«Le cure di genere ai bambini sono pericolose. Ve lo dico io che le ho fatte per prima»

Di Caterina Giojelli
03 Novembre 2023
Riittakerttu Kaltiala aprì la prima clinica gender in Finlandia per minori e scoprì sulla pelle dei suoi pazienti che i protocolli mentivano. La testimonianza della psichiatra
Una ragazzina in India veste calze arcobaleno per la causa Lgbt e transgender

Una ragazzina in India veste calze arcobaleno per la causa Lgbt e transgender

Riittakerttu Kaltiala è una pioniera delle cure ormonali per i bambini transgender. È stata lei ad aprire la prima clinica in Finlandia per il cambio di genere dei minori, lei a seguirne centinaia che dichiaravano una disforia. E oggi è in prima linea contro i bloccanti della pubertà, cure e trattamenti che ha scoperto sulla pelle dei suoi piccoli pazienti essere molto più che «pericolosi». Il suo curriculum è indiscutibile, la sua testimonianza, pubblicata da The Free Press, demolisce lo storytelling di media e colleghi americani, attrezzati di slogan e ormoni più che del coraggio della verità e dell’esperienza.

Quella di Riittakerttu Kaltiala inizia nel 2011, quando riceve l’incarico di supervisionare l’istituzione di un servizio per avviare alla transizione di genere sociale e medica bambini e adolescenti che manifestavano disforia. Da allora Kaltiala, psichiatra dell’adolescenza, a capo dell’omonimo dipartimento dell’ospedale di Tampere, in Finlandia, 230 articoli scientifici all’attivo, una vita trascorsa a fare ricerca, curare ragazzi e insegnare agli studenti di medicina, si occuperà di valutare e curare quelli che in pochi anni diventano oltre 500 minori.

La psichiatra apre la prima clinica pediatrica di genere in Finlandia

Perché nel 2011? Perché in quell’anno un gruppo di medici olandesi pubblica un documento rivoluzionario sui benefici della soppressione della pubertà nei 12enni affetti da disforia, ragazzini da trattare in capo a pochi anni con ormoni sessuali opposti così da permettere loro di iniziare a vivere una vita transgender il prima possibile. «Divenne noto come il “protocollo olandese”. La popolazione di pazienti descritta da quei medici era costituita da un piccolo numero di giovani, quasi tutti maschi, che, fin dai primi anni di vita, affermavano di essere delle ragazze».

Parallelamente al protocollo, scrive la psichiatra, nasce un movimento transattivista secondo il quale la transizione di genere «non era solo una procedura medica, ma un diritto umano. Questo movimento ha acquisito un profilo sempre più alto e l’agenda degli attivisti ha dominato la copertura mediatica di questo campo. I sostenitori della transizione hanno anche compreso il potere della tecnologia emergente dei social media. In risposta a tutto ciò, in Finlandia il ministero degli Affari Sociali e della Sanità ha voluto creare un programma pediatrico nazionale di genere. L’incarico è stato affidato ai due ospedali che già ospitavano servizi di identità di genere per adulti. Nel 2011, il mio dipartimento è stato incaricato di aprire questo nuovo servizio e io, in qualità di primario psichiatra, ne sono diventata il capo».

Arrivano in massa i transgender. Ma non somigliano a quelli del “protocollo olandese”

La psichiatra solleva subito dubbi. Non trova sensato intervenire su dei corpi sani in base ai «mutevoli sentimenti» di un giovane rispetto al genere. Pensa sia un errore considerare l’identità un punto di partenza e non l’esito di uno sviluppo adolescenziale riuscito. E pensa che interrompere questo sviluppo porti conseguenze serie. Vengono chiamati a dibattere con lei colleghi ed esperti di bioetica. Alla fine si decide di procedere cautamente. In quei primi anni solo la metà dei pazienti indirizzati viene avviata alla transizione, percentuale che sarebbe scesa nel corso del tempo al 20 per cento.

Perché quello che accade nel 2011 è che i pazienti arrivano «in massa». Il numero di nati che dichiaravano una disforia di genere era alle stelle. «Ma quelli che arrivarono da noi non somigliavano affatto ai ragazzi descritti dagli olandesi. Ci aspettavamo un piccolo numero di ragazzi che avevano insistentemente dichiarato di essere ragazze. Invece, il 90 per cento dei nostri pazienti era costituito da ragazze, principalmente di età compresa tra 15 e 17 anni (…) la stragrande maggioranza delle quali presentava gravi condizioni psichiatriche».

«Moltissimi ragazzini erano affetti da disturbi dello spettro autistico»

I pazienti indirizzati alla clinica gender provenivano da famiglie in condizioni di grande fragilità psicosociale. Soffrivano di depressione, ansia, disturbi alimentari, autolesionisimo, episodi psicotici. «Molti – moltissimi – erano affetti da disturbi dello spettro autistico». E ben pochi avevano manifestato disforia di genere prima dell’adolescenza. «Ora venivano da noi perché ai loro genitori qualcuno in un’organizzazione Lgbt aveva detto che l’identità di genere era il vero problema dei loro figli, o perché i bambini stessi avevano visto qualcosa online sui benefici della transizione».

Davvero i pazienti finlandesi di quegli anni non somigliano affatto a quelli descritti dal protocollo olandese. Ma nessun medico osa contraddire la narrazione – completamente priva di fondamento scientifico – degli attivisti, secondo i quali la transizione avrebbe curato ogni condizione e sofferenza. Così la dottoressa Kaltiala inizia a cercare di confrontarsi con altri professionisti in Europa. E scopre che «tutti avevano a che fare con un carico di lavoro simile di ragazze con molteplici problemi psichiatrici». Ma nessuno osa dire nulla. Qualcuno inizia perfino a dubitare delle proprie competenze.

Gli anni passano e il miracolo non accade. Anzi

Tuttavia gli anni passano e ad ogni “addetto ai lavori” diventò evidente che il miracolo promesso dal protocollo «non accadeva. Quello che stavamo vedendo era esattamente l’opposto». La vita dei ragazzi curati non migliorava, anzi: si deteriorava e nessuno studio lo aveva previsto. I giovani iniziavano a ritirarsi da tutte le attività sociali, si ritiravano da scuola, non avevano amici. E questo non accadeva solo in Finlandia, dove Kaltiala e colleghi iniziano un nuovo studio sui loro pazienti. Il primo, pubblicato nel 2015, a sollevare in Europa interrogativi seri sulla transizione di genere.

È allora che la promozione dei trattamenti di genere subisce una nuova e violentissima spinta. Lo abbiamo scritto più volte: la prima clinica pediatrica per il genere apre negli Stati Uniti, a Boston nel 2007. Quindici anni dopo si contano più di 100 cliniche. Osteggiato da più parti il protocollo olandese, l’America diventa pioniera del più radicale approccio affirming, nuovo standard di trattamento che spinge i medici ad accettare l’affermazione di un’identità trans da parte del bambino.

Ragazzine con la disforia di genere da “contagio sociale”

Intorno al 2015, «nella nostra clinica ha iniziato ad arrivare un nuovo gruppo di pazienti. Abbiamo cominciato a vedere gruppi di ragazze adolescenti, di solito tra i 15 e i 17 anni, provenienti dalle stesse piccole città, o anche dalle stesse scuole, che raccontavano le stesse storie di vita e gli stessi aneddoti sulla loro infanzia, compresa la loro improvvisa consapevolezza di essere transgender, nonostante nessuna storia precedente di disforia. Ci siamo resi conto che stavano facendo rete e scambiando informazioni su come parlare con noi. E così, abbiamo avuto la nostra prima esperienza di disforia di genere legata al contagio sociale. Anche questo stava accadendo nelle cliniche pediatriche di genere in tutto il mondo, e ancora una volta gli operatori sanitari non riuscivano a parlarne apertamente».

Ben presto diventa chiaro che l’origine del problema non sono i giovani ma gli attivisti. Ma chiunque, tra medici, accademici e scrittori, osi sollevare preoccupazioni sul loro crescente potere ha i minuti di carriera contati. Nel 2016 le cliniche di genere finlandesi decidono di modificare i loro protocolli. La stampa si scaglia contro i medici, descrive i giovani indirizzati non più agli ormoni, ma alla consulenza psichiatrica, come vittime. La campagna mediatica travolge il servizio sanitario, ma i medici non si fanno ricattare. «Mi è stato insegnato che il trattamento medico deve basarsi su prove mediche e che la medicina deve costantemente correggersi. Quando sei un medico e vedi che qualcosa non funziona, è tuo dovere organizzare, ricercare, informare i tuoi colleghi, informare un vasto pubblico e smettere di fare quel trattamento. Il sistema sanitario nazionale finlandese ci dà la possibilità di indagare sulle pratiche mediche attuali e stabilire nuove linee guida. Nel 2015 ho chiesto personalmente a un organismo nazionale, chiamato Council for Choices in Health Care (Cohere), di creare linee guida nazionali per il trattamento della disforia di genere nei minori. Nel 2018 ho rinnovato ai colleghi questa richiesta, ed è stata accolta». Il Cohere commissiona una corposa revisione.

Otto anni dopo le cure, nuovi pazienti: pentiti e detransitioners

Nello stesso periodo, otto anni dopo l’apertura della clinica pediatrica di genere, alcuni pazienti iniziano a tornare dicendosi pentiti della loro transizione. Alcuni, chiamati “detransitioners” desiderano ritornare al loro sesso di nascita. Questi erano un altro tipo di paziente che non avrebbe dovuto esistere. Gli autori del protocollo olandese affermavano che i tassi di rimorso erano minimi». Invece il teorema olandese si sgretola. I follow-up non includevano i pentiti. Un paziente era morto a causa di complicazioni dovute all’intervento chirurgico sulla transizione genitale. Il 30 per cento dei pazienti-campione di un nuovo studio abbandonava la prescrizione ormonale entro quattro anni.

Nel 2018 la psichiatra pubblica con i colleghi un nuovo dossier. Non sanno spiegare il boom di ragazzi che affermano di avere la disforia ma possono affermare che «nella stragrande maggioranza dei bambini con disforia di genere – circa l’80% – la disforia si risolve da sola se vengono lasciati attraversare la pubertà naturale. Spesso questi bambini si rendono conto di essere gay».

Nel 2020 il Cohere pubblica i risultati del suo studio in base ai quali l’approccio affirming risulta parziale e inaffidabile: «Alla luce delle prove disponibili, la riassegnazione di genere dei minori resta una pratica sperimentale», scrivono gli autori, riconoscendo fra gli altri i pericoli derivanti dalla somministrazione di trattamenti ormonali e concludendo che la transizione di genere dovrebbe essere posticipata «fino all’età adulta». La Finlandia non è sola. Dalla Svezia al Regno Unito, i paesi più avanti sulla transizione di genere hanno fatto marcia indietro.

Le pericolosissime bugie americane sul genere

La lunga testimonianza di Riittakerttu Kaltiala per The Free Press si conclude con la durissima condanna delle società mediche degli Stati Uniti, dove continua a prosperare l’approccio affirming e l’identità “trans” si è evoluta includendo sempre nuove variazioni di genere. Dove le accademie pediatriche e di psichiatria dell’adolescenza rifiutano il confronto con i colleghi europei e i genitori sono ostaggio della retorica degli attivisti fondata sulla profezia del suicidio in caso venisse ostacolata la medicalizzazione di genere dei loro figli. Dove il presidente della società di endocrinologia scrive sui giornali che gli ormoni «salvano la vita» – «Sono stato coautore di una lettera di risposta, firmata da 20 medici provenienti da nove paesi, in cui confutavo la sua affermazione», ribadisce la dottoressa Kaltiala.

«Ciò che sta accadendo ai bambini disforici mi ricorda la mania del recupero della memoria degli anni ’80 e ’90. Durante quel periodo, molte donne in difficoltà arrivarono a credere a falsi ricordi, spesso suggeriti loro dai loro terapeuti, di inesistenti abusi sessuali da parte dei loro padri o di altri membri della famiglia. Questo abuso, dicevano i terapeuti, spiegava tutto ciò che c’era di sbagliato nella vita dei loro pazienti. Le famiglie furono distrutte e alcune persone furono perseguite sulla base di affermazioni inventate. Tutto si è concluso quando terapisti, giornalisti e avvocati hanno indagato ed esposto ciò che stava accadendo».

Foto Ansa

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