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La Rai rinuncia al Palio di Siena. Grosso errore

Perché la tv di Stato fa male a lasciare a La7 i diritti tv di una manifestazione che testimonia «la sopravvivenza d’un ideale»

Rodolfo Casadei
04/07/2022 - 6:25
Spettacolo
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Palio di Siena
Cavalli e fantini in corsa in piazza del Campo durante il Palio di Siena di sabato 2 luglio (foto Ansa)

Per i prossimi quattro anni il Palio di Siena sarà trasmesso da La7 anziché dalla Rai, e questa non è una buona notizia, anche se magari nei prossimi quattro anni si eviteranno svarioni come la cronaca del 2019, quando i cronisti Rai definirono la famosa curva di San Martino in piazza del Campo «pericolosissima per i cavalli lanciati»: peccato che dal 1999 la curva sia fornita dei cosiddetti “materassoni”, ovvero una barriera di protezione ad alto assorbimento in Pvc identico a quello utilizzato nelle gare di Formula 1; da allora gli incidenti si sono enormemente ridotti.

Ma la rinuncia della Rai (che non ha voluto rilanciare l’offerta fatta da La7 di 540 mila euro per quattro edizioni a partire da quest’anno, quasi il doppio di quanto offriva la tv di Stato) è senz’altro una iattura, perché un evento come il Palio di Siena dovrebbe essere trasmesso dall’emittente pubblica per il suo significato. La valorizzazione di questo evento rappresenta l’omaggio reverenziale che il potere centrale tributa alle forme civiche che lo hanno preceduto, cioè le autonomie comunali che tanto lustro hanno dato all’Italia e senza le quali la nazione che oggi abitiamo e nella quale ci riconosciamo non esisterebbe.

Non tradizionalismo ma tradizione

Il Palio non è tradizionalismo, cioè vuota ripetizione di forme, ma tradizione, cioè vita trasmessa di generazione in generazione. Basti dire che ancora oggi – alla faccia di quanti lo definiscono “un appuntamento acchiappaturisti”, come se Siena avesse problemi di attrattività turistica – il Palio fa a meno di sponsorizzazioni e pubblicità. Come scrisse qualche anno fa l’allora sindaco Maurizio Cenni, «nessuno ci guadagna, anzi, è interamente finanziato dai contributi volontari dei contradaioli. Non è un business, solo passione. Non esistono sponsor né lotterie, tanto meno scommesse, per precisa scelta delle istituzioni che sovrintendono alla festa e che la tutelano».

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Il Palio ha saputo tramandare i valori della gratuità, dell’estraneità alla logica del profitto, dal Medioevo sino ad oggi; li rende attuali nel mondo del XXI secolo. L’unico aspetto commerciale dell’evento come si svolge oggi è appunto la questione dei diritti televisivi da pagare, perfettamente giustificati perché rappresentano l’indennizzo che il potere centralista dello Stato deve versare alle identità locali per averle soppiantate.

La rivincita dell’autonomia comunale

Il Palio rappresenta la rivincita simbolica dell’autonomia comunale di fronte a un potere centralizzante sin dalla metà del Sedicesimo secolo, ed è in quel contesto che il ruolo delle contrade nel Palio diventa centrale: prima di allora erano i nobili in persona a correre coi loro cavalli, poi i nobili smisero di correre e decisero di assistere alla competizione di fantini che erano i loro portacolori. Ma nel 1559 la plurisecolare Repubblica di Siena viene sottomessa dai fiorentini di Cosimo de’ Medici, e il Palio non celebra più la grandezza repubblicana.

Entrano in scena le contrade, come scrive Piero Bargellini:

«Nel pieno meriggio cinquecentesco, Siena non era ancora matura per cadere spontaneamente nelle mani del dominatore della Toscana. Il suo picciòlo, costituito dalle gloriose costituzioni repubblicane, si manteneva ancora verde, bene attaccato al tronco d’una saldissima tradizione comunale. Bisognò tagliarlo con la spada; strapparlo con la violenza. Da ciò l’offesa, la ferita, lo strazio della disperata resistenza, il dolore della fatale resa. Da quell’offesa, da quella ferita, da quello strazio e da quel dolore, nacquero le contrade; nacquero come protesta contro la prepotenza, come lenimento alla ferita, come consolazione al dolore, come riaffermazione d’indipendenza e anche come speranza di rinascita. […] Ecco perché il Palio non fu e non è un “gioco” simile ad altri o protratti nei secoli o riesumati in tempi recenti. Il Palio significò la sopravvivenza d’un ideale e di un ordine, conculcato, ma non domato; soppresso, ma non estinto».

Remore “etiche” fuori luogo

Dio non voglia che la rinuncia della Rai a trasmettere la manifestazione abbia le motivazioni che si leggono in un articolo su Libero.it: «L’emittente ha ritenuto l’evento ormai datato e, soprattutto, eticamente molto controverso per i canali di servizio pubblico». Se queste fossero veramente le motivazioni dell’abdicazione della Rai, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Vorrebbe dire che l’ente radiotelevisivo pubblico ha fatto proprie le tesi delle organizzazioni animaliste più massimaliste e ha perso completamente il senso della storia e dell’identità nazionale, che in Italia è la sintesi fortemente dialettica delle identità locali.

Le decennali proteste delle associazioni animaliste contro il Palio a motivo degli infortuni con conseguenze mortali a un numero cospicuo di cavalli hanno partorito un singolo risultato che non si può non apprezzare: all’inizio del millennio si è smesso di far correre il Palio ai purosangue e si è riservata la gara a cavalli mezzosangue arabi allevati in Sardegna, molto più adatti al particolare percorso di piazza del Campo e meno propensi agli infortuni.

L’importanza degli animali per i contradaioli

Questa è una riforma molto sensata, perché l’introduzione dei purosangue negli anni Cinquanta rispondeva a un’enfatizzazione del principio di competizione tipica degli anni del boom economico, e come tutte le enfasi sproporzionate non ha dato buoni risultati, con picchi di incidenti per gli animali e per i fantini. Ripiegare su cavalli meno veloci ma più idonei non è soltanto un ritorno alle origini e alla purezza della tradizione, quando appunto non si facevano correre purosangue ma piuttosto cavalli maremmani, ma è riproporre lo spirito più autentico e profondo del Palio delle contrade: identità irriducibili in perenne competizione, ma secondo una modalità che le concilia nella più generale identità senese.

Il Palio è un rito di coesione e di competizione di una società, e il fatto che le contrade abbiano come simbolo perlopiù animali non è per niente secondario. Scrive l’antropologa Cristiana Franco:

«Il sistema delle contrade è cosa seria anche per un altro aspetto. Se è vero che nel totemismo classificatorio la specie è specchio della coesione interna al gruppo in quanto lo costituisce come dato in natura (l’essere del Bruco, dell’Aquila o della Civetta accomuna i contradaioli in una categoria naturale “chiusa”’) è vero anche che il sistema totemico permette di istituire coesione e identità al livello sociale più esteso, facendo dell’insieme dei senesi un’etnia altamente strutturata e solidale, il cui orgoglio identitario risiede proprio nella singolarità della propria organizzazione “clanica” interna, rappresentata dal sistema delle contrade».

Il debito dei cavalli verso il Palio

Questa è un’eredità estremamente preziosa, che ci può salvare dall’attuale deriva socio-politica, caratterizzata da identità che rivendicano diritti in nome della propria diversità, che cioè cercano di impadronirsi permanentemente e in misura sempre crescente di una quota del capitale socio-economico comune: l’esito prevedibile è la rottura del vincolo sociale nello scontro fra appetiti insaziabili. Invece le irriducibili identità contradaiole si affrontano in una competizione dove ci sono vincitori e sconfitti, ma dove la sconfitta è accettata perché la tradizione permette di essere certi che nel lungo periodo vincitori e sconfitti si scambieranno di ruolo, e dunque ci sarà un equilibrio che consolida il senso di appartenenza alla città: dal XVII secolo ad oggi, nessuna contrada ha vinto più di 65 Palii, nessuna ne ha vinti meno di 24.

Tornando alla questione dei cavalli: nel 1999 è stato istituito l’Albo dei cavalli continuamente e appositamente addestrati per correre sul Campo. Nel 2004 sono stati introdotti invece un Albo degli allevatori dei cavalli mezzosangue a fondo arabo e un Albo delle fattrici. Questo significa una cosa molto semplice: i cavalli che oggi corrono il Palio sono sempre di più allevati a questo scopo; se non ci fosse il Palio, non sarebbero venuti al mondo. Devono al Palio la vita; e questo evidentemente compensa i rischi che corrono partecipando alla gara. Spiegatelo ai dirigenti della Rai e a tutte le Michela Brambilla di questo mondo.

@RodolfoCasadei

Tags: diritti tvLa7raisiena
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