Già il lavoro scarseggia di questi tempi, in Italia. In più, secondo Stefano Quercetti, amministratore delegato della Quercetti Spa, un’azienda che a Torino fabbrica giocattoli educativi e che dà da lavorare a una settantina di persone, la riforma Fornero «ha ulteriormente depresso la possibilità di trovarne uno». Perché, spiega Quercetti a tempi.it, la riforma ha «ingessato ancor di più la flessibilità sia in entrata sia in uscita». In particolare è stato, «abolito» il contratto a tempo determinato, perché «appesantito di così tanti vincoli da renderlo, di fatto, inutilizzabile».
«SENZA UNA LOGICA». «Supponiamo che un’azienda, in un momento di punta, abbia necessità per un periodo limitato di tempo, di più forza lavoro», esemplifica Quercetti. Un’ipotesi realistica, perché oggi, quando un’azienda ha la possibilità di aggiudicarsi un ordine “spot”, occasionale, «è bene che lo porti a casa». L’azienda in questione cosa fa? «Assume una persona a tempo determinato. Peccato, però, che, quando il suo contratto termina, e dopo che l’azienda ha investito per formarla, non può più richiamarla, se non dopo che sono trascorsi tre mesi». E lo stesso succede in caso di una sostituzione per maternità. «Chiunque può capire che non c’è nessuna logica in una cosa del genere», commenta Quercetti, secondo cui, così, «non si fa altro che allontanare gli imprenditori dalla forza lavoro, perché si fa in modo che preferiscano riorganizzare internamente le risorse piuttosto che ricorre all’esterno». Ed è anche per questo motivo che, «in questo momento, un lavoro non lo si trova nemmeno a pagarlo». Mentre sarebbe «fondamentale lasciare più spazio ai tempi determinati».
COSTI ECCESSIVI. Ma come, in simili casi non c’è la possibilità di ricorrere al lavoro interinale? «Sarebbe bello, se solo gli interinali non costassero il 15 per cento in più del lavoro dipendente», precisa Quercetti. «E non è certo poco in un paese come l’Italia, dove, per via delle tasse e della spesa energetica, il costo per unità di lavoro prodotta è mediamente superiore del 30 per cento a quello della Germania». Una situazione figlia di tante storture, ci mancherebbe, ma anche la riforma Fornero secondo l’imprenditore «ci ha messo del suo». Lo stesso vale anche per l’apprendistato, che «è utile, ma è stato fatto di tutto per complicarlo. Per esempio introducendo l’obbligo dei corsi di formazione».
ARTICOLO 18. Sulla flessibilità in uscita il giudizio di Quercetti è netto: «In Italia anche il solo parlarne è ancora un tabù; i sindacati ne hanno sempre discusso come di una “questione di civiltà”. Io mi chiedo come mai, allora, paesi ben più civili dell’Italia, invece, hanno la facoltà di licenziare chi non lavora. In Svizzera, per esempio, quando ti licenziano, hai assicurati tanti mesi di stipendio quanti sono gli anni precedenti lavorati, fino a un massimo di sei». Significa che, se un lavoratore viene licenziato dopo il sesto anno di lavoro, avrà sei mesi di stipendio garantiti. Chiarisce Quercetti: «Nessun imprenditore vuole mandare via i suoi dipendenti o licenziarli, a meno che sia costretto; qui si parla soltanto della possibilità di privilegiare chi ha voglia di lavorare, quando ci si trova di fronte a quelle due o tre “mele marce” su cento che, invece, non hanno voglia». Anche perché nessuno, oggi, politico o imprenditore, «è in grado di garantirti il lavoro».
DOVE PARTIRE? Anche il nuovo ministro del Lavoro Enrico Giovannini ha detto che la riforma va cambiata. Ma da dove bisogna partire dunque? Secondo Quercetti «si può non toccare la parte relativa alle pensioni, anche se bisogna fare qualcosa per gli esodati»; ma sicuramente «intervenire per favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e fare in modo che possano imparare il mestiere dalle persone più esperte in azienda». Anche perché di questo c’è sempre bisogno.