Il Deserto dei Tartari

La scienza non ci dà la verità perfetta. Ma può dirci le probabilità

Di Rodolfo Casadei
02 Novembre 2021
Mi risulta impossibile togliere l’avverbio “forse” al giudizio di obbligatorietà morale della vaccinazione contro il Covid
centro vaccinale Covid-19

centro vaccinale Covid-19

La discussione sull’obbligatorietà morale della vaccinazione contro il Covid-19 non finirà tanto presto, soprattutto dopo l’intervento del cardinale Willem Eijk. Il primate d’Olanda ha detto, fra le varie cose, che «essere vaccinati è un atto morale buono – e forse anche moralmente obbligatorio». Dopo di lui sono intervenuti su tempi.it e su Avvenire rispettivamente Luca Del Pozzo e il teologo moralista Mauro Cozzoli per affermare che la vaccinazione contro il Covid è un obbligo morale senza “forse”; e sempre su tempi.it con una lettera Aldo Vitale per accusare di soggettivismo etico il cardinale Eijk, laddove quest’ultimo afferma che non può essere imposta la somministrazione forzata del vaccino (cosa diversa, faccio notare, dall’obbligo vaccinale per legge) a chi per motivi di coscienza respinge la vaccinazione. Personalmente mi sento vicino all’approccio del cardinale e alle sue sfumature. E cioè che 1) vaccinarsi è un atto morale buono e forse – forse – moralmente obbligatorio; 2) che l’obiezione di coscienza di chi si astiene dalla vaccinazione per non cooperare remotamente all’atto abortivo da cui derivano linee cellulari utilizzate per arrivare al vaccino va rispettata, però non può essere presentata come l’unico comportamento giusto, essendo moralmente giustificata la fruizione del vaccino incriminato, come ha spiegato a suo tempo la Congregazione per la Dottrina della fede; 3) che non è affatto soggettivismo etico far dipendere il proprio dissenso rispetto alla prospettiva di una somministrazione forzata del vaccino a un no vax dal rispetto per la sua coscienza, anche se essa può essere considerata coscienza erronea. E comincerei proprio da quest’ultimo punto.

Per sostenere la sua accusa a Eijk, Vitale si appoggia all’allora card. Ratzinger e, pur senza citarla, alla sua confutazione della giustificazione di coscienza per i delitti dei nazisti. Nel suo discorso di ammissione all’Accademia delle Scienze morali e politiche dell’Institut de France del 7 novembre 1992 il futuro papa spiegò il suo rigetto della tesi, sostenuta da alcuni teologi moralisti, secondo cui i nazisti possono sperare nella salvezza eterna perché hanno agito in buona fede, cioè hanno obbedito a un imperativo di coscienza, e sarebbe comportamento moralmente giusto per l’uomo ottemperare agli imperativi della propria coscienza, anche quando questa è erronea. No, spiega Ratzinger: se un uomo non prova più senso di colpa di fronte all’uccisione di una persona inerme, in lui è accaduto qualcosa che non ha giustificazione alcuna: «Il non vedere più le colpe, l’ammutolirsi della voce della coscienza in così numerosi ambiti della vita è una malattia spirituale molto più pericolosa della colpa, che uno è ancora in grado di riconoscere come tale. Chi non è più in grado di riconoscere che uccidere è peccato, è caduto più profondamente di chi può ancora riconoscere la malizia del proprio comportamento, poiché si è allontanato maggiormente dalla verità e dalla conversione». (Testi scelti di Joseph Ratzinger, Liberare la libertà – Fede e politica nel Terzo Millennio, Cantagalli 2018, p. 93).

Non tutti i casi di coscienza erronea, però, sono del tipo di quello confutato da Ratzinger. Facciamo il caso che io sia convinto in coscienza di avere in tasca un siero antivipera. Si tratta di coscienza erronea, perché quella che ho in tasca è solo acqua distillata. Se un mio compagno di cammino viene morso da una vipera, l’imperativo morale che sono tenuto a rispettare è somministrargli quello che io credo essere un siero efficace; mentre sarebbe peccato negargli la puntura in base al ragionamento che di quel siero potrei avere bisogno io in un successivo momento. È sulla base di casi come questi – e di altri molto più complicati – che i teologi moralisti hanno sostenuto praticamente sempre che anche la coscienza erronea, e non solo quella retta, obbliga il soggetto. Perciò la domanda da un milione di dollari è la seguente: la coscienza erronea (posto che sia tale) di chi rifiuta il vaccino antiCovid è del primo tipo o del secondo tipo? Nasce da una trascuratezza morale e razionale profonda, o è un’ignoranza invincibile causata dal contesto in cui il soggetto si trova? Io sono più propenso per la seconda risposta, per il fatto che nel caso della valutazione intorno ai vaccini non ci troviamo di fronte a una questione strettamente etica, dove il bene e il male sono sempre nettamente distinti, né di fronte a verità razionali di tipo matematico, dove la risposta giusta e quella sbagliata sono ben individuate: in questione è il giudizio da dare su di una terapia medica e sui suoi effetti, cioè su qualcosa intorno a cui è impossibile avere una conoscenza perfetta e assolutamente certa.

Ha centrato il punto Matteo Matzuzzi in un articolo sul Foglio del 30 ottobre dove cita quanto scritto da Guy Consolmagno, gesuita e direttore della Specola vaticana, su America, la rivista della Compagnia di Gesù pubblicata negli Usa. Scrive Matzuzzi: «Consolmagno, fisico e astronomo, ha premesso che “nella lotta alla pandemia le prove scientifiche a favore della vaccinazione sono schiaccianti”. Detto ciò, “ci sono molte persone che vedono la vaccinazione come l’unico modo per porre fine alla pandemia, spesso invocando il mantra di seguire la scienza”. Slogan senza dubbio affascinante ma che turba: “Implica che l’autorità della scienza è infallibile. Ma, naturalmente, non lo è. Per quanto sia odioso ammetterlo, la paura della fiducia cieca nella scienza ha un elemento di verità. A volte, la scienza è sbagliata. Sono uno scienziato e posso citare un numero qualsiasi di documenti scritti da me che poi si sono rivelati errati in modo imbarazzante. Ma, soprattutto, ci sono momenti nella nostra storia in cui la scienza – o almeno il modo in cui viene presentata – si è rivelata non solo imperfetta, ma orribilmente sbagliata”. La battaglia combattuta sul seguire la scienza, aggiunge Consolmagno, “è in realtà una lotta sull’affidabilità dell’autorità in generale. Alla fine della giornata, sia quelli che promuovono la scienza, sia quelli che la disdegnano, stanno cercando la certezza in un universo incerto. È un’intolleranza quasi calvinista dell’errore: il mondo è bianco o nero, il fallimento non è un’opzione. L’ironia è che la scienza stessa è in realtà un processo basato sul dubbio e sull’errore e sull’imparare ad analizzare quell’errore. Nella scienza, è essenziale sapere che non si conoscono tutte le risposte”. (…) La scienza non ci dà la verità perfetta. Ma può dirci le probabilità. Ci fidiamo del vaccino perché migliora enormemente le probabilità di non ammalarsi (il problema è, naturalmente, che la maggior parte di noi è pessima nel capire come funzionano le probabilità, che è il motivo per cui i casinò e le lotterie hanno così successo)”».

Ma attualmente nemmeno il discorso intorno alle probabilità taglia la testa al toro: sì, risponde il No Vax medio, può darsi che i vaccini funzionino nel breve periodo, ma io sono certo che nel medio periodo (e in alcuni casi anche nel breve periodo) causano danni gravi alla salute, perciò preferisco condurre una vita sana e, nel caso di contagio, curarmi con tutti i medicinali attualmente disponibili. Addurrà che la non genotossicità degli attuali vaccini antiCovid non è stata sufficientemente dimostrata, o che sono usciti o stanno per uscire studi che dimostrano che la proteina spike immessa col vaccino rimane nell’organismo molto più a lungo di quanto le case farmaceutiche assicurino, o che i vaccini a mRna messaggero facilmente possono indurre mutazioni genetiche, ecc. Tutte argomentazioni che si possono respingere sulla base di altri dati e di altri studi – cosa che mi è capitato di fare, inutilmente, con molti interlocutori -, ma che non si possono togliere definitivamente dal tavolo fino a quando ci sarà un Luc Montagnier premio Nobel per la medicina, un Robert Malone, ricercatore che ha posto le basi teoriche e cliniche delle attuali le terapie geniche, un Geert Vanden Bossche virologo esperto di vaccini che danno credito a queste teorie. Agli studi che dimostrano che è molto più facile subire una mutazione genetica a causa di un’infezione da Covid che non a causa della vaccinazione il No Vax mi risponde mostrando le interviste a Montagnier, a Malone, a Vanden Bossche. Per questo sopra ho usato l’avverbio “inutilmente”. E a ciò si aggiungono gli scandali dovuti alle negligenze del sistema sanitario, che somministra AstraZeneca ai giovani nonostante l’alto rischio di trombosi, che sbaglia le dosi di Moderna alla terza somministrazione, ecc.: tutta legna per il focolare No Vax.

In un contesto del genere, mi risulta impossibile togliere l’avverbio “forse” al giudizio di obbligatorietà morale della vaccinazione contro il Covid. Per toglierlo bisognerebbe prima fare un grande e capillare lavoro di divulgazione scientifica, facendosi carico di tutte le domande, i timori e le obiezioni dei cittadini rispetto alla politica sanitaria corrente in materia di Covid. E a presiederlo non dovrebbero essere i virologi televisivi che si atteggiano a star, ma scienziati con la forma mentis di Guy Consolmagno. Allo stato attuale delle cose, perciò, sono portato a rispettare la coscienza erronea dei No Vax che non sono scienziati, e a stigmatizzare ratzingerianamente quella degli scienziati come Montagnier e Vanden Bossche, che alimentano con la loro autorevolezza le convinzioni dei No Vax.

Credo poi che, a livello di mondo cattolico, le cose si sarebbero dovute affrontare in modo diverso dal solo discorso di teologia morale appoggiato su evidenze medico-scientifiche. L’essersi limitati a questa prospettiva non è fattore estraneo alle profonde divisioni che si sono create (evocate anche nell’articolo di Matzuzzi) e ai rancori che si sono generati e che rischiano di essere durevoli. Fermo restando che la decisione del singolo battezzato di vaccinarsi è «un atto morale buono – e forse anche moralmente obbligatorio», ci si sarebbe potuti ispirare alla prospettiva di Luigi Giussani, che nelle pagine finali di La coscienza religiosa dell’uomo moderno scrive: «La presenza del Fatto cristiano sta nell’unità dei credenti. Ecco dunque il metodo proprio di quel fatto per “convertire” il mondo: che questa unità sia resa visibile, dovunque». La pandemia era una grande occasione – purtroppo mancata – per i cristiani di testimoniare al mondo il miracolo dell’unità fra loro in Cristo. Bisognava superare i punti di vista personali, più o meno argomentati, per convergere nella testimonianza dell’unità: vaccinarsi tutti, oppure anche – ovviamente qui ricorro alla figura del paradosso – non vaccinarsi nessuno. Un’unità fondata non su certezze scientiste, o su presunti saperi alternativi, ma sull’esigenza di rendere testimonianza nella storia di quel miracolo che è l’unità dei credenti in Cristo, di evidenziare la sua rilevanza storica. L’unico vero contributo originale che i cristiani possono dare alla società. Tutto il resto lo sanno fare anche gli altri, e quando lo fanno i cristiani lo fanno come lo farebbero gli altri, né più né meno.

Foto Ansa

 

 

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.