
La paura di Mancino di essere incastrato, ci dice che razza di giudici abbiamo in Italia
«Lo stato d’animo di Mancino», ecco qual è, secondo il professore Ernersto Galli Della Loggia, il dato centrale delle telefonate intercorse tra l’ex ministro e il consigliere giudiziario del Quirinale. Nell’editoriale che appare oggi sul Corriere della Sera (“Lo stato d’animo di un testimone”), Galli Della Loggia mette sotto il cono di luce un aspetto della vicenda (e delle polemiche) sulla presunta trattativa Stato-Mafia finora rimasto nell’ombra.
Scrive Della Loggia: «Mancino in quel momento non è indagato. Come ex ministro dell’Interno all’epoca della supposta trattativa tra lo Stato e la mafia che sarebbe intercorsa nel 1992-93, egli è un semplice testimone. Un semplice testimone, già ascoltato dagli inquirenti. Ma dalle sue parole si capisce che non è per nulla tranquillo. Che è posseduto, anzi, da un’inquietudine angosciosa molto simile alla paura. Di che cosa ha paura Nicola Mancino? Mi scuserà se lo dico alla buona: ha paura di essere «incastrato» dai magistrati che conducono l’indagine. Cioè di diventare vittima di un qualche loro “teorema”, di un loro partito preso che lo trasformi da testimone in imputato».
Ciò che Galli Della Loggia acutamente annota è che tale turbamento non è dovuto al fatto di «essere “scoperto”: [Mancino] ha semplicemente paura dei meccanismi inquirenti della macchina giudiziaria italiana (cioè non dei tribunali, ma delle procure. Non ha paura cioè della “giustizia”, come invece piace fraintendere alla retorica giustizialista, bensì dell’Accusa, che è cosa assai diversa). Di come troppo spesso funzionano i meccanismi dell’Accusa, del modo d’essere dei suoi rappresentanti, delle loro motivazioni inconfessate e inconfessabili, dei loro pregiudizi».
Cosa c’è di straordinario in tutta questa vicenda? C’è il fatto che «oggi, grazie solo a delle intercettazioni telefoniche, si viene a scoprire che anche colui il quale per lunghi anni è stato alla testa della macchina della giustizia italiana, che ne ha conosciuto come pochi il funzionamento, e soprattutto la mentalità, i sentimenti, e le pulsioni degli addetti, anche il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Nicola Mancino, anche lui uomo del centrosinistra, pensa ciò che in tanti pensiamo delle profonde distorsioni che troppo spesso, quasi fisiologicamente, caratterizzano l’operato delle procure della Repubblica. E ne ha paura».
La paura. Questo è il sentimento nei confronti di certe procure del «maggior numero dei membri del Parlamento italiano e degli uomini dei partiti del centrosinistra. Che però non se la sentono di dirlo — allo stesso modo, del resto, come non ha mai detto nulla neppure Nicola Mancino prima che gli capitasse di averne direttamente a che fare — per il timore di passare da “nemici dei giudici”, e dunque, in forza di una delle più malefiche proprietà transitive della politica italiana, per “amici di Berlusconi”».
Ed ecco il finale dell’editoriale di Galli Della Loggia: «Ma è ora che i magistrati italiani — e sono certamente i più — i quali hanno davvero a cuore la giustizia sappiano che è su questa finzione collettiva, è su questo autoinganno dettato dalla paura, che in realtà poggia la cosiddetta “cultura della legalità” di cui tutta l’Italia ufficiale si riempie ad ogni occasione la bocca. Peraltro augurandosi in cuor suo (o quando suppone di parlare al riparo da orecchie indiscrete) che non le capiti mai di doverne conoscere la realtà».
Articoli correlati
1 commento
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
Già, PAURA, è lo stato d’animo di qualsiasi “cittadino” (che sia un minimo sveglio e attento alla realtà) o meglio di qualsiasi suddito di questa DITTATURA mascherata di democrazia!
Corte Costituzionale, Ragioneria Generale dello Stato, CSM, Procure e Stampa (loro editori) hanno in mano il paese!