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La retorica transgender offende le donne riducendole a femminucce. Parola di femminista

Lo scrive il New York Times e Repubblica traduce. «La retorica del "sono nata in un corpo sbagliato" utilizzata dai trans è offensiva, dato che ci riduce alle nostre mammelle e alle nostre vagine»

Redazione
10/06/2015 - 4:00
Società
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bruce-jenner-vanity-fairAmici, bisogna combattere l’omofobia che serpeggia nelle redazioni di Repubblica e del New York Times. Ieri la Bibbia italiana del politicamente corretto ha tradotto e pubblicato un articolo della Bibbia statunitense del politicamente corretto in cui si attaccavano frontalmente le persone transessuali. O meglio, par di capire dalla lettura, i maschi che cambiano sesso in femmine e così finiscono per avvalorare tutti gli stereotipi sessisti sulle donne. Vi giuriamo, mai letto un articolo così profondamente discriminatorio nei confronti dei trans. Nemmeno su Tempi.

Andiamo con ordine. Repubblica, 9 giugno 2015, pagina 52-53. Siamo nel cuore culturale del quotidiano, le pagine di R2, quelle dove si fa Cultura con la C maiuscola e “dibbattito” con due “b”. L’articolo, che ripropone un pezzo già uscito sul quotidiano newyorkese, è titolato in modo neutro e con l’interrogativo: “Tra femministe e transgender chi ha ragione sulle donne?”. Si dirà: ok, Repubblica è un giornale che dà voce anche a opinioni dissenzienti rispetto alla linea editoriale. Uhmmm, provate a leggere e poi ci dite.

Dunque, l’articolo è a firma di Elinor Burkett, giornalista ed ex docente di studi femminili, coriacea femminista che attacca così:

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Donne e uomini hanno cervelli diversi? Ai tempi in cui Lawrence H. Summers era preside di Harvard e suggerì di sì, la reazione fu immediata e implacabile. Gli esperti lo bollarono di “sessismo”. I membri di facoltà gli dettero del troglodita. Gli ex allievi sospesero i pagamenti. Eppure, quando Bruce Jenner, l’ex campione olimpico di decathlon che ha cambiato sesso, in un’intervista ha detto più o meno la stessa cosa è stato incensato per il suo coraggio. E per il suo progressismo.

Avete capito che si parla di Bruce Jenner, celebre decatleta Usa, un eroe sportivo nel suo paese, che ha recentemente cambiato sesso, raccontandosi in una lunga intervista su Vanity Fair. Emozione e commozione in tutto il mondo, applausi, felicitazioni. E per “tenere su la notizia”, come si dice in gergo giornalistico, in questi giorni tutti a commentare il record di follower su twitter raggiunto da Bruce, ora Caitlyn, che ha battuto persino Barack Obama. Insomma, a tutti è piaciuto quel che ha fatto Brenner. A tutti tranne che a Elinor, si intende. Che infatti prosegue:

“Il mio cervello è più femminile che maschile”, ha detto, spiegando in che modo ha capito di essere un transgender. Questo è stato soltanto il preludio a una serie di foto e all’intervista pubblicata da Vanity Fair che ci offrono uno spaccato dell’idea che Caitlyn Jenner ha di una donna: un corsetto attillato che esalta la scollatura, pose sensuali, abbondante mascara, e la prospettiva di normali “serate fra ragazze” con bonarie prese in giro per le acconciature dei capelli e il trucco. La signora Jenner è stata accolta con un fragoroso applauso. L’emittente televisiva Espn (specializzata nello sport) ha annunciato di voler insignire la signora Jenner di un premio per il suo coraggio. Anche il presidente Obama l’ha ammirata. Per non essere da meno, Chelsea Manning, l’ex militare americano che passò documenti top secret a WikiLeaks e che ha cambiato sesso, è saltata sul gender train ( il treno di genere) di Caitlyn Jenner e ha twittato con entusiasmo: “Adesso sono molto più consapevole delle mie emozioni! Sono molto più sensibile a livello emotivo (e fisico)”.

E qui parte la filippica. Perché ciò che non va giù alla giornalista femminista è che, volgarizziamo, questi uomini che diventano donne, poi si atteggiano a “femminucce”. Ma come, battaglie e battaglie a partire dagli anni Settanta per essere trattate come gli uomini, e mo’ questi ci fa tornare a far la figura delle smorfiose, tutte gonnelline, smalti e occhi languidi?

Una parte di me ha fatto un sobbalzo. Per buona parte dei miei 68 anni ho combattuto contro tutti i tentativi di rinchiudere le donne all’interno di meticolose caselline, per ridurci a vetusti stereotipi. All’improvviso, scopro invece che molte delle persone che pensavo fossero dalla mia parte  –  gente che si definisce progressista, che sostiene con ardore la necessità tutta umana di autodeterminarsi  –  stanno prendendo per vero il concetto secondo il quale minime differenze nel cervello degli uomini e delle donne portano a grossi crocevia lungo il cammino e che dentro di noi sia codificato una specie di destino di genere. Questo è proprio quel tipo di sciocchezza che è stata utilizzata per secoli per reprimere noi donne.

I transgender calpestano la dignità delle donne. Scusate, mica lo diciamo noi. Lo dicono quegli omofobi del New York Times.

Chi non ha vissuto la propria intera vita da donna non dovrebbe arrivare a definire noi donne. Perché questo è quanto gli uomini fanno da fin troppo tempo. E nella misura in cui riconosco e approvo il desiderio degli uomini di gettare alle ortiche il mantello della virilità, ritengo che non possano avanzare la loro richiesta di dignità di transgender calpestando la mia dignità di donna. La loro verità non è la mia verità. La loro identità femminile non è la mia identità femminile. Loro non hanno viaggiato da donne in lungo e in largo nel mondo, e non sono state plasmate da tutto ciò che questo comporta. Loro non hanno sopportato lunghi meeting d’affari con uomini che si rivolgono alle loro mammelle, né si sono svegliati terrorizzati dopo una notte di sesso nel timore di aver dimenticato di prendere la pillola contraccettiva. Loro non hanno dovuto mai affrontare l’inizio delle mestruazioni al centro di un vagone affollato della metropolitana, né hanno vissuto l’umiliazione di scoprire che gli stipendi dei loro colleghi maschi sono di gran lunga più consistenti dei loro.

“La loro identità femminile non è la mia identità femminile”. Identità? Femminile? E che fine ha fatto il gender?

Non giriamoci troppo intorno: Brenner è un uomo (per di più “alto e forte”) che vuole atteggiarsi a donna, che nuoce completamente alla causa femminista, che usurpa e si appropria di discorsi che non può fare. Non può, non può, non può. Lui è un uomo che ha goduto di tutti i privilegi degli uomini, poi, ad un certo punto, ha deciso di diventare donna, saltando tutta la fatica, le angherie, le difficoltà che le donne devono subire. Comodo, eh?

Se il giovane Bruiser (“Attaccabrighe”), come era soprannominato Bruce Jenner da piccolo, ha potuto ricevere tra gli applausi una borsa di studio per l’università per meriti atletici, poche atlete hanno potuto sperare in una simile generosità, dato che da sempre le università offrono pochi aiuti agli sport femminili. Alto e forte, Jenner non ha mai dovuto escogitare come camminare di notte per strada senza correre rischi. Sono queste le realtà che configurano i cervelli delle donne. Definendo l’essere donna come ha fatto con l’intervistatrice Sawyer, Jenner e i molti sostenitori dei diritti dei transgender che condividono un simile approccio di fatto ignorano queste realtà. Così facendo, nuocciono e compromettono una serie di argomentazioni per le quali si è combattuto duramente per un secolo.

Elinor non concede nulla a Brenner. Leggete cosa dice qui, e immaginate per un attimo se le medesime parole fossero state scritte su Avvenire o Tempi. Apriti cielo!

La retorica del “sono nata in un corpo sbagliato” utilizzata da altri trans non funziona tanto meglio, ed è altrettanto offensiva, dato che ci riduce alle nostre mammelle e alle nostre vagine. Provate a immaginare quale sarebbe la reazione generale se un giovane maschio bianco all’improvviso decidesse che è intrappolato nel corpo sbagliato e, dopo aver utilizzato una serie di sostanze chimiche, modificasse la pigmentazione della sua pelle, si acconciasse i capelli in treccioline e si aspettasse di essere accolto a braccia aperte nella comunità di colore. Molte donne che conosco, di ogni età e razza, in via confidenziale raccontano quanto è offensivo secondo loro il linguaggio utilizzato dagli attivisti e dai trans per spiegarsi. Dopo che Jenner ha parlato del suo cervello, un’amica ha definito le sue parole un vero e proprio insulto, e ha chiesto in tono esasperato: “Sta forse dicendo che non è bravo in matematica? Che davanti a film violenti piange?”.

Anni di battaglie femministe perché le nostre figlie potessero “giocare con i trenini e i camion così come con le bambole”. Anni di battaglie, perché si potesse sentirsi liberi “di indossare gonne e tacchi alti al martedì e blu jeans al venerdì”. Anni di battaglie, e poi? Poi è arrivato Bruce Jenner.

Bruce Jenner ha detto all’intervistatrice Sawyer che la cosa che non vedeva l’ora di fare di più nel corso della sua transizione era mettersi lo smalto per le unghie: non di nascosto, non per un istante solo, ma finché non si scheggia. Io desidero che Bruce, oggi Caitlyn, possa coronare questo suo desiderio. Ma voglio anche che si ricordi di una cosa: non è lo smalto delle unghie a fare di una donna una donna.

Tags: Barack ObamaBruce JennerfemminismoIdeologia Gendernew york timesOmofobia
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