrificio.

Non solo agli studenti però vengono chiesti sacrifici.
Certo, ma è un fatto che le scuole sono le realtà che vengono chiuse per prime e riaprono per ultime. È successo l’anno scorso, sta accadendo di nuovo quest’anno. Faccio un esempio sulla mia Regione, la Lombardia, ma il discorso vale per tutte: la scuola è stata chiusa il 24 febbraio, quando il lockdown nazionale è iniziato l’8 marzo. Il 4 maggio ha riaperto tutto, ma non gli istituti. A settembre le superiori hanno riaperto con la presenza solo per il 50 per cento degli alunni, poi sono state chiuse il 26 ottobre, prima dei negozi, arrivando al paradosso del periodo natalizio: al mattino i ragazzi dovevano stare davanti al pc ma al pomeriggio potevano entrare nei negozi.

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Ce l’ha con lo “shopping selvaggio” denunciato dai giornali?
No, perché noi non mettiamo una categoria contro l’altra. Però denunciamo un aspetto che rappresenta un’evidente assurdità e che qualunque persona di buon senso può capire.

Però il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi dice che «neanche un giorno di scuola è stato perso».
Questo lo dice lui e si sbaglia. Innanzitutto, sia l’anno scorso che quest’anno, non tutti gli istituti sono partiti da subito con la dad. Inoltre, chi abbia la pazienza di leggere le linee guida del ministero, scoprirà che per la dad viene consigliato un orario ridotto. Per le superiori, ad esempio, si consiglia di coprire 20 ore con la dad e le restanti con modalità asincrona. Ancora più basso il numero di ore previsto per le medie, 15 su 30, o le elementari. Poi ogni istituto si regola come meglio crede e mi lasci dire una cosa.

Prego.
Noi non abbiamo mai sostenuto che gli insegnanti non abbiano lavorato in questo periodo. Anzi. La dad molto spesso li ha costretti a lavorare il doppio. E lo dico per esperienza.

Allora qual è il problema?
Se la scuola fosse solo trasmissione di informazioni e nozioni la dad, anche se a fatica, potrebbe forse funzionare. Ma la scuola è molto di più. La scuola è formazione, confronto, rapporto. E attraverso uno schermo, dove 25 alunni sono spesso ridotti a piccole finestrelle, è praticamente impossibile mantenere l’aspetto relazionale della scuola. Che, mi creda, è fondamentale.

Secondo una ricerca dell’Istituto Toniolo e Parole O_Stili, anche didattica e apprendimento sono peggiorati con l’avvento della dad, e gli studenti sono più distratti e in difficoltà.
È quello che ho sperimentato anch’io da genitore e docente. Tutti siamo stati alunni, sappiamo quanto è difficile mantenere la concentrazione a lungo anche in classe. Figuriamoci a casa, dietro a uno schermo. Io stessa, quando faccio le riunioni, dopo 45 minuti vado in difficoltà. Immaginiamoci cosa vuole dire stare davanti a un computer per cinque o sei ore di fila.

Sempre secondo lo studio realizzato con l’aiuto dell’Ipsos, anche le relazioni tra i compagni di classe e tra alunni e professori sono peggiorate.
È così, perché è tutto più complicato. I professori si impegnano ma la realtà è che purtroppo l’educazione in due dimensioni non funziona.

Se questa esperienza è diffusa, perché il governo Draghi, come prima il governo Conte, continua a chiudere le scuole?
Perché la chiusura delle scuole, in apparenza, è a costo zero. Ci si illude che non influisca sul pil ma non è affatto così. Questa è una scelta scellerata che avrà enormi ripercussioni a medio e lungo termine. Come emerge dai sondaggi, i ragazzi senza scuola perdono certezze, fanno più fatica a confrontarsi con gli altri, diventano autoreferenziali e incapaci di autovalutarsi, di comprendere il proprio valore. Senza contare che sono i giovani di oggi a dover prendere le redini del paese in futuro: e come, se non li facciamo andare a scuola? Oltretutto ci riempiamo spesso la bocca con belle parole sull’importanza dell’istruzione: ma come potranno le nuove generazioni crederci se è da 13 mesi che concretamente dimostriamo il contrario? La scuola già da tempo arrancava in Italia come ascensore sociale, ora la dad le ha dato il colpo di grazia.

Perché?
Perché a soffrire di più di questa situazione sono gli studenti più fragili e deboli, quelli più svantaggiati dal punto di vista familiare, sociale, economico, fisico e intellettivo. I ragazzi che hanno i mezzi – economici, tecnici, familiari, abitativi – seguono bene le lezioni. Gli altri restano indietro.

Pensa che il governo scarichi il problema sulle famiglie?
Certo, soprattutto sulle spalle delle madri, che nella maggior parte dei casi sono quelle che seguono i figli nella dad.

Voi vi lamentate delle chiusure ma la politica, spesso spalleggiata da giornali ed esperti, risponde: «Non c’era altra scelta».
Non è vero. Ripetiamo sempre che dobbiamo essere europeisti. Perché sulla scuola no? Spagna, Francia, Germania e Inghilterra hanno messo la scuola al centro, pur con modalità diverse, e hanno chiuso gli istituti solo come extrema ratio. In Inghilterra ad esempio le scuole sono state chiuse due mesi ma l’8 marzo hanno riaperto, mentre i negozi non alimentari riapriranno solo dopo Pasqua e a metà maggio bar e ristoranti. In Francia, la regione parigina è entrata in lockdown, ma le scuole restano aperte. Perché non possiamo fare come loro?

Ufficialmente le scuole vengono chiuse per limitare i contagi. Ma Miozzo, che ora collabora con il ministero dell’Istruzione, ha dichiarato in una recente intervista che «il ministero non ha dati, non conosce i contagi interni agli istituti scolastici».
Questo è uno dei punti su cui insistiamo di più. Il governo non ha dati sulla reale incidenza dell’apertura delle scuole in quanto tali sulla pandemia. E del resto, se le scuole vengono sempre chiuse per prime e aperte per ultime, come si fa a raccogliere dati? La Liguria ha chiuso le superiori addirittura in zona gialla. Noi vogliamo che venga fatto uno screening accurato nelle classi. Cosa aspetta il governo?

Secondo uno studio condotto da Sara Gandini, epidemiologa, biostatistica e docente di Statistica medica all’Università di Milano, l’apertura delle scuole in realtà non influisce sulla curva dei contagi.
Lo abbiamo letto ma non l’abbiamo ancora utilizzato perché non è stato ancora pubblicato. Però i dati raccolti la dicono lunga sulla follia delle scelte di questo governo. Adesso, stanno pensando di riaprire dopo Pasqua le scuole fino alla prima media: ma perché solo fino alla prima media? Quale logica c’è dietro questa misura? Sono misure che non poggiano né sui dati, né sulla razionalità, né sul buon senso. L’unico pensiero che sta dietro a queste decisioni è: “Togliamo un po’ di gente dalle strade”.

Il ministro Bianchi però assicura che dall’anno prossimo la scuola sarà più «affettuosa».
Non abbiamo bisogno di una scuola “petalosa”. Noi vogliamo le scuole aperte, tutte, subito dopo Pasqua. E non vogliamo più interruzioni fino alla fine dell’anno. Chiediamo che non siano più chiuse in zona rossa e anche che i singoli governatori non possano decidere di chiuderle in zona gialla o arancione. La scuola non deve più essere sentita come un fastidioso fardello, qualcosa di cui liberarsi perché oggi l’impressione è esattamente questa.

La protesta di Rete scuola in presenza si è concentrata sulle scelte della politica. Ma cosa pensate di come hanno agito i sindacati? Non hanno facilitato e orientato la politica?
È vero, i sindacati non escono bene da questa situazione perché soprattutto in certe realtà si sono mostrati poco attenti alla scuola dal punto di vista degli studenti e troppo attenti alle dinamiche contrattuali. Continuo comunque a pensare che la maggior parte degli insegnanti sia stufa e voglia tornare in presenza, anche se per stanchezza o per mancanza di tempo non ha ancora fatto sentire la propria voce.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: Covid-19
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