Terra di nessuno

La primavera rubata

Ghiaccio in scioglimento in primavera

Articolo tratto dal numero di aprile 2021 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Ciò che mi rattrista, di questo interminabile lockdown, è che sia caduto in marzo e aprile, i più bei mesi dell’anno: che si sia mangiato i primi giorni di primavera. Quelli timidi, a marzo, in cui non sai se credere al raggio di sole di un mattino freddo: e tuttavia, ti dici, è un raggio indiscutibilmente più vigoroso, e più chiaro.

Ciò che mi immalinconisce è essermi persa, in quest’anno di gran neve, lo sgocciolio dei grossi ghiaccioli dai tetti, in montagna: quel loro lacrimare nei pomeriggi di sole, nel battere ritmico della goccia sul selciato del cortile. E mi dispiace non avere visto quest’anno, da quella solita cara seggiovia sull’Alpe di Siusi, le orme, nella neve soffice, delle prime volpi e marmotte sveglie dal letargo. E le chiazze di terra fradicia che si allargano, mentre al centro sbocciano, candidi nel fango, i bucaneve.

Non ho visto, mi sono persa quest’anno l’istante silenzioso in cui l’inverno perde il suo rigore, e si arrende: mentre dalle brecce dei muri intiepiditi dal sole spuntano audaci lucertole, e già laboriose formiche.

Mi sono persa il mare della Liguria nelle mattine di vento che alzano le onde, e fanno tintinnare le sartie delle barche ancorate nei porticcioli: ma è già un altro vento, un altro odore dall’acqua, e già un altro colore. E Roma? Roma che per prima s’indora del nuovo sole nel travertino dei palazzi, nel grande abbraccio del Colonnato di San Pietro. E la fontana dell’Acqua Paola, al Gianicolo, che nel chiarore del suo marmo si fa celeste, specchiante il nuovo azzurro del cielo.

Mi sono persa, nelle colline del Monferrato, tra le zolle nere i primi pallidi germogli; e sulle vigne spoglie i minuscoli embrioni di uva, quasi invisibili, e che pure già hanno forma di piccolissimi grappoli. Mi sono persa il ritorno dei migratori che cantano all’aurora, e i piccioni che tubano dai buchi fra i mattoni, nei muri delle vecchie cascine.

Mi sento come in un remoto giorno d’estate, quando avevo forse tredici anni, in montagna. Era una giornata splendida, il cielo senza una nuvola. Ma, non so come, quella mattina mi aveva preso un gran sonno. Quando mi sono svegliata già il sole iniziava a declinare. Sono scoppiata a piangere, lo ricordo come fosse ora: perché quel giorno d’estate della mia adolescenza era perduto, e non sarebbe tornato.

Ora è un poco lo stesso: una primavera sequestrata. Sono passate invisibili le albe, i colori, i profumi, e inafferrabili i venti. Forse non importa a chi ha vent’anni, e ha infinite primavere davanti. Ma per me, è il furto di qualcosa di prezioso, e prossimo all’esaurimento. Chi mi risarcirà delle orme delle volpi e dei bucaneve non visti? Cerco con gli occhi, nei magri giardini di Milano, boccioli di camelie, germogli di vite americana. Cerco i frammenti di una primavera rubata.

Foto di Shadrin Andres per Unsplash

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.